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Curiosità, umorismo, cucina e altro

 

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               Indice:

 

 

Coockie cosa sono?

Alcuni detti popolari sulla caccia

Nomi degli Uccelli in Lingua Veneta e alcuni canti

Una poesia in memoria degli emigranti veneti

Storie dal Veneto

Storie africane e non solo, di natura, animali e altro

La caccia nella musica e nella storia

Barzellette

I numeri degli animali da giocare al lotto

 

 

                          

 

      171 RICETTE

 

 

 

Alcuni primi

Lasagne al radicchio trevisano ( gluten-free )

Rigatoni alla norma ( gluten-free )

Spaghetti alla carbonara ( gluten-free )

Spaghettini con la bottarga ( gluten-free )

Tagliatelle al ragù di cinghiale ( gluten-free )

Zuppa di conchigliette e lenticchie di Castelluccio ( gluten-free )

Tajarin all'albese ( gluten-free )

Penne rigate alla napoletana ( gluten-free )

Spaghetti alle cozze tarantine ( gluten-free )

Tagliatelle al ragù d'agnello e zafferano ( gluten-free )

Sformato di melanzane alla parmigiana ( gluten-free )

Tagliatelle alla n'duja ( gluten-free )

Tagliolini con i ricci di mare

Bucatini al ragù di capesante

Spaghetti con verdure e scampi

Ravioli di spigola

Spaghetti ai frutti di mare

Rigatoni con gli uccellini

Cannolicchi al basilico

Maltagliati ai funghi

Trenette al pesto

Pappardelle con la lepre e alla toscana

Lasagne alla cacciatora col pollo

Zuppa di funghi ovoli

Minestra di purè di castagne

Riso e sciopeti

Maccheroni con le noci

Ravioli al ragù di lepre e ovoli

Riso e piselli alla veneziana (risi e bisi) ( gluten-free )

Risotto con quaglie alla piemontese

Gnocchi di polenta ( gluten-free )

Pasticcio di maccheroni e piccioni

Foglie di vite farcite ( gluten-free )

 

Pesce

Filetti di branzino all'uva ( gluten-free )

Calamari farciti con ricotta e scampi ( gluten-free )

Storione in confettura di cipolle ( gluten-free )

Orata al forno con le cozze ( gluten-free )

Ostriche al gorgonzola

Pesce San Pietro con vongole e asparagi (gluten-free )

Rana pescatrice con carciofi ( gluten-free )

Storione “Regenge”

Anguilla

Anguilla allo spiedo

Anguilla arrosto

Anguilla carpionata ( gluten-free )

Capitone marinato ( gluten-free )

Capitone in salsa di pomodoro ( gluten-free )

Ciriole coi piselli alla romana ( gluten-free )

Grongo alla genovese ( gluten-free )

Pesce persico alla massaia

Filetti di pesce persico alla milanese

Pesce persico all'olandese ( gluten-free )

Tinca

Tinche marinate ( gluten-free )

Tinche arrosto ( gluten-free )

Trota

Trota al vapore

Trota alla savoiarda

Trottelle al blu ( gluten-free )

Trote alle nocciole

Carpa

Carpa all'orientale

Carpa alla russa

Rane fritte

Rane in fricassea

Lumache alla romana ( gluten-free )

Lumache alla francese

 

Secondi di carne

Ginepro

Selvaggina (in generale)

Fagiano

Fagiano in casseruola ( gluten-free )

Fagiano alla crema ( gluten-free )

Fagiani e pollame arrosto tartufati ( gluten-free )

Quaglie piccanti

Fagottini di quaglie

Quaglie e tordi stufati

Quaglie alla purè di piselli ( gluten-free )

Quaglie nelle pagnottine

Allodole e tordi coi funghi ( gluten-free )

Allodole alla cacciatora

Ortolani col risotto ( gluten-free )

Pernice arrosto

Pernice alla crema ( gluten-free )

Pernice in casseruola ( gluten-free )

Beccaccini al cognac ( gluten-free )

Beccaccia farcita

Beccacce arrosto con crostini

Alzavola allo spiedo ( gluten-free )

Alzavola in salmì

Filetti di alzavola

Gallinella d'acqua

Folaga con le olive ( gluten-free )

Salmì classico

Crostini di finta cacciagione

Lepre in salmì

Lepre alla Sant'Uberto

Schiena o cosciotti di lepre alla nostrana

Cinghiale in agrodolce ( gluten-free )

Cinghiale in salsa di ribes ( gluten-free )

Goulash di cinghiale ( gluten-free )

Noce di daino in salsa di ciliegie

Nocette di finto daino

Bocconcini di daino ( gluten-free )

Manzo alla certosina ( gluten-free )

Terrina di bue alla Sant'Uberto

Manzo braciato alla bresciana ( gluten-free )

Uccellini scappati

Polenta con gli uccellini scappati ( gluten-free )

Bistecca alla fiorentina ( gluten-free )

Bistecca alla siciliana ( gluten-free )

Bistecca alla tartara o all'americana ( gluten-free )

Terrina di carne al ginepro ( gluten-free )

Involtini uso caccia

Noce di vitello arrosto tartufata ( gluten-free )

Nocette di vitello alla Sant'Uberto e tordi ( gluten-free )

Coscetto di montone ad uso capriolo ( gluten-free )

Pollo alla cacciatora alla salvia ( gluten-free )

Pollo alla cacciatora Maddalena ( gluten-free )

Pollo alla cacciatora con le olive ( gluten-free )

Pollo in padella alla romana ( gluten-free )

Germano all'arancia ( gluten-free )

Anitra (o pernice o beccaccia) in salmì

Petto d'oca con la zucca ( gluten-free )

Piccioni arrosto ( gluten-free )

Piccioni arrosto su canapè semplici

Piccioni arrosto su canapè farciti

Piccioni in gratella all'americana e salsa piccante

Piccioni ripieni ( gluten-free )

Piccione in pasta

Salmì di piccioni selvatici (colombacci)

Piccioni selvatici (colombacci) arrosto ( gluten-free )

Piccioni selvatici (colombacci) all'uso di Foligno ( gluten-free )

Piccioni selvatici (colombacci) all'uso di Amelia ( gluten-free )

Piccioni selvatici (colombacci) alla cacciatora ( gluten-free )

Uova affogate alla cacciatora

Cervo arrosto alla tedesca ( gluten-free )

 

Insalate o contorni

Insalata Martina ( gluten-free )

Invidia gratinata con formaggio all'Adelaide ( gluten-free )

Fiori d'insalata Valentina ( gluten-free )

Carciofi farciti con purè di patate alla Loretta ( gluten-free )

L'insalata di nonna Rosa ( gluten-free )

 

Dolci

Pan di Spagna

Pasta frolla

Pasta frolla al cacao

Pasta frolla alle mandorle

Pasta per bignè

Pasta base per biscotti

Pasta sfoglia

Pasta per brioche dolci

Pasta per croissant

Creme e farciture per dolci

Creme

Crema al cioccolato

Crema al limone

Crema Chantily

Crema frangipane

Crema ganache o parigina

Crema pasticciera

Farciture

Farcitura agli amaretti

Farcitura al cacao

Farcitura al caffè

Farcitura alle fragole

Zabaione

Glasse

Glassa al caffè

Glassa agli agrumi

Glassa all'acqua

Glassa fondente

Glassa reale

Rotolo di pere e mostarda veneta

Cannoli siciliani

Baicoli

Crocchette di castagne

Castagnaccio ( senza glutine, gluten-free )

 

 


 

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Alcuni detti popolari  


- Di dove men si pensa, si leva la lepre.
- “La lepre mal si prende al suono del tamburo.”
- “Ciapé la levar cun e car.”
- (Sicilia) “Cui va a caccia senza cani, veni a casa senza lebbru.”
- (Piemonte) La levr a s' ciapa nen con ël tamborn.”
- “Un po' corre la lepre, un po' corre il cane.”
- “Chi vuol pigliare uccelli, non dee trar loro dietro randelli.”
- “II jeur al sta là che mancul si cròt.”
- “Quando piove o tira vento, andare a caccia è perder tempo.”
- (Calabria) “Quandu chiova e tira ventu non jira a caccia cà perdi tempu.”
- (Umbria) "Quannu piove e tira ventu, nun j a caccia che perdi tempu.”

 

 

Un fià del la me tera       (Alberto Albanese)

 

Lontan da la me tera,

tra tanta zente

che nò zera la me zente,

solo,

co’ ‘l cuor desfà,

me consolavo

vardando le vetrine iluminae.

 

Aria de Nadal,

festa per tuti,

ma nò par mi,

lontan da la me casa,

lontan da la me tara.

Caminavo fiacco

In mezo a quea zente

Indafarada e contenta

Quando che l’ocio

el s’ha fermà de boto:

in te ‘na vetrineta,

ben in mostra,

ghe gera un bel cestel

de radici rosso fogo.

 

Me son fermà … li go vardai …

Nò me pareva vero.

Radici trevisani? …

Se me ga verto ‘lcuor,

l’emosion la gera granda …

 

Sonava le campane,

gera Nadal, festa par tuti

e anca par mi

che più no me sentivo

perso pa’ ‘l mondo.

Me teneva compagnia

Me confortava ‘l cuor,

me dava contentessa

Aver nel me disnar

Un bel piatel

De radici trevisani:

un fià de la me tera.

 

 

Storie dal Veneto

 

Pomo e scorza

C'era una volta un re e una regina, che erano molto tristi, perché desideravano tanto un figlio a cui lasciare le ricchezze, ma non riuscivano ad averne.
Un giorno il re, che passeggiava lungo una strada, vide un mago che lo guardava mentre se ne stava appollaiato su un albero.
"Perché sei così malinconico?", gli chiese.
"Perché vorrei tanto avere un figlio", rispose.
"Non preoccuparti, ti aiuterò io", esclamò il mago mentre prendeva una mela da un albero.
"Tieni questa mela, portala a tua moglie e fra tre mesi avrai il figlio desiderato", concluse il mago.
Così tutto speranzoso il re rientrò a casa e diede la mela alla moglie, che la fece sbucciare dalla serva.
Quest'ultima soprappensiero mangiò la buccia, mentre la regina seguiva le istruzioni del mago e mangiava la mela.
Il risultato fu che dopo tre mesi nacquero due bimbi: uno alla regina e uno alla serva.
I bambini furono chiamati Pomo (il figlio della regina) e Scorza (il figlio della serva) e crebbero insieme come due fratelli.
Andavano a scuola e giocavano insieme, ma a dir la verità, Pomo era un po' vivace e strambo, mentre Scorza era più buono e ubbidiente.
Quando furono cresciuti e diventati due giovanotti, Pomo cominciò a fare dei ritratti di fanciulle bellissime, e propose a Scorza di andare in giro per il mondo a cercare una di quelle belle ragazze in carne e ossa.
Scorza tentò di dissuaderlo, ricordandogli che sarebbe andato contro la volontà del padre, ma Pomo insisteva e lui stesso informò il padre della sua decisione di partire.
Il padre si rattristò molto alla notizia, dopo tutta la fatica che aveva fatto per avere un figlio. Alla fine diede a Pomo una borsa piena di soldi, quattro cavalli e una carrozza, e raccomandò a Scorza, che era più diligente, di aver giudizio anche per Pomo, e gli promise una ricompensa.
Così i due ragazzi partirono all'avventura e dopo un bel po' di cammino giunsero al ponte su un fiume, dove alcune giovani lavandaie stavano lavorando.
Pomo fermò subito i cavalli per osservarle bene, tirò fuori il ritratto che aveva fatto a casa e lo confrontò con le fanciulle. Si accorse che una di loro assomigliava molto al suo disegno e tutto contento subito le chiese di sposarlo.
"No, non posso sposarvi, perché voi siete ricco e io sono povera e ho il padre malato", rispose la bella lavandaia.
"Non preoccuparti, troveremo una soluzione a questo", la rassicurò Pomo, e la convinse a seguirlo.
Così andarono dal padre di lei, Pomo la chiese in sposa e promise che avrebbe mantenuto anche suo padre, anche con un servo.
Risolto questo problema Pomo, la sua promessa sposa e Scorza partirono alla volta dì casa.
Nel frattempo però era calata la sera e siccome non era molto consigliabile viaggiare con il buio, cercarono un posto per passare la notte. Non passò molto tempo che videro una luce lontana, e verso quella si diressero. Arrivarono così ad una casa e decisero di fermarsi, credendo che fosse una locanda.
Bussarono, ma nessuno rispondeva. Alla fine entrarono.
Qui si presentò ai loro occhi una scena inconsueta: il tavolo era apparecchiato per tre con tanto di cena pronta.
Si sedettero e mangiarono. Scorza si faceva qualche scrupolo, ma poi pensò: "Se il padrone arriva, pagheremo".
Dopo aver mangiato di gusto, i tre salirono la scala e andarono al piano superiore, dove trovarono le camere pronte.
Andarono così a dormire, anche se scorza avvertiva in quella casa qualcosa di strano e insolito.
E infatti a mezzanotte sentì una voce che diceva: "Quando Pomo andrà a dormire con la moglie per la prima notte, uscirà un ragno che lo pungerà e morirà. Quando Pomo partirà, cadrà da cavallo e morirà. Quando Pomo entrerà in città salterà fuori un cane che lo morderà e così Pomo morirà. Chi parla e parlerà una statua di marmo diventerà".
Scorza sbiancò dalla paura, ma si ricordò il monito del re e cercò di trovare una soluzione.
Quella notte il ragno uscì, ma scorza entrò nella camera di Pomo e con la spada lo fece scappare.
Pomo si spaventò alla vista di scorza che brandiva la spada in camera Sua, e pensò tra sé che forse voleva ucciderlo o che era geloso della sua sposa.
L'indomani giunse il momento di partire e Scorza disse a Pomo: "Fammi un favore, prestami il tuo cavallo finché usciamo da questo cortile".
Pur essendo sorpreso e un po' stizzito, Pomo glielo prestò, così Scorza cadde da cavallo, ma non si fece male.
Il viaggio proseguì tranquillo e giunsero alla porta della città. Ancora una volta Scorza chiese a Pomo: "Fammi un piacere, prestami il tuo cavallo finché entro nella città".
Pomo gli diede il permesso, ma sempre più arrabbiato si convinse che Scorza era invidioso di lui e voleva mettersi in mostra.
Nel frattempo saltò fuori un grosso cane che tentò di mordere Scorza, ma non riuscì ad ucciderlo. Arrivati dentro la città. Pomo rivelò al padre che Scorza era invidioso, lo aveva tradito e aveva tentato di ucciderlo in camera, e così Scorza fu condannato a morte.
Sul patibolo Scorza chiese di poter dire una parola: "Ti ricordi quel rumore durante la notte in camera tua? Era il ragno velenoso che voleva pungerti. Io lo sapevo ma non potevo dirtelo, perché quella notte una voce mi disse che se avessi parlato sarei diventato di marmo", disse con un fil di voce e le sue gambe
diventarono di marmo.
"E ti ricordi che ti chiesi di prestarmi il tuo cavallo per uscire dal cortile della casa? L'ho fatto per salvarti, ma non potevo dirtelo, perché altrimenti sarei diventato un statua", continuò mentre metà del suo corpo era diventata di marmo.
"E ti ricordi quella volta che ti chiesi di prestarmi il tuo cavallo mentre entravamo in città? L'ho fatto per salvarti, ma non potevo dirtelo perché altrimenti sarei diventato di marmo", concluse quando ormai tutto il suo corpo era diventato di marmo.
A questo punto Pomo capì di esser stato diffidente e cattivo ed esclamò: "Ah, se Scorza potesse tornar vivo!".

In quel preciso momento apparvero tre donne vestite di bianco (le fate), che gli chiesero cosa fosse successo.
Dopo aver sentito il racconto di Pomo queste misteriose creature gli chiesero: "Cosa pagheresti per riportare Scorza in vita?".
"Darei mezzo sangue del mio corpo", rispose deciso Pomo alle fate.
E così le fate, vista la buona volontà di Pomo, si accontentarono di tagliargli un dito, e con il sangue che ne uscì medicarono Scorza, che così tornò in vita.

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L'amore dei tre garofani

C'era una volta una donna che aveva tre figlie in età da marito. Un giorno passò da quelle parti un ricco signore che notò le tre fanciulle e dopo un po' di tempo si fece avanti per chiedere la mano della maggiore.
La madre osservò che sua figlia non era alla sua altezza, perché era povera, ma il ricco signore ribatté che lui non dava importanza a queste cose, e che avrebbe provveduto a tutto.
Così i due si sposarono e arrivarono al palazzo dello sposo. Qui lui le mostrò la sua nuova casa e, raccolto un garofano nel giardino, I'appuntò sul petto della sposa.
La accompagnò a visitare tutte le stanze, meno una, e le diede una chiave che poteva aprire tutte le porte, ma le raccomandò di non aprire la stanza che non le aveva mostrato.
Ma la fanciulla era curiosa, e non appena lui se ne fu uscito dal palazzo per i suoi affari prese la chiave e aprì la porta segreta.
Le si presentò uno spettacolo sconvolgente: la stanza era piena di ragazze che urlavano tra le fiamme e non ebbe neanche il tempo di mettere dentro la testa che una fiamma raggiunse il garofano appuntato sul petto e lo bruciò.
Non appena tornato, il marito, notato il garofano incenerito, le chiese spiegazioni e la povera sposa confessò che la sua curiosità l'aveva spinta ad aprire la porta segreta.
Non aveva ancora finito la frase che lo sposo arrabbiato aprì la porta in questione e buttò la moglie dentro nella stanza.
Passato un bel po' di tempo, Il ricco signore tornò con un aspetto diverso alla casa della donna, dove abitavano le altre due sorelle.
Qui ebbe modo di incontrare la seconda sorella e la chiese in moglie.
Come la volta precedente la madre faceva dei problemi perché lui era ricco e la figlia era povera, ma l'uomo rassicurò la donna e disse che avrebbe reso la fanciulla una signora.
Così sposò anche questa ragazza e, dopo aver raggiunto il palazzo, le appuntò un garofano sul vestito, le consegnò la chiave, le mostrò tutte le stanze meno una, e la pregò di non aprire quella porta.
Ma la sposa non resistette e non appena lui lasciò il palazzo, aprì la porta segreta e le si presentò lo stesso spettacolo di donne piangenti e, tra le fiamme, riconobbe la sorella più grande.
Ma non fece in tempo a parlare che una vampata di fuoco le incenerì il garofano.
Quando il marito tornò, notò che il garofano era bruciato e, dopo averle chiesto spiegazioni, aprì la porta segreta e la spinse dentro alla stanza insieme alle altre ragazze.
Dopo un po' di tempo questo crudele signore si presentò alla casa della donna ancora una volta con un viso diverso, e chiese in sposa anche la terza figlia.
La donna era soddisfatta, perché tutte le sue figlie avevano trovato un'ottima sistemazione, dal momento che lei non sospettava la perfidia dell'uomo.
Così anche la terza figlia fu portata al palazzo, le fu appuntato il garofano sul vestito, ricevette la chiave, e le furono mostrate tutte le stanze, meno una, con la raccomandazione di non aprirne la porta.
Appena il marito fu uscito la fanciulla, che era più giovane e sveglia delle altre due, prese il garofano, lo mise in un bicchiere d'acqua e aprì la porta proibita.
Qui con sua meraviglia vide le ragazze tra le fiamme e riconobbe le sue sorelle.
Ma non si perse d'animo, le fece uscire e cercò una soluzione per scappare.
Al suo ritorno, il marito chiese del garofano che le aveva regalato, e la moglie gli rispose, rallegrandolo, che lo aveva messo al fresco nell'acqua.
Poi la ragazza gli diede da fare una commissione: portare un cesto di biancheria sporca alla madre, e gli raccomandò di non fermarsi per strada per appoggiare la cassa, perché si sarebbe rovinata.
In realtà lei aveva nascosto sotto le lenzuola una delle sorelle, alla quale, se l'uomo si fosse fermato lungo la strada per guardare dentro, consigliò di dire: "Guarda che ti vedo".
E così il maritò si incamminò, e dopo un po' di strada pensò di fermarsi, perché la cassa era pesante. Ma sentì una vocina che diceva: "Guarda che ti vedo!" e preferì proseguire.
Arrivato alla casa della madre consegnò la cassa con la biancheria con dentro la maggiore delle sorelle.
Cosi fu anche per la seconda sorella, che qualche giorno dopo grazie allo stesso stratagemma raggiunse la sua casa sana e salva.
Alla fine toccò alla moglie infilarsi nella cassa, ma per imbrogliare il marito, aveva
messo una grande bambola al davanzale della finestra, affinché l'uomo credesse che lei era alla finestra per salutarlo.
Così tutte e tre le sorelle raggiunsero la loro madre e quando il marito si accorse
dell'imbroglio si infuriò così tanto che si buttò tra le fiamme.

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Pieréto e la Vecia Barbantana

C’era una volta un bambino di nome Pieréto. Un giorno durante una passeggiata vide un bel pero carico di frutti maturi, e pensò tra se: "Adesso mi arrampico sull'albero e mi faccio una scorpacciata di pere", e così fece.

In quel mentre passava di là una vecchia di brutto aspetto: era la Vecia Barbantàna, una strega cattiva che rapiva i bimbi, li metteva nel sacco e poi se lì mangiava.

La strega si fermò proprio sotto l'albero e chiese a Pieréto di buttargli giù una pera.

Ma Pieréto, che aveva sentito parlare di questa vecchia, le rispose: "No, perché tu sei la Vècia Barbantàna e mi metterai nel sacco". Siccome la vecchia insisteva, Pieréto cedette e le buttò giù un peréto. Ma non appena si mosse, perse I'equilibrio, scivolò e cadde giù dall'albero.

Povero Pieréto! La vecchia non esitò: lo prese e lo ficcò subito dentro al suo sacco per mangiarselo a casa in tutta calma.

Cammina, cammina, quando fu a metà strada, la strega avvertì un certo mal di pancia, così appoggiò il sacco ad una siepe e se ne andò nel campo di granoturco a fare i suoi bisogni.

Pieréto, che si rese conto dell'occasione, preso il coltello dalla tasca, tagliò un po' il sacco da un lato e si liberò. Poi lesto lesto andò a cercare alcune grosse pietre e le infilò dentro al sacco, affinché la vecchia non si accorgesse di nulla. Appena tornata, la strega raccolse il sacco e proseguì per la sua strada, senza notare la differenza.

Raggiunta la sua casa, accese subito un fuoco e preparò un bel pentolone grande pieno di acqua, perché aveva un certo languorino e voleva mangiarsi Pieréto.

Quando l'acqua fu bollente, prese il sacco e lo svuotò dentro la pentola. Così le pietre, cadendo di peso dentro l'acqua, schizzarono gocce bollenti sulla strega, scottandola tutta.

Nel frattempo Pieréto era scappato a casa e aveva raccontato l'accaduto. E quando arrivò la notizia che la strega era morta, tutti si misero a fare festa.

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La filosofa ladra

C’era una volta una ragazza povera che insieme alle sue due sorelle decise di andare a cercare lavoro come serva.

Durante il loro cammino questa ragazza, che per la sua furbizia era soprannominata la "filosofa", per non perdersi suggerì di lasciare cadere ogni tanto un po' di crusca da un sacchetto. Tuttavia non riuscirono più a tornare indietro, perché le pecore, che pascolavano in quella zona, mangiarono tutta la crusca. Così furono costrette a bussare a qualche palazzo per chiedere di lavorare.

La prima sorella si adattò a fare la sguattera in un palazzo, e lì rimase.

Le altre due continuarono la loro strada, fino a raggiungere un'altra casa che era abitata da dei signori

una volta ricchi, ma ora senza più un soldo. Nonostante questi signori non avessero denaro per pagare i

loro servizi, le due sorelle rimasero con loro, una a fare la lavandaia, e la filosofa a fare la ladra.

Il primo servizio che fu chiesto alla filosofa fu di rubare la coperta dell'asina nella stalla dell'Orco. La ragazza, che era molto furba e scaltra, accettò subito e quella notte stessa si recò nella stalla per compiere il furto. Cominciò a tirare piano un lembo, ma fece tintinnare i campanelli che erano cuciti sulla coperta. La moglie dell'Orco sentì il suono e subito svegliò il marito, per avvisarlo che qualcuno stava rubando la coperta dell'asina. Ma l'Orco si girò dall'altra parte e non ci fece caso.

Nel frattempo la filosofa con uno strattone veloce arrotolò la coperta e la portò al padrone.

Vista I'abilità della ragazza, questo le ordinò di rubare anche l'asina. Detto fatto, la filosofa entrò nella stalla la notte successiva, fasciò gli zoccoli dell'animale con della stoffa e la fece uscire.

L’indomani la sorpresa nella casa dell'Orco fu grande, e marito e moglie decisero di mettere una guardia nella stalla per acciuffare la ladra.

Intanto il padrone tutto contento del buon esito informò la filosofa che il prossimo furto sarebbe stata la preziosa coperta di diamanti dell'Orco.

La notte successiva la ragazza riuscì ad entrare nella casa dell'Orco da una porta segreta, si buttò sulle spalle la coperta e fuggì veloce.

Ora rimaneva da rubare la cosa più preziosa: I'anello al dito dell'Orco.

La filosofa, per sfuggire alle sgrinfie dell'Orco, costruì una bambola di pezza e la riempì di bottiglie di acqua e vino e piatti.

Quella notte si avvicinò al letto dell'Orco, cominciò a sfilargli l'anello dal dito, e quando ci era quasi riuscita, l'Orco si svegliò. Allora prontamente la filosofa corse via e infilò la bambola tra i battenti della porta e fuggì. L’Orco, che credeva di aver preso la ladra, afferrò la bambola e la ficcò in un grande sacco. Poi ordinò ai servi di battere il sacco con dei bastoni per punire la ladra. Si udirono così strani rumori di cocci rotti, e si videro macchie rosse e gocce d'acqua bagnare il sacco, tanto che l'Orco credeva fossero le lacrime e il

sangue della ladra, mentre in realtà erano l'acqua e il vino contenuti nelle bottiglie ormai a pezzi.

Ma quando aprirono il sacco trovarono la sorpresa e restarono con un palmo di naso.

Nel frattempo grazie ai furti della filosofa il padrone era diventato ricco e, colpito dall'abilità e dalla furbizia della filosofa, finì per sposarla.

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I ladri in cimitero

Due ladri andarono una notte a rubare tre sacchi di nocciole ed entrarono un cimitero per dividersele.
In quel mentre passava di là il padrone delle nocciole e si accorse dei ladri, così corse a casa da suo figlio per chiedere aiuto e acciuffare i ladri.
Quando tornarono al cimitero sentirono delle voci che dicevano: "Adesso andiamo a prendere quei due che sono rimasti là fuori".
Naturalmente i ladri si riferivano agli altri due sacchi di nocciole che avevano lasciato all'esterno del cimitero.
Ma i padroni delle nocciole pensarono che quelle fossero le voci dei morti che volevano venire a prenderli, e così scapparono a gambe levate, mentre i ladri tranquillamente continuavano a dividersi le nocciole.

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La curacenere

C'era una volta una fanciulla che si era messa in cammino per cercare i suoi tre
fratelli che si erano trasformati in tre uccelli verdi. Lungo la strada incontrò per primo il sole e gli chiese dove poteva cercare tre uccelli verdi.
Il sole rispose che li aveva visti, ma erano ormai lontani e diede alla fanciulla una noce da conservare per quando ne avesse avuto bisogno.
La ragazza continuò il suo viaggio e incontrata la luna le chiese notizie dei tre uccellini verdi. La luna li aveva visti, ma ormai erano lontani e le regalò una castagna, per il momento del bisogno.
Rimessasi in cammino, la giovane incontrò le stelle, e anche a loro chiese se avessero visto tre uccelli verdi passare. Le stelle li avevano visti, ma ormai era troppo tardi, e le donarono una nocciolina, da conservare per quando ne avesse avuto bisogno.
Ormai era notte e la fanciulla, stanca del viaggio, bussò ad una casa per chiedere un po' di ospitalità in cambio di qualche servizio. Le aprì una donna, ma non poteva esserle d'aiuto, perché aveva un figlio molto cattivo. Ma alla fine, dopo le suppliche della nostra giovane, la padrona la prese come "curacenere", cioè per accudire il fuoco.
Dopo un bel po' di tempo arrivò la stagione delle feste da ballo, e la ragazza chiese al padrone se anche lei potesse parteciparvi. Ma lui negò il permesso con un gioco di parole: "Chi vuole andare alla festa, si prende la paletta sulla testa".
Allora la ragazza chiese il permesso alla padrona, perché ci teneva tanto a quella festa. La padrona acconsentì, purché non si facesse riconoscere dal figlio.
Tutta contenta la fanciulla corse in camera e aprì la noce e, con sua grande sorpresa, ne uscì un abito splendente come il sole. Indossatolo, la giovane si recò alla festa e la sua bellezza fece subito innamorare perdutamente il padrone, che non l'aveva riconosciuta. Così lui la invitò a ballare, ma lei fece solo tre balli e poi se ne scappò via.
L'indomani il padrone malinconico raccontò a sua madre della bellissima donna incontrata, e in cuor suo sperava di rivederla alla festa successiva.
Arrivato il giorno della seconda festa da ballo, la fanciulla, che era tornata al suo umile lavoro, chiese al padrone il permesso di andare anche lei alla festa. Ma ancora una volta, lui le rispose con un gioco di parole: "Chi vuole andare alla festa si prende le molle sulla testa".
Nuovamente la ragazza chiese il permesso alla padrona, che acconsentì e le raccomandò di non farsi riconoscere dal padrone. Così, salita di corsa in camera e aperta la castagna, la giovane si trovò tra le mani uno stupendo abito colore della luna. Alla festa il padrone, che non aveva occhi che per lei, le chiese dove
abitava. E lei rispose: "Abito in una casa dove chi vuole andare alla festa si prende le molle sulla testa", e dopo due balli sparì.
Il giorno dopo il padrone disperato si procurò un anello per metterglielo al dito durante la terza festa da ballo.
Anche in quest'occasione la fanciulla chiese il permesso al padrone di andare alla festa, ma anche questa volta ricevette un rifiuto: "Chi vuole andare alla festa si prende gli stivali sulla testa".
Ma lei non si rassegnava e, chiesto e ottenuto il permesso dalla padrona, purché non si facesse riconoscere, si ritirò in camera sua, aprì la nocciolina e ne uscì uno splendido vestito del colore delle stelle.
Quella sera alla festa il padrone riuscì a infilarle l'anello al dito e le chiese da quale paese venisse. Lei rispose: "Vengo da dove chi vuole andare alla festa si prende gli stivali sulla testa", e scappò.
Il giorno dopo il padrone rimase a letto ammalato e triste, perché era perdutamente innamorato di lei.
Nel frattempo, mentre la madre stava preparandogli la colazione, la fanciulla si offrì di aiutarla e, di nascosto, lasciò cadere I'anello nel caffè.
Mescolandolo, il padrone lo riconobbe e subito chiese alla madre chi avesse tagliato il pane e preparato il caffè, e lei gli disse che era stata la curacenere.
E così finalmente il padrone trovò la sua amata e la sposò.

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La storia del Barba Zucòn

C'era una volta una casetta, che era abitata da una donna con la sua bambina. Poco lontano in un bosco c'era una casa grande e brutta, dove abitava il Barba Zucòn.
Quando arrivò carnevale la donna volle fare le frittelle, ma aveva bisogno della padella, che solo il Barba Zucòn possedeva, e così mandò la figlia a chiederla in prestito. La bambina aveva paura di andarci, perché si sentiva dire in giro che il Barba Zucòn mangiava i bambini in un solo boccone. Ma la madre la convinse e le consigliò di dirgli che al momento di restituirgli la padella, gli avrebbe portato un cesto di frittelle per ringraziarlo.
Così la bambina si incamminò nel bosco, lo attraversò, raggiunse la casa, bussò e uscì il Barba Zucòn. "Cosa vuoi?", chiese il Barba Zucòn. "Mi manda la mamma a chiedere se potete prestarmi la padella, perché deve fare le frittelle e poi, quando ve la restituiremo, vi porteremo una bella cesta di frittelle", rispose la bambina. "Va bene te la presto, ma se non mi porterai il cesto di frittelle, ti mangerò in un sol boccone", rispose il Barba Zucòn.

Così la bambina se ne tornò a casa, aiutò la mamma a impastare, friggere e zuccherare le frittelle, e ne prepararono un bel cesto per Barba zucòn.

Come promessi si incamminò di nuovo verso il bosco per restituire la padella e per portare il cesto di frittelle al Barba Zuccòn.
Cammina, cammina la bambina cominciò a sentire un certo languorino e pensò che se avesse mangiato una frittella il Barba Zucòn non se ne sarebbe accorto, e la mangiò.  La frittella era proprio buona e pensò che se ne avesse mangiata un'altra il Barba Zucòn non se ne sarebbe accorto, e la mangiò. E così pensando e facendo, in men che non si dica se le mangiò tutte.
Ma adesso a pancia piena le tornarono in mente quelle minacciose parole del Barba Zucòn: "Se non mi porterai il cesto di frittelle, ti mangerò in un sol boccone", e cominciò a piangere e disperarsi.
Ma passando vicino a un fiume, vide che un asino aveva appena fatto le sue cacchette, che sembravano proprio delle frittelle, così le venne l'idea di metterle nel cestello al posto delle frittelle.
Arrivata alla casa, bussò e subito apparve sulla soglia il Barba Zucòn. In tutta fretta la bambina gli restituì la padella, gli consegnò il cesto con le finte frittelle e scappò a gambe levate. Il Barba Zucòn, che era un ingordo, se ne mise subito una in bocca per assaggiarla, ma subito con un boccaccia di disgusto la sputò, e tutto arrabbiato esclamò: "Questi non sono scherzi da fare al Barba Zucòn, vedrai che questa notte verrò a casa tua a mangiarti in un sol boccone".
Quando arrivò a casa, la bambina raccontò in lacrime quello che era successo, e a sua madre venne un'idea. Preparò una bambola di pezza e la imbottì di paglia mista ad aghi, chiodi, vetri e puntine. Siccome madre e figlia dormivano insieme, dopo essersi coricata al suo posto, la madre mise la bambola sotto le coperte al posto della figlia, e questa invece finì ai piedi del letto.
A mezzanotte udirono un tuono e la porta aprirsi cigolando, era il Barba Zucòn, che disse alla bambina: "Guarda che sono al gradino scalino della scala", e la madre diceva alla bambina: "Ficcati sotto, ficcati sotto".

"Guarda che sono sul secondo gradino!", diceva il Barba Zucòn, e la madre: "Ficcati sotto, ficcati sotto".
"Guarda che sono sul terzo gradino!", e la madre: "Ficcati sotto, ficcati sotto".
"Guarda che sono sull'ultimo gradino!", e la madre: "Ficcati sotto, ficcati sotto".
"Guarda che sono dietro la porta", e la madre: "Ficcati sotto, ficcati sotto".
"Guarda che sono ai piedi del letto!", e la madre: "Ficcati sotto, ficcati sotto".
"Guarda che sono vicino alla testiera del letto, sono il Barba Zucòn ti mangio in un sol boccone!", e ahm!, si mangiò la bambola di pezza piena dl aghi e chiodi.
E non appena la bambola arrivò nella pancia, il Barba Zucòn cominciò ad urlare, e invece di uscire dalla porta si buttò dalla finestra e si spaccò la testa.

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L'uccello Belverde

C'era una volta un re che aveva tre figlie. Un giorno partì per un viaggio e chiese alle figlie quali regali preferissero. La prima chiese un bel vestito, la seconda anche, e la terza chiese l'uccellino Belverde. Al suo ritorno il padre accontentò le figlie, e raccomandò alla terza figlia di non rivelare agli altri il suo regalo.
Un giorno l'uccellino prese a sgambettare dentro la gabbia, facendo capire che desiderava uscire. La giovane allora aprì la gabbia e in un istante I'uccellino era già volato via.
La fanciulla prese allora a seguirlo e cercarlo per i boschi, finché arrivò ad una casa isolata, che era abitata da una vecchia.
"Chi osa bussare alla mia porta dopo tanti anni?", chiese la vecchia.
"Sono una ragazza e cerco l'uccellino Belverde", rispose la giovane.
La vecchia le aprì la porta, e le raccomandò di nascondersi bene dentro casa, perché erano in arrivo i suoi dodici figli affamati, che, se I'avessero vista, l'avrebbero mangiata. Inoltre lei non sapeva dove fosse l'uccellino, ma sicuramente i figli le avrebbero dato qualche informazione.
Infatti, dopo aver mangiato, i dodici uomini le mostrarono la direzione per un'altra casa isolata.
La giovane si diresse a questa casa e, arrivata, bussò alla porta.
Le aprì una vecchia, che le disse: "Chi osa bussare alla mia porta dopo tanti anni?".
"Sono una ragazza e cerco l'uccellino Belverde", rispose la giovane.
La vecchia disse che non lo sapeva, ma aggiunse che il figlio, che sarebbe arrivato il giorno dopo, poteva darle delle informazioni.
Così la fanciulla si nascose nuovamente finché l'uomo le indicò una casa dove vivevano dodici donne, una delle quali era sposata con l'uccellino.
Quando si congedò la vecchia le diede una noce, una nocciola e una castagna, da usare nel momento di maggior bisogno.

Bisogna infatti chiarire a questo punto della storia che l'uccellino Belverde si era trasformato in uomo.
Le undici donne della casa indicarono dunque alla nostra ragazza il palazzo dove l'uccellino viveva con la loro sorella.

Dopo tanto camminare finalmente la fanciulla arrivò al palazzo giusto, bussò e chiese di essere assunta per fare qualche servizio, come pascolare le oche. Fu assunta.
Qui veramente abitavano l'uccellino Belverde, che non l'aveva riconosciuta e sua moglie.
Un giorno, tornata dal pascolo, la giovane si ricordò delle parole della vecchia e ruppe la nocciola: ne uscirono dei gioielli di una luminosità eccezionale.
La padrona, informata dalla serva dei gioielli, glieli chiese in prestito per un giorno. E la pastorella accettò purché potesse trascorrere la notte insieme all'uccellino Belverde.
La padrona dapprima si rifiutò, ma poi, vista l'ostinazione della giovane e desidérosa di avere i gioielli, accettò, ma mise di nascosto un potente sonnifero nella bevanda del marito.
Quella notte infatti la nostra fanciulla cercò ripetutamente di svegliare I'uccellino Belverde, chiamandolo per nome, ma questo non si svegliava. Il giorno dopo la fanciulla, dopo essersi recata al Pascolo come al solito, ruppe la noce e ne uscirono degli splendidi vestiti.
Di nuovo la padrona venne informata di questi vestiti e chiese alla Pastorella di averli in prestito Per un giorno. Questa le disse che avrebbe accettato solo in cambio di un'altra notte insieme con l'uccellino Belverde. Dopo un altro battibecco la padrona accettò lo scambio, ma di nascosto diede al marito un potente sonnifero.

Così anche durante tutta la seconda notte la giovane tentò inutilmente di svegliare l'uccellino che dormiva profondamente.
Il giorno dopo la fanciulla, come al solito, andò al pascolo e poi ruppe la castagna: ne uscì una tovaglia preziosa.
Ancora una volta la padrona fu informata dalla serva e volle tovaglia in prestito. La ragazza strappò un'altra notte insieme con l'uccellino.
La notte precedente, però, un servo che dormiva proprio nella stanza accanto a quella del padrone, aveva sentito delle voci nella camera, e di questo informò il padrone. Ma quest'ultimo disse che non aveva sentito nulla, e insospettito di ciò decise di stare in guardia quella sera.
Così non bevve la bevanda con il sonnifero che la moglie gli aveva preparato e quando la giovane lo svegliò durante la notte, la riconobbe.
Così il giorno dopo decisero di sposarsi e, siccome la padrona non voleva accettare la cosa, fu bruciata in un grande falò.

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Le tre oche e il lupo

C'era una volta una mamma e una bimba che abitavano in una casetta insieme a tre ochette.
Ogni giorno la bambina portava le sue ochette a pascolare nei prati.
Un giorno, cammina, cammina alla ricerca di un bel posto all'ombra si allontanarono molto da casa, ma finalmente trovarono un bel posto. Così le oche sì rimpinzarono per bene e la bambina si sedette sotto un ombroso albero a fare merenda.
Ma all'improvviso il cielo si fece scuro, le nubi si accavallavano da far spavento, il vento iniziò a fischiare, i lampi illuminavano a giorno il prato e i tuoni rimbombavano nella valle.
La bambina tutta impaurita cominciò a piangere e a correre a gambe levate, per raggiungere prima possibile la sua casetta, e così le tre ochette rimasero sole e abbandonate nel prato.
Anche loro erano spaventate, e si misero a cercale un riparo, anche perché si diceva che da quelle parti si aggirasse un lupo mannaro.
Così pensarono di costruirsi una casetta per ciascuna. La più grande si strappò una penna e disse: "io mi farò una casetta di penne", e così fece.

La mezzana cercò un po' di paglia e disse: "io mi farò una casetta di paglia", e così fece.
La più piccola, che era la più furba, cercò delle pietre e disse: "io mi farò una casetta di pietre", e così fece.
Nel frattempo il lupo, che girava da quelle parti, fiutò l'odore di ochette e si avvicinò alle tre casette, che ormai erano bell'e fatte.
La prima che incontrò fu la casetta di penne e bussò alla porta, TOC, TOC: "chi è?", chiese la ochetta più grande.
"Sono il lupo, aprimi che muoio di freddo con questo tempaccio", rispose il lupo.
"Eh no, non ti apro, perché poi tu mi mangi!", disse l'ochetta con un fil di voce.
Allora il lupo si arrabbiò e soffiò con tutto il fiato che aveva sulla casetta, che, siccome era fatta di penne, se ne volò via subito lasciando l'ochetta indifesa, tanto che fu mangiata in un boccone.
Ma il lupo aveva ancora fame, e proseguì verso la seconda casetta, quella fatta di paglia dall'ochetta mezzana. TOC, TOC."Chi è?", chiese I'ochetta tutta tremante.
"Sono il lupo, aprimi per favore perché altrimenti con questa pioggia annego", rispose il lupo.
"Eh no, non ti apro, perché poi tu mi mangi!". esclamò l'ochetta mezzana.
Allora il lupo arrabbiato soffiò sulla casetta di paglia' che in un batter d'occhio volò via. Così per la seconda volta il lupo ebbe la meglio e si mangiò anche l'ochetta mezzana.
Non ancora contento si diresse verso la casetta di pietra dell'ochetta più piccola. TOC, TOC.
"Chi è?", chiese I'ochetta ansimante".
"Sono il lupo, aprimi, perché sono mezzo annegato", rispose il lupo.
E l'ochetta, che era la più furba, rispose: "Aspetta un momento, che non trovo più la chiave".
Il lupo, sorpreso dalla risposta dell'ochetta, si insospettì e per non sbagliare soffiò.
Ma questa volta la casetta era di pietra e non volò via come le altre.
Allora il lupo cambiò tono e implorò ancora l'ochetta di aprirgli perché faceva freddo. E l'ochetta gli suggerì astutamente di entrare dal camino, perché lei aveva perso la chiave della porta.
Il lupo non se lo fece dire due volte e pian pianino si arrampicò sul tetto della casa.
Nel frattempo l'ochetta aveva preparato un bel pentolone fumante di acqua bollente sul fuoco, e così quando il lupo scese dal camino scivolò dentro alla pentola si scottò così tanto da morire.
In un battibaleno l'ochetta prese un coltello, gli tagliò la pancia e ne uscirono le altre due ochette ancora vive, perché il lupo le aveva inghiottite in un boccone, senza masticarle.

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La mela d'oro

C'era una volta un re che aveva tre figlie. Un giorno decise di fare un viaggio e, al momento di partire, la moglie gli ricordò di portare un regalino a ciascuna figlia.
Dopo una ventina di giorni il re tornò, e subito le figlie gli andarono incontro per aprire i regali.
Così la prima figlia ricevette una noce, l'aprì e vi trovò un bel fazzoletto.
La seconda figlia ebbe in dono una nocciola, l'aprì e vi trovò un bel paio di orecchini.
Alla terza figlia il re regalò una mela d'oro.
Questa andò subito nella sua camera con il dono, e giocherellando sul balcone le cadde la mela nel fiume che passava proprio sotto.
Il mattino dopo la fanciulla ebbe una sorpresa quando si affacciò al balcone: la mela era diventata nel frattempo un albero di mele.
"Bell'albero di mele, alzati", disse, e con sua meraviglia l'albero si alzò, permettendole di prendere alcune mele. Poi disse: "Bell'albero di mele, abbassati", e l'albero si abbassò.
"Bell'albero di mele spaccati e trasformati in un mezzo che mi permetta di girare il mondo", e così fu.
La fanciulla viaggiò per mari e per monti, finché arrivò davanti al balcone del palazzo di un gran signore, e qui si fermò.
Il giovane non poteva aprire la finestra della sua camera, perché i rami alti dell'albero impedivano qualsiasi movimento. Così, meravigliato chiamò sua madre per mostrarle il prodigio. Ma guardando bene notò che in questo strano albero c'era una bella fanciulla, e disse: "Albero alzati", ma l'albero non rispondeva alla sua voce.
Allora la giovane pronunciò le parole e l'albero si alzò fino a permetterle di entrare dalla finestra. Così la giovane fu ospitata nel palazzo.
Il giovane signore era in procinto di fare un viaggio ma lei prima che lui partisse, gli lasciò un anello e disse: "Finché quest'anello sarà lucido, significherà che starò bene, se sarà scuro, vorrà dire che sono morta".
La fanciulla in attesa del suo giovane era sempre chiusa in camera e riceveva il cibo attraverso una finestra.
In quella casa serviva da lunghi anni una cameriera brutta, che era segretamente innamorata del signore e molto gelosa.
Così un giorno quest'ultima entrò di nascosto nella camera e fece un'azione orribile: tagliò la testa alla fanciulla e la buttò dalla finestra, dove c'era l'albero.
Ma il giovane, anche se lontano da casa vide che l'anello era diventato scuro, e, ricordando le parole di lei, si precipitò a casa.
Non appena entrò in camera, vide il corpo senza vita dell'amata sul letto e, affacciatosi alla finestra, vide la testa tra i rami dell'albero.
Allora disse: "Bell'albero di mele, alzati", e l'albero alzò i rami e gli consegnò la testa della fanciulla. Il giovane la riattaccò al corpo massaggiando delicatamente il collo della donna con un unguento. Dopo tre massaggi, la fanciulla sospirò, aprì gli occhi e raccontò quel che era avvenuto.
I due giovani si sposarono subito e tornarono al paese della fanciulla per festeggiare con i suoi genitori, mentre la cameriera gelosa fu presa e buttata in un grande falò.

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L'amore delle tre arance

C'era una volta un ragazzo che aveva un unico desiderio: cercare l'amore delle tre arance.
Un giorno partì dunque alla ricerca, e arrivò nel mezzo di un bosco, dove si intravedeva una casa.
Qui bussò e gli aprì una donna così vecchia che aveva gli occhi chiusi dalle rughe e gli chiese cosa voleva.
Il ragazzo le aprì le palpebre degli occhi e le disse che stava cercando l'amore delle tre arance.
La vecchia gli rispose che lei non lo sapeva, ma suo figlio, il vento, sicuramente ne sapeva di più. Gli propose quindi di aspettarlo, ma lo nascose per bene nella casa, perché il vento sarebbe tornato a casa molto affamato, ed era meglio non stuzzicarlo.
Infatti poco dopo il figlio rientrò a casa e, dopo aver mangiato avidamente tutto ciò che la vecchia madre gli aveva preparato, venne il momento dì parlare dell'amore delle tre arance.
Il Vento sapeva dove trovarlo, così fece salire il giovane in groppa e in un batter d'occhio, volarono via veloci tra i rami degli alberi, dentro le porte delle case, fuori dai camini, fino ad arrivare ad una casa nel bosco.
Qui bussarono e una vecchia consegnò al ragazzo le tre arance, ma gli raccomandò di non aprirle finché non fosse arrivato a casa.
Tutto contento il giovane si incamminò lungo la strada dei ritorno, ma era troppo curioso, e decise di aprire un'arancia.
All'improvviso ne uscì una fanciulla che disse: "Se bérrò vivrò, se non berrò morirò", e morì subito.
Il giovane fu sorpreso dall'accaduto e continuò per la sua strada.
Ma la sua curiosità non era stata appagata e, dopo un po' di tempo decise di aprire anche la seconda arancia.
Apparve un'altra bellissima fanciulla che gli disse: "Se berrò vivrò, se non berrò morirò", e morì subito.
A questo punto il giovane si ripromise di stare più attento la prossima volta, perché gli restava solo un'arancia.
Cammina e cammina, arrivò ad un fiume e quindi pensò che questo era il posto giusto per aprire l'arancia, perché l'acqua era a portata di mano.
Così aprì la terza arancia e subito apparve un'altra fanciulla che disse: "Se berrò vivrò, se non berrò morirò".
Il giovane allora prontamente le rispose: "Io ti darò da bere", corse al fiume, prese dell'acqua e la porse alla fanciulla, che la bevve tutta di un fiato e gli sorrise.
Lui pensò che era la più bella ragazza che avesse mai visto e che sarebbe diventata la sua sposa.
Ma la sua casa era lontana e non voleva stancare troppo la sua promessa sposa, così pensò di andare a casa da solo per radunare parenti e amici, venire a prendere la fanciulla con il cavallo e organizzare poi lo sposalizio. Ma dove lasciare la ragazza nel frattempo?
Gli venne un'idea: vide una casa vicina al fiume, bussò e gli aprì una donna, alla quale chiese se poteva ospitare per un po' di tempo la sua sposa.
La donna, che era particolarmente brutta, accettò e consigliò alla sposa di farsi bella per le nozze e si offrì di pettinarle i lunghi capelli setosi.
Ma questa donna era una strega e voleva prendere il posto della fanciulla. Così mentre la pettinava, le infilò un fermaglio dietro l'orecchio e la ragazza si trasformò in una colomba bianca che volò via, mentre la strega prontamente infilò i vestiti della sposa.
Al suo ritorno alla casa vicino al fiume con il seguito di parenti il giovane rimase molto sorpreso e turbato nel vedere la sua promessa sposa così imbruttita, ma lei gli disse che nel frattempo si era un po' sciupata a causa della stanchezza, e che una volta sposata e riposata sarebbe diventata bella come prima.
Ancor più stupiti furono i parenti alla vista della sposa, dopo che il giovane aveva girato tanti paesi per cercare l'amore, e dopo che aveva descritto la sua sposa come la più bella fanciulla che avesse mai visto.
Tuttavia la cerimonia nuziale cominciò, e mentre tutti erano seduti al banchetto una colomba bianca entrò dalla finestra e cominciò a svolazzare vicino al giovane.
"Che bella colomba bianca!", disse il giovane.
"Manda via quella brutta bestiaccia, non la voglio vedere", rispose la
strega travestita da sposa.
"Ma no, è dolce e si lascia accarezzare, sentì ha qualcosa sulla testolina", disse toccando il fermaglio che la strega aveva messo dietro l'orecchio.
Non appena lo sfiorò, la colomba si tramutò nella fanciulla bellissima, lasciando a bocca aperta tutti gli invitati e lo sposo, che esclamò: "Questa è la mia sposa".
Così i due giovani finalmente si sposarono, ci fu una grande festa e, dopo che si seppe dell'imbroglio inventato dalla strega, questa fu presa e portata su di una pila di legno ardente tra le grida della gente che dicevano: "Viva la vecia, viva la vecia".

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Storie dal mondo:

 

Il magico uccello dai colori bellissimi

 In un piccolo villaggio un giorno arrivò un uccello strano che fece il suo nido tra le basse colline. Da quel giorno nulla fu più al sicuro e ogni cosa che gli abitanti piantavano spariva dai campi durante la notte, ed anche durante il giorno, mentre tutti erano nei campi al lavoro, l'enorme uccello entrava nei magazzini e nei granai, e rubava con la forza le provviste per l'inverno.

 Le pecore, le capre e le galline erano sempre di meno, il villaggio andò in rovina e tutti finirono in miseria. Nessuno purtroppo, neppure l'eroe più coraggioso del villaggio, riusciva a fermare l'uccello poiché era troppo veloce, si faceva persino fatica a vederlo, si sentiva solo lo sfrecciare delle grandi ali quando veniva ad appollaiarsi in cima al vecchio albero, al riparo della sua fitta chioma di foglie gialle.

 Il capo del villaggio si disperava ed un giorno, ordinò agli anziani di affilare ascia e machete e di andare tutti insieme a caccia dell'uccello. Ordinò agli anziani di abbattere l’albero su cui stava appollaiato in modo da farlo cadere a terra.

 Con asce e machete affilati e luccicanti, gli anziani si avvicinarono al grande albero. I primi colpi affondarono pesantemente fin dentro il corpo vivo del tronco, l’albero vacillò, e dal fitto fogliame su in cima, spuntò lo strano e misterioso uccello. Dalla sua gola uscì un canto dolce come miele che s’insinuò nel cuore degli uomini e raccontò di cose meravigliose e remote che mai più ritorneranno. Quel suono era così incantevole che asce e machete ad uno ad uno caddero dalle mani degli anziani. Essi s’inginocchiarono e volsero lo sguardo sognante e malinconico verso l'uccello che cantava per loro in tutto il suo splendore.

 Le mani degli anziani divennero fiacche ed i loro cuori si fecero teneri. No, pensarono, un uccello così bello non poteva aver causato tanto danno e devastazione! Quando il sole calò rosso ad ovest, si trascinarono come sonnambuli dal loro capo e dissero che non c'era nulla, ma proprio nulla, che essi potessero fare contro quell'animale.

 Il capo si arrabbiò molto ed ordinò ai giovani di abbattere l’albero. Il mattino dopo i giovani si armarono di asce e machete luccicanti e partirono. Di nuovo i primi colpi affondarono pesantemente nel corpo vivo del tronco, ma proprio come la prima volta, la grande chioma dell'albero si apri e lo strano uccello comparve in tutta la sua variopinta bellezza. Ancora una volta, la melodia più straordinaria riecheggiò tra le colline ed i ragazzi ascoltarono, incantati, quel canto che parlava loro d'amore e di coraggio e delle gesta eroiche che li attendevano. Quell'uccello non poteva essere cattivo, pensarono, e le braccia dei ragazzi diventarono fiacche, le mani lasciarono cadere asce e machete e, come gli anziani prima di loro, essi caddero in ginocchio e ascoltarono in trance il canto dell'uccello.

 Quando calò la notte, tornarono barcollanti e confusi dal capo mentre nelle loro orecchie risuonava ancora il canto dell'uccello misterioso e dissero al capo del villaggio: “Nessuno può resistere al potere magico dell'uccello”. Il capo del villaggio che s’infuriò e rispose “non restano che i bambini, essi sanno ascoltare e hanno occhi limpidi, li condurrò contro l'uccello”.

 Il mattino dopo, il capo e i bambini della tribù si diressero all'albero su cui riposava lo strano uccello. Non appena i bambini fecero saggiare all'albero il morso dell'ascia, la fitta chioma sì apri e l'uccello comparve come sempre con la sua bellezza accecante. Ma i bambini non guardavano in alto, i loro occhi erano posati sulle asce e i machete che avevano in mano ed essi continuavano a tagliare.

 L’uccello cominciò a cantare, il capo riusciva a sentire che quel canto era di una bellezza senza pari, riusciva a sentire che le mani s’indebolivano, ma le orecchie dei bambini riuscivano a sentire solo i colpi secchi e regolari delle asce e dei machete. Per quanto incantevole fosse il canto dell'uccello, i bambini continuarono a tagliare, tagliare, tagliare.

 Finalmente il tronco scricchiolò, si spezzò, l’albero si schiantò a terra e con lui precipitò l'uccello strano e misterioso. Il capo trovò l'uccello lì dove giaceva, schiacciato dal peso dei rami.

 La gente arrivò di corsa per vedere, gli anziani disillusi e i giovani vigorosi non riuscivano a credere che i bambini fossero riusciti nell'impresa con le loro esili braccia!

 Quella sera, il capo proclamò una gran festa in segno di ricompensa per i bambini e disse: “Voi siete gli unici a saper ascoltare e ad avere gli occhi limpidi, voi siete gli occhi e le orecchie della tribù”.

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La gatta che venne in casa

Questa storia che proviene dallo Zimbabwe, spiega come i gatti divennero abitanti delle case degli uomini.

C’era una volta una gatta, selvatica, che viveva tutta sola nella giungla. Dopo un pò si stufò di vivere sola e si trovò un marito, un altro gatto selvatico che a lei pareva la creatura più deliziosa di tutta la giungla.

Un giorno, mentre andavano a zonzo lungo il sentiero tra l'erba alta, spuntò fuori Leopardo, e il marito di Gatta venne spazzato via, pelo zampe e tutto il resto, a terra nella polvere.

«oh, oh! - disse Gatta -. A quanto pare mio marito è finito nella polvere e non è la creatura più deliziosa di tutta la giungla. Leopardo invece sì che lo è». E così Gatta andò a vivere con Leopardo.

Vissero insieme molto felicemente finché un giorno, mentre erano a caccia nella boscaglia, all'improvviso con un balzo Leone piombò dritto addosso Leopardo e se lo divorò.

«oh, oh, oh! - disse Gatta -. A quanto pare Leopardo non è la creatura più deliziosa di tutta la giungla. Leone invece sì che lo è».

E così Gatta andò a vivere con Leone.

Vissero insieme motto felicemente finché un giorno, mentre girovagavano nella foresta, una sagoma enorme comparve minacciosa sulle loro teste, Elefante posò una zampa sulla testa di Leone e lo schiacciò al suolo.

«Oh, oh, oh, oh! - disse Gatta -. A quanto pare Leone non è la creatura più deliziosa di tutta la giungla. Elefante invece sì che lo è».

E così Gatta andò a vivere con Elefante. Si arrampicò sulla sua groppa e si accomodò a fare le fusa sul suo collo, giusto in mezzo alle orecchie.

Vissero insieme molto felicemente finché un giorno, mentre passavano tra le canne alte in direzione del fiume...pum-pum! - ci fu una forte esplosione, ed Elefante si schiantò a terra.

Gatta si guardò intorno e tutto ciò che riuscì a vedere fu un omino con un fucile.

«Oh, oh, oh, oh, oh! - disse Gatta -. A quanto pare Elefante non è la creatura più deliziosa di tutta la giungla. Uomo invece sì che lo è».

E così Gatta seguì Uomo fino alla sua casa, e saltò sul tetto di paglia della capanna.

«Finalmente - disse Gatta -, ho trovato la creatura più deliziosa di tutta la giungla».

Gatta visse tutta felice sulla paglia del tetto e cominciò a dare la caccia ai topi e ai ratti che vivevano nel villaggio. Finché un giorno, mentre se ne stava sul tetto a scaldarsi al sole, sentì un rumore provenire dall'interno della capanna. Le voci di Uomo e di sua moglie si fecero sempre più alte finché Uomo uscì, e ruzzolò a terra nella polvere.

«Ah, ah! - disse Gatta -. Ora sì che so chi è la creatura più deliziosa di tutta la giungla.

Gatta scese giù dalla paglia, entrò nella capanna, e si sedette accanto al fuoco vicino a Donna.

E da allora lì è rimasta per sempre.

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I doni di Re Leone

Re Leone dava una grande festa e nessun animale poteva mancare, poiché un invito di Re Leone era legge. Solo l'antilope puntava le zampe. «Oh no disse, Leone di certo non vede l'ora di banchettare con la nostra famiglia. Se andiamo a questa festa chi ci assicura che non ci mangerà?».

«E vero, è vero! » disse in coro un gruppo di antilopi.

«Allora ci andrò da solo una di loro. Se non ci vado potremmo avere dei problemi».

«D'accordo, andiamo» disse l'altro maschio.

L'antilope femmina sbuffò rabbiosa e non mosse una zampa. Solo la vecchia Nonna Antilope non poteva resistere a un invito che prevedeva un banchetto - anche se c'era il rischio che gli ospiti finissero col mangiare lei!

E così gli animali cominciarono ad arrivare. Leopardo e Coniglio, Zebra e Talpa, Elefante, Puzzola e Serpente. Babbuino era troppo curioso per tenersi alla larga; Scimmia era troppo stupida. C'erano anche Irace, Ippopotamo e Lucertola, e anche lena e Sciacallo. oh, sì - quella festa era proprio la fine del mondo.

Dapprima ballarono un po' e Babbuino menava le danze. Poi si misero a cantare e lo Sciacallo sfoggiò una bella voce. Dopo di che mangiarono miele e bevvero latte. Anche Leone, Leopardo, Lince e lena mangiarono insieme agli altri, come se non avessero mai assaggiato il sangue. Leone riteneva che a una festa non fosse il caso di servire i familiari degli ospiti.

«Adesso ascoltatemi, miei ammali!» disse Leone quando ebbe ripulito con la lingua la ciotola del miele (poiché un re mangia per primo, per ultimo e un bel po' anche nel mezzo, agli altri non resta che prendere quel che capita). «Ascoltate, miei animali! - disse di nuovo -. Vorrei offrire un dono a ciascuno di voi per dimostrarvi che sono un buon re».

«Grazie, grazie, grazie!» urlarono gli animali, e si accalcarono, ognuno col timore che prima ancora di poter giungere in testa al gruppo qualcun altro potesse ricevere il regalo migliore.

«Calma! - ruggì Leone -. Chi scalpita non avrà nulla - e gli avidi avranno il loro dono per ultimi».

Il che riportò un po' di calma.

«Quelli di voi che vorrebbero le corna - disse Leone - si mettano da un lato!».

«Corna? - chiese Antilope ai suoi compagni -. Non vi pare che a noi starebbero bene le corna?».

«E’ vero! E’ vero! », urlarono le antilopi, e si raggrupparono da un lato.

«Ecco - disse Leone, ed esse si misero le corna -. Ma le vostre femmine che non sono venute non avranno niente».

Elefante vide le antilopi sfilare in parata e cominciò ad agitare la sua mole imponente per avvicinarsi a Leone. «Anch'io voglio le corna», disse e con la bocca ne afferrò un bel paio bianche.

«Sfacciato insolente! - ringhiò Leone -. Visto che sei stato così sfacciato, le corna ti resteranno attaccate alla bocca, e non potrai spostarle sulla testa, come le antilopi».

«Oh, santo cielo! - balbettò Elefante -. Ma adesso ho il naso troppo corto. Non riesco... non riesco... non riesco... a respirare!».

«Prendi questo! » disse Leone, e tirò il naso di Elefante fin quasi a farlo strisciare per terra. «Va meglio così?».

«Grazie», mormorò Elefante, e si allontanò strascicando le zampe, con un paio di corna a mo' di denti e il naso penzoloni.

Ma attorno al mucchio di corna era già in corso un altro parapiglia. Era Rinoceronte che ficcava il naso qua e là.

«Ma bene - disse Leone -, dal momento che ti piace ficcare il naso dappertutto, tu avrai le corna ficcate dritte sul naso».

«Oh, no - io non le voglio affatto! » disse Rinoceronte, e subito tentò di aggredire il re con le sue nuove corna. Ma Leone gli diede una zampata tale da accorciargliene una e da fargli quasi uscire gli occhi dalle orbite. Ecco perché, ancora oggi, Rinoceronte ci vede così male e ha uno strano paio di corna.

Leone si diresse al mucchio successivo. «E qui abbiamo delle bellissime orecchie!», disse.

A dire il vero, gli animali sono proprio come i bambini: non hanno orecchie, e neppure le vogliono. Ma Leone ne aveva già afferrato un paio lunghe, e non aveva intenzione di rimettere giù una cosa una volta che l'aveva presa, perché lui era il re. «Allora, prendete queste!» disse, e le mise sul primi due animali che gli capitarono a tiro. Erano Asino e Coniglio. E a loro non restò altro che ringraziare.

«Chi vuole dei bel vestiti?», incitò Leone.

La cosa destò stupore. Leone di certo sapeva il fatto suo, poiché agli animali piace un mondo mettersi in mostra. Ognuno vorrebbe sempre avere un aspetto migliore di chi gli sta vicino.

A Leopardo toccò un vestito maculato. Zebra fu vestita con una giacca a strisce. Quanto a Cavallo e Mucca, quella è una lunga storia.

«Noi lavoriamo nella fattoria», disse Cavallo.

«E ci tocca vestirci per bene tutti i giorni», disse Mucca.

«Un abito solo non ci basta», disse Cavallo.

«Non vorremo certo che il contadino rida di noi animali», disse Mucca.

«D'accordo, d'accordo», disse Leone, poiché la coda del Cavallo gli piaceva e Mucca aveva una voce così soave da intenerire persino il cuore di un re. «Venite qua! ».

Cavallo fu il primo. oh, ma definirlo bello non gli rende giustizia! A lui toccarono degli abiti pezzati grigio e nocciola, marrone scuro e bianchi come la neve, e neri come la notte. «Grazie mille», disse e trottò via. Ma dopo qualche tempo si stufò di tutto quel svestirsi e rivestirsi, cosicché spartì gli abiti tra i suoi figli. Ed ecco perché, ancora adesso, ogni cavallo ha un unico abito, ma l'aspetto di ogni cavallo è diverso dall'altro.

A Mucca toccò un abito variopinto, una giacca rossiccia e un abito da festa nero. Ma dopo un po' fece come Cavallo e li passò al figli.

Mentre Leone era ancora alle prese con Mucca, una voce stridula si levò dal gruppo: «Ehi, e a me? Non vorrai dare tutti i vestiti migliori a Cavallo e Mucca!». Era Giraffa.

«Che villana! - esclamò Leone - Come osi urlare al tuo re? D'ora in poi non parlerai più!». E così avvenne che Giraffa perse la voce.

Tanto per far capire agli animali che non voleva che gli mettessero fretta, Leone fece un altro giretto intorno al mucchio delle corna e ne scelse un paio per Mucca, da abbinare al completi che le aveva donato.

«Grazie mille», disse Mucca e se ne andò via con i suoi doni.

Ma Giraffa, pur non potendo dire una parola, sembrava così sconsolata che Leone ebbe pena di lei. «Ecco un abito speciale per te - disse il re -, e un paio di corna da abbinarci».

Giraffa indossò l'abito e le corna, e già aveva un aspetto migliore. Leone la guardò dalla testa al piedi. «E ti darò anche un collo lungo così potrai vedere i nemici da lontano - disse -. E delle gambe lunghe così potrai scappare velocemente». A quel punto Giraffa era contenta, e trotterellò via soddisfatta.

Proprio quando Leone stava per voltarsi, qualcosa si mosse tra le sue zampe. «Ehi!» urlò facendo un salto per aria, e prima che il colpevole potesse scappare, Leone lo aveva già schiacciato. Era Lucertola, che sgusciò dalle zampe di Leone con la testa livida, nera e blu. «La colpa è tua - disse il re D'ora in poi avrai la testa bluastra» (*).

Leone cominciava a diventare impaziente, poiché il sole stava calando e il suo stomaco iniziava a brontolare. Latte e miele non sono cibo vero per il re delle bestie.

E così agli animali non restava che prendere quel che trovavano. Babbuino raccattò una coda a forma di falce. A Coniglio e Talpa ne toccò una lunga e sottile ma, poiché a loro non piaceva, andarono quatti quatti a seppellirla. E così restarono senza niente.

Capra ebbe una barba e prima ancora che Nonna Capra capisse quel che accadeva ne toccò una anche a lei. Gli animali ridacchiavano tra loro, ma Re Leone incalzava. «Avanti! Avanti!», chiamava.

A Ippopotamo furono appioppati quattro denti giganti, e a Serpente toccò accidentalmente la ciotola ricavata da una zucca che Leone aveva rubato a un cacciatore e che conteneva delle erbe medicinali. Serpente mandò giù l'intruglio in un unico sorso. Il liquido cominciò a fermentare e Serpente aveva solo Voglia di sputarlo; l'intruglio si trasformò in veleno e Serpente aveva solo voglia di mordere.

«Tagliategli le zampe! » urlò Re Leone. Ma non servi a niente. Serpente a quel punto era talmente fuori di sé che strisciò via sulla pancia, e ancora oggi morde tutto quello che gli capita a tiro e il suo veleno è più pericoloso che mai.

A Puzzola, dal canto suo, toccò la boccetta di profumo di Re Leone e se la rovesciò tutta addosso. Delizioso, quasi quanto una puzza! Gli animali si turarono il naso e arraffarono quel che potevano: corna, zoccoli e code svolazzanti. E poi se la squagliarono.

«E a noi?» lagnarono lena e Sciacallo, che ancora non avevano avuto nulla perché erano troppo schizzinosi.

Stanco di tante fatiche, Leone si guardò intorno, ma restavano soltanto un ululato e una risata. «Prendete quel che

vi pare - disse - e tra un minuto non voglio più vedervi qua intorno! ».

I due dovettero afferrare quel che c'era. Ed ecco perché, ancora oggi, lena ha la risata più forte di tutti gli animali e quanto a ululati non c'è bestia che possa superare Sciacallo.

Quando la vecchia Tartaruga raggiunse finalmente il posto in cui erano stati distribuiti i doni, non c'era più l'ombra di un animale né di un regalo. Ecco perché ancora oggi si aggira nel suo guscio corneo che Coccodrillo ha fatto per lei. E Rana vive completamente nuda nell'acqua. La lunga attesa l'aveva talmente accaldata che era andata a fare una nuotatina, ma qualcuno le rubò i vestiti. Ora è troppo timida per mostrarsi agli altri animali. Quando se ne sta per un po' al sole, non appena sente qualcosa che si muove, si tuffa subito in acqua. Ma la notte, quando è buio, lei e le sue sorelle escono allo scoperto e allora si può sentire il loro lamento.

« Strazio! Strazio! Strazio! », si lamenta una. « Grave! Grave! Grave!», lamentano le altre.

(*) Si tratta della lucertola del Marocco, di colore verde scuro con la testa bluastra.

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Il messaggio

Questa è la storia di Luna Piena, Zecca e Lepre, e del messaggio che Luna mandò agli uomini tanto, tanto tempo fa.

Non era certo un messaggio qualunque! Anzi, era un messaggio della massima importanza. Perché Luna in realtà non muore mai. Lei ritorna sempre, come vediamo tutte le volte che c'è la luna piena. E Luna voleva che gli uomini sapessero questa verità: «Così come lo muoio e poi rinasco, anche voi morirete e rinascerete».

Luna decise che era Zecca a dover portare agli uomini questo importante messaggio. Sapeva che Zecca la pigra se ne sarebbe rimasta all'ombra di un cespuglio in attesa che passasse una capra o un pastore. Dopo di che sarebbe saltata su uno di loro per farsi dare un passaggio fino al villaggio dove c'erano i falò, e il messaggio sarebbe giunto agli uomini.

E così a Zecca venne consegnato il messaggio da comunicare.

Sfortunatamente Zecca non solo era pigra, ma non ci vedeva neppure bene. Quando Zecca si congedò da Luna col suo messaggio, era ancora notte. Si infilò sotto al più vicino ciuffo d'erba e dormi finché le capre non cominciarono a brucare. Rimase in attesa della sua occasione.

Non appena la prima ombra cadde sul ciuffo d'erba, Zecca saltò fuori, strisciò, si arrampicò lungo la zampa che si trovò di fronte e si tenne ben stretta. Ma Zecca aveva compiuto un terribile errore. Mentre lei ripeteva il messaggio tra sé e sé, per non scordarlo, la terra sotto di lei spari, l'albero tkau e i cespugli di euforbia si fecero sempre più piccoli.

Solo allora si rese conto che quella capra aveva le piume al posto del pelo! La grandula fece il suo verso rauco mentre si preparava ad atterrare su un cespuglio lontano. Si scrollò le piume vigorosamente, Zecca si librò nell'aria e andò ad atterrare tra le canne.

Quella notte stessa Luna spiò tra i cespugli di euforbia più lontani, nella speranza di vedere la gente del villaggio danzare dalla gioia per la buona notizia ricevuta. Ma tutto taceva e i falò ardevano deboli. Dai pianti dei bambini capì che qualcuno era gravemente malato. E allora realizzò che Zecca non aveva ancora comunicato agli uomini la buona novella.

Quella notte cadde qualche goccia di pioggia, e così il secondo giorno la sabbia intorno a Zecca pullulava di antilopi e gazzelle che saltavano dalla gioia. Un'ombra attraversò il canneto dove Zecca stava in attesa e lei pensò, «Ci siamo», e cominciò la scalata.

Oh no, quella a cui Zecca era attaccata non era la zampa di una capra! Quando se ne rese conto, la gazzella coi suoi salti aveva già oltrepassato il villaggio, e inseguiva la pioggia lontano, in direzione del tramonto.

Quando la gazzella si fermò a brucare nel tardo pomeriggio, Zecca realizzò che un altro giorno era passato senza che il messaggio fosse stato consegnato. E ormai il villaggio era al dì là di quel monti che erano ancora più in là dei monti più lontani.

Poco dopo, quando Luna spiò tra i cespugli di euforbia, vide che i falò erano ancora più fiochi della notte precedente e senti che la gente si lamentava. Qualcuno si era davvero gravemente ammalato, e Luna capì che Zecca non aveva ancora consegnato il suo messaggio di gioia.

Il terzo giorno, mentre Zecca se ne stava su una pianta di acetosa, Lepre venne a rosicchiarne le foglie succose. E Zecca le raccontò il suo problema.

Lepre, che era terribilmente curiosa, volle subito sapere quale fosse il messaggio, e Zecca glielo snocciolò senza indugi: «Così come lo, Luna, muoio e poi rinasco, anche voi morirete ma rinascerete».

«Si tratta di un messaggio importante - pensò Lepre tra sé

Se lo consegnerò alla gente del villaggio, entrerò nelle grazie di Luna». Subito si offri di portare Zecca al villaggio.

Erano appena giunti al primi cespugli di euforbia che Lepre diede una scrollata al suo manto di pelo, e Zecca fece un volo per aria. In un battito di ciglia Lepre le urlò: «Vattene via! », e prosegui rapida verso il villaggio, per consegnare il messaggio agli uomini.

Purtroppo, se Zecca era miope, Lepre aveva la vista corta. Non pensava ad altro che alla fama e alla fortuna che avrebbe guadagnato grazie all'importante messaggio che portava. Ma non se l'era ripassato continuamente come aveva fatto Zecca; era scappata a gambe levate, tanto che le orecchie e la coda bianca e soffice erano apparse come un baleno sul ciottoli e sui ciuffi d'erba.

Ma quando giunse al villaggio, senza fiato, Lepre non riusciva in alcun modo a ricordare il messaggio così come glielo aveva detto Zecca. Continuava a ripeterlo, ma più lo ripeteva più le parole si rimescolavano e lei si confondeva.

Tutta impolverata e pallida, Lepre crollò a terra e consegnò alla gente del villaggio il seguente messaggio: «Così come io muoio e poi non rinasco, anche voi morirete ma non rinasce rete». La gente del kraal (villaggio) cominciò a piangere e a ricoprirsi di cenere e di sabbia, e in quello stesso istante, l'uomo gravemente malato esalò l'ultimo respiro.

Quella notte, quando Luna spiò tra i cespugli di euforbia, non vide un solo carbone ardente. Il kraal era deserto. La gente era andata tutta via. Non c'era traccia di vita.

Scrutò attentamente e non riuscì a scorgere Zecca da nessuna parte, mentre Lepre era ancora accanto al falò spento e ripeteva confusamente il messaggio rimescolato.

Luna si infuriò. Afferrò un ceppo di legno arso e colpì Lepre dritto sul muso. Lepre si prese un tale spavento che lanciò della cenere dritto in faccia a Luna.

Da allora Lepre ha il palato spaccato, e sul volto di Luna si scorge ancora un tocco di cenere.

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Il leone, la lepre e la iena

C’era una volta un leone di nome Simba che viveva in una caverna. In gioventù la solitudine non lo aveva preoccupato, ma non molto tempo prima dell'inizio di questa storia, si era fatto una così brutta ferita alla zampa che non era più in grado di procurarsi il cibo da solo. Finalmente cominciò a capire che la compagnia aveva i suoi vantaggi.

Le cose gli sarebbero andate davvero male se a Sunguru la Lepre non fosse capitato di passare un giorno dalla sua caverna. Guardando dentro, Sunguru capì che il leone stava morendo di fame. Subito cominciò a darsi da fare per l'amico malato e a dargli conforto.

Grazie alle cure premurose della lepre, Simba riguadagnò a poco a poco le forze, finché finalmente non stette abbastanza bene da catturare qualche preda per entrambi. Ben presto una bella pila di ossi cominciò ad accumularsi davanti all'ingresso della caverna del leone.

Un giorno, Nyangau la Iena, mentre fiutava qua e là nella speranza di procacciarsi qualcosa per la cena, senti un invitante profumo di midollo. Il fiuto la condusse alla caverna di Simba, ma poiché dall'interno gli ossi erano ben in vista, essa non poté rubarli indisturbata. Essendo una codarda, come tutta la sua specie, decise che l'unico modo per impossessarsi di quel bocconcini prelibati era quello di fare amicizia con Simba. E così si avvicinò lentamente all'ingresso della caverna e tossì.

«Chi è che rovina la serata con questo orrendo gracchiare?» chiese imperioso il leone, levandosi in piedi e preparandosi a indagare su quel rumore.

«Sono io, la tua amica Nyangau - balbettò la lena, perdendo quel po' di coraggio che aveva -. Sono venuta a dirti quanto sei mancato a tutti noi animali, e come non vediamo l'ora che tu ti rimetta in salute!».

«Bene, sparisci - ringhiò il leone -, perché a me pare che un'amica avrebbe dovuto informarsi della mia salute ben prima, invece di aspettare il momento in cui potrei tornarle nuovamente utile. Sparisci, ho detto!».

La lena strisciò via rapidamente, la coda scarmigliata infilata tra le zampe storte, seguita dal risolini insolenti della lepre. Ma non riusciva a dimenticare la pila di ossi invitanti davanti all'entrata della caverna del leone.

«Ci riproverò», decise la iena. Qualche giorno dopo fece ben attenzione a fare la sua visitina mentre la lepre si era allontanata in cerca di acqua per cuocere la cena.

Trovò il leone che sonnecchiava davanti all'ingresso della caverna.

«Amico mio - sorrise leziosa Nyangau -, ho ragione di credere che la tua ferita alla zampa faccia scarsi progressi a causa del trattamento sleale che stai ricevendo dalla tua cosiddetta amica Sunguru».

« Cosa vuoi dire? - grugni scostante il leone -. Devo ringraziare Sunguru se non sono morto di fame durante la fase peggiore della mia malattia, mentre tu e i tuoi compagni avete brillato per assenza!».

«Comunque sia, quel che ti ho detto è vero - confidò la iena -. E’ risaputo da tutti qua in giro che Sunguru sta facendo alla tua ferita la cura sbagliata per impedirti di guarire. Difatti quando tu starai bene, lei perderà il suo posto di padrona di casa - una vita comoda per lei, non c'è che dire! Lascia che io ti dica, amico mio, che Sunguru non sta affatto agendo nel tuo interesse!».

In quel momento la lepre tornò dal fiume, con la zucca piena d'acqua. «Ma bene - disse rivolgendosi alla iena mentre poggiava per terra il suo carico -, non mi aspettavo di vederti qui dopo la tua partenza frettolosa e ingloriosa dell'altro giorno. Dimmi un po', cosa vuoi questa volta?».

Simba si rivolse alla lepre. «Ho ascoltato da Nyangau delle storie sul tuo conto - disse -. Dice che sei rinomata da queste parti per la tua abilità e la tua astuzia di dottore. Dice anche che le medicine che tu prescrivi sono imbattibili. Ma insiste nel dire che avresti potuto far guarire la mia ferita alla gamba già da un bel pezzo, se fosse stato nel tuo interesse. E’ vero?».

Sunguru rifletté un attimo. Sapeva di dover affrontare la situazione con cautela, poiché aveva il forte sospetto che Nyangau stesse cercando di imbrogliarla.

«Beh - rispose esitante -, sì e no. Sai, io non sono che un piccolo animale e talvolta le medicine che mi servono sono molto grandi, e lo non sono in grado di procurarmele - cosa che per esempio avviene nel tuo caso, buon Simba».

«Cosa vuoi dire?» farfugliò il icone, mettendosi seduto e mostrandosi a un tratto interessato.

«E semplice - replicò la lepre -. Quello che mi ci vorrebbe per farti guarire definitivamente è un pezzo di pelle del dorso di una iena adulta da mettere sulla tua ferita».

Sentito questo, il leone saltò addosso a Nyangau prima ancora che la creatura frastornata avesse il tempo di scappare. Strappò una striscia di pelle dal dorso della povera idiota, dalla testa fino alla coda, e se la sbatté dritta sulla ferita alla zampa. Mentre la pelle si staccava dalla schiena della iena, i peli rimasti si stirarono e si drizzarono. Ancora oggi Nyangau e tutta la sua specie hanno dei peli lunghi e grossi dritti sulla criniera dei loro corpi sventurati.

Dopo questo episodio, la fama di Sunguru come dottore si sparse ovunque, poiché la ferita alla zampa di Simba guari senza ulteriori problemi. Ma ciò avvenne molte settimane prima che la iena avesse il coraggio di farsi rivedere in pubblico.

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Le parole di Sankhambi

 Una volta le scimmie erano animali con la pancia e pelosi che si muovevano lentamente. Per Sankhambi il briccone era uno spasso seguirle per tirare loro la lunga coda e farle infuriare. Le scimmie si vendicavano lanciandogli rami e noci dagli alberi.

 A Sankhambi questa faccenda delle scimmie non piaceva e un giorno decise di affrontare la cosa. «Mie care amiche - disse con voce dolce e un luccichio negli occhi maliziosi -, voglio dirvi un grande segreto».

«Non gli credete; è un truccoi», disse la scimmia più anziana, ma Sankhambi implorò e supplicò le scimmie di ascoltare quel suo segreto davvero speciale. E poiché loro sono animali curiosi, discesero lentamente dagli alberi e si avvicinarono.

«Mi piacerebbe potervi fare un piacere - disse Sankhambi, con una voce dolce come il miele -. Lassù sulla montagna c'è una caverna e in fondo alla caverna c'è un'enorme arnia piena di miele. Venite con me, vi mostrerò la strada».

Le scimmie ingorde si misero subito in fila dietro di lui, pensando solo alla delizia dorata che le attendeva.

 Finalmente Sankhambi le condusse lungo la montagna fino all'ingresso di una caverna in parte coperto da un tetto di roccia sospeso. «Entrate, amiche», le invitò generosamente.

 Ma non appena le scimmie furono dentro, Sankhambi cominciò a battere i piedi cosicché dei tonfi riecheggiarono per tutta la caverna, poi strillò fingendosi terrorizzato  e disse che il tetto stava crollando. «Tirate su le braccia e reggetelo bene. lo corro a cercare dei pali per fissarlo. Restate dove siete, non muovete neppure un muscolo, e reggete bene!».

 Le scimmie fecero esattamente così: rimasero immobili, con le braccia tese sopra la testa per bloccare il tetto e non farlo sprofondare. Rimasero immobili. E ancora immobili. Difatti non osavano muoversi, altrimenti il tetto della caverna sarebbe crollato loro dritto in testa.

 Oh, se solo Sankhambi fosse tornato in fretta con quel pali! Naturalmente, a quel punto SankhambI stava già trotterellando giù verso il lago. «Che branco di scimmie», rideva sguaiato, e andò a rannicchiarsi in un posticino al sole per farsi indisturbato un bel sonnellino pomeridiano.

 Per tutta la calura del giorno, e in mezzo al freddo della notte, mentre le stelle giacevano bianche sull'acqua del grande lago, le scimmie rimasero immobili come pilastri di pietra a reggere il tetto della caverna con tutte le loro forze.

 Fu solo quando la luce del giorno cominciò a baluginare a oriente che la scimmia più anziana all'improvviso ebbe un'idea. Con cautela staccò un dito, poi un altro, poi tutta la zampa, poi anche l'altra... guardò le facce sudate delle sue compagne accanto a lei e capì che Sankhambi si era preso gioco di tutte loro!

 A una a una le scimmie abbassarono le braccia rigide e indolenzite. E quando posarono lo sguardo sul propri corpi, videro che le loro sagome panciute erano completamente cambiate. Con tutta quella fatica, quel sudore e quello stare dritte immobili per reggere il tetto della caverna, i loro corpi erano diventati lunghi e snelli.

 Ed ecco perché, ancora oggi, le scimmie riescono a muoversi sugli alberi con tanta agilità.

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Storie di rondini

In una favola esopica si racconta come nacque il rapporto d'amicizia tra gli uomini e le rondini: "Era da poco germogliato il vischio e la rondine avvertendo il pericolo che incombeva sugli uccelli, li raccolse tutti a parlamento e li esortò a tagliare le querce produttrici di resina; nel caso però che ciò non fosse possibile per loro, li consigliava di ricorrere agli uomini, pregandoli che non usassero il vischio per catturarli. Ma tutti gli uccelli cominciarono a deriderla, dicendole che stava proponendo delle assurdità; allora la rondine andò lei stessa dagli uomini, chiedendo di essere accolta come supplice. Grazie alla sua perspicacia quelli acconsentirono e le permisero di diventare una loro coinquilina. Per questo motivo, mentre a tutti gli uccelli gli uomini danno la caccia per mangiarli, soltanto la rondine, rifugiandosi presso di loro, può impunemente fare il nido anche nelle loro case.

Nella mitologia greco-romana la rondine era un animale sacro ad Afrodite (Venere). Cfr. Eliano "La rondine è sacra agli dei protettori della casa e ad Afrodite, perché anche lei appartiene a loro".

Nella favolistica antica troviamo spesso la rondine: "Un giovane scialacquatore, dopo essersi mangiata tutta l'eredità paterna, rimase con il solo mantello addosso. Vedendo volare una rondine fuori stagione, credette che fosse già venuto il bel tempo e che ormai potesse fare a meno anche del mantello, di conseguenza vendette anche questo. Ma col tornare del brutto tempo ed essendosi fatta molto rigida la temperatura, quel giovane, mentre camminava, trovò in terra morta stecchita la rondine ed allora esclamò: "Disgraziata hai rovinato contemporaneamente me e te!"

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Nomi degli Uccelli in Lingua Veneta e alcuni canti (clicca e ascolta).

(si ringrazia l'amico "Bepi"  Miglioranza)

 

Nome Italiano

Nome veneto (Zone: Treviso, Venezia)

Svasso maggiore
Tuffetto
Airone cenerino
Airone rosso
Tarabusino

 

Germano reale

Canapiglia

Fischione
Alzavola
Marzaiola
 

Codone
Mestolone
Moretta
Moretta grigia
Moriglione
 

Moretta tabaccata
Quattrocchi
Smergo
Pesciaiola
Sparviere
 

Poiana
Porciglione
Voltolino
Schiribilla
Re di quaglie
 

Gallinella d'acqua
Avocetta
Pivieressa
Pavoncella
Piovanelli in genere
 

Pettegola
Pantana, totano moro
Chiurlo
Chiurlo piccolo
Pittima reale
 

Beccaccia
Croccolone
Frullino
Beccaccino
Gabbiano reale
 

Civetta
Succiacapre
Upupa
Martin pescatore
Picchi in genere
 

Torcicollo
Allodola
Tottavilla
Cappellaccia
Prispolone
 

Pispola
Spioncello
Ballerina
Averla maggiore
Averla piccola
 

Passera scopaiola
Sordone
Cannaiola
Capinera
Regolo
 

Balia nera
Pigliamosche
Saltimpalo
Codirosso
Cesena
 

Sassello
Tordo bottaccio
Tordella
Codibugnolo
Cinciallegra
 

Cinciarella
Merlo acquaiolo
Scricciolo
Zigolo giallo
Strillozzo
 

Migliarino di palude
Peppola
Fringuello
Verdone
Ciuffolotto
 

Frosone
Gardellino
Lucherino
Fanello
Crociere
 

Passero
Fringuello alpino
Passera matuggia
Storno
Rigogolo


Chiandaia
Gazza ladra

Assiolo

Verzellino

Beccafico

 

Culbiano

Sisolon

Sisolo
Sgarzo grigio
Sgarzo rosso
Centocoste
 

Masorin (m), Anara (f)
Pignol
Ciosso
Sarsegna
Crecoea, crecola
 

Asià
Foffano
Penacin
Magasson
Magasso
 

Magasseto
Campanato
Servolon
Servoea
Storea
 

Poia
Forsana
Quaina
Fiorin
Re quaio
 

Sfoio
Totano, caegher
Barusoea
Paonsina
Bisighin, tramontanee
 

Totano gambe rose
Totano moro, totani o totanei
Arcasa, arcada
Arcasiol
Vettola
 

Gainasa
Ciocheta
Becanea
Becanoto
Magoga
 

Suita
Tetavache
Gaeto de montagna
Piombin
Picoso, becaram
 

Becaformighe
Eodoea, lodola
Berlua o birulin
Capinga
Tordina
 

Fista
Fiston
Codacazola, coeta
Redestol, lora
Redestoea
 

Moreta
Foramuri
Canevela
Caonero
Stelin
 

Batiae
Becamosche
Favareto
Coa rosa
Ciac, gasanea, tordo colombin
 

Sisilin
Cit, tordo da ua
Merlo gaion, tordo gasaro
Codonet
Parusoea
 

Parusin
Merlota
Stronsit
Smeardo, verdois
Peton, petas
 

Pionsa, fiotta
Paccagnoso, pagagnos, montan
Savatol, finco
Sarantolo, sarant, lugaro
Finco subioto
 

Frison
Gardein
Lucarin, lugherin
Faganel
Beco in crose
 

Panagasa, siliga, sigheta
Maton
Selega migliarina
Stornel
Miglioro, beoria, redendolo, compare piero


Gaia
Checa

Frus

Lugherin da tramontana

Batiae

 

Biancheton

 

 

La caccia nella musica e nella storia.

 

Una scena di caccia del 1300 c.a

Il testo poetico anonimo riportato di seguito fu musicato da Gherardello da Firenze (1320-ca. 1362), che riprese il modello delle composizioni musicali di Maestro Pietro, e fatte risalire al 1340 circa, presso le corti d’Alberto e Massimo della Scala (Padova e Verona). Queste composizioni erano dei madrigali che usavano l’artificio contrappuntistico e presero il nome di “caccia” dal fatto che una voce cacciava l’altra. L’applicazione del canone delle due voci rendeva più concitate e realistiche le scene all’aperto, come cacce, mercati, pesca o giochi.
Già in precedenza in Francia con la “chace” (1250 circa) si era fatto uso del canone a più voci, ma fu con l’Ars Nova italiana che si raggiunse il realismo e l’alta intensità emotiva con l’ausilio d’effetti d’eco, dialogo, ripetizioni, intrecci di note, ritmi spezzati, imitazioni e intervalli. Altri compositori come Lorenzo da Firenze e Vincenzo da Rimini (metà XIV sec.) imitarono e coltivarono il filone della caccia, antenata a tutti gli effetti della fuga.
Tra i poeti rinomati per i testi delle cacce del 1300 vanno ricordati Niccolò Soldanieri (1325-1385) e Franco Sacchetti (1332-1400).
Da notare come l’irregolarità dei versi poetici contribuisce a creare l’effetto di concitazione e animazione.


Tosto che l’alba del bel giorn’appare,
isveglia i cacciatori: Su ch’egli è ‘ltempo.
Alletta li can. Tè, tè, tè, Viola tè, Primiera tè.
Sull’alto al monte co’ buon’ cani a mano
E gli brachetti al piano
E nella piaggia ad ordine ciascuno!
I’ veggio sentir uno de’ nostri miglior bracchi:
stà avvisato!
Bussate d’ogni lato
Ciascun le macchie, chè Quaglina suona!
Aiò, aiò! A te la cervia vene!
Carbon l’a pres ed in bocca la tene.

Dal monte què che v’era su gridava:
A l’altra, a l’altra! E suo corno sonava.

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RIDIAMOCI SOPRA

 In un paese un signore arriva a casa ubriaco e la moglie inizia a urlare, lui è con un amico, perde la pazienza e la strozza. Dopo tre giorni fanno il funerale ed a una curva il carro funebre sbanda, esce di strada, si apre la cassa e scoprono che la donna è ancora viva. Com'è, come non è, succede che dopo due anni la strozza di nuovo e muore davvero. Al funerale il vedovo va dall'autista del carro funebre e gli dice: "mi raccomando alla curva di andare piano perché due anni fa un carro funebre è uscito di strada ed è successa una disgrazia".

 Il vedovo va al cimitero e porta i fiori sulla tomba della donna, sente un rumore si gira di colpo e vede la cognata che gli dice: "ma la  tomba non è questa, è dall'altra parte". Lui risponde: "qua o là, l'importante è che non sia a casa".

 Finalmente arriva il giorno del processo ed il giudice chiede all'amico: "lei era li, perché non ha fatto niente mentre il suo amico strozzava la moglie?" "Sa signor giudice" risponde lui "non sono intervenuto perché ho visto che ce la faceva benissimo da solo". L'avvocato difensore, che è una donna, per cercare di salvare il cliente cerca di convincere la giuria che si tratta di un vecchio e incapace perfino di fare l'amore e chiede al cliente di togliersi i pantaloni davanti al giudice. Dice: "vede signor giudice, questa persona è una vittima, vede che pelle moscia" e, così dicendo, mette una mano sulla -pelle morta- per fare vedere al giudice che è tutto -inutilizzabile-. L'imputato dice sottovoce all'avvocato: "dottoressa a cave a man se no perdemo a causa". 

 

 A scuola: "no prof non stavo parlando, gli ho solo chiesto una cosa"!

 Il Grand'Ammiraglio della flotta sale sulla plancia di comando, vede una luce in lontananza tra la nebbia e ordina di segnalare: siamo in rotta di collisione, spostatevi due gradi a sinistra. Arriva la risposta: io non mi sposto, spostatevi voi due gradi a destra. L'Ammiraglio si arrabbia e ordina di segnalare: sono l'Ammiraglio della flotta e vi ordino di spostarvi due gradi a sinistra. arriva la risposta mentre la luce si avvicina sempre di più: spostatevi voi due gradi a destra. L'ammiraglio salta in piedi e ordina di segnalare: sono l'Ammiraglio della flotta, capo supremo di tutta la marina militare e vi ORDINO di spostarvi due gradi a sinistra. La luce è vicinissima e dritta davanti alla nave, arriva la risposta: qui il guardino del faro ... adesso sono cavoli vostri.

 Mario arriva a casa trafelato e chiama la moglie a gran voce: Maria, Maria corri, corri che ho vinto al totocalcio, e lei: che cosa? hai vinto al totocalcio? Si, Si ho vinto un sacco di soldi, dice lui, dai prepara le valige, e lei: e dove andiamo? Ma che hai capito? Gli ribatte lui: sei tu te ne vai.

 

 Davanti a San Pietro arrivano tre vedove. Il Santo chiede loro: chi di voi tre donne ha tradito il marito alzi la mano. Due alzano la mano e una no. Bene, dice il Santo, tutte e tre in purgatorio ... anche la sorda.

 

 Nel confessionale: padre mi perdoni perché ho peccato, ho portato a casa la mia fidanzata. Il padre: ma non è peccato. Padre padre ma la fidanzata l'ho anche portata in camera. Il padre: ma non è peccato. Padre ma l'ho anche fatta sedere sul letto. Il padre: "ma non è peccato", ed aggiunge: "e dopo che cosa avete fatto. Niente padre ... che peccato.

 

 Un medico rimorchia una tipa e la porta a letto. Alla mattina il dottore chiede alla ragazza: allora ti è piaciuto? E lei: senti, una domanda, tu sei un anestesista vero? Si, gli risponde, perché? perché non ho sentito niente!

 

 Al funerale di un cardiologo i colleghi accompagnano mesti la salma mentre uno continua a ridere. Gli chiedono" perché ridi? Rido perché gli hanno fatto un cuscino di fiori a forma di cuore. Embé che c'è da ridere era un famoso cardiologo. Rido al pensiero di che cuscino faranno a me quando muoio ... io sono un ginecologo.

 

 All'uscita da scuola un bimbo si avvicina al vigile e gli dice: vigile, vigile, lo sai che se mio papa era un gatto e mia mamma era una gatta io sarei un gattino? e lo sai che se mio papà era un gallo e la mia mamma una gallina io sarei un pulcino? e lo sai che se il mio papa era un cavallo e la mia mamma una cavalla io sarei un cavallino? Il vigile non ce la fa più e si gira arrabbiato e chiede al bimbo: di un pò, e se tuo padre era cornuto e tua madre era una mucca tu che cosa saresti? Il bimbo scappa via e torna dopo un pò e fa: sono andato a chiedere al mio papà e mi ha detto che se il mio papà era cornuto e la mia mamma era una mucca io sarei un vigile.

 

 In un incendio muore un uomo e chiamano la moglie per il riconoscimento della salma ma sono rimasti intatti e riconoscibili solo gli organi genitali. La donna si fa coraggio, alza il lenzuolo, guarda, e poi esclama: "ma non è mio marito, anzi le dirò più, non è nessuno degli uomini del paese".

 

 Due fidanzatini sotto il portone: lui è appoggiato al portone e chiede: dai dammi un bacio. - No. - Dai dammi un bacio. - No. - Dai dammi un bacio. - Ti ho detto di no! Si spalanca una finestra esce una signora e grida. E dagli sto bacio basta che toglie la schiena dal campanello del citofono.

 

 Pierino una sera entra nella camera dei genitori e vede la mamma seduta sulla pancia del papà che va su e giù e chiede: mamma che cosa fate? - ma niente Pierino la mamma cerca di sgonfiare la pancia al papà. Dopo un attimo di riflessione il bimbo ribatte: tanto è inutile perché tutte le mattine quando tu vai al lavoro arriva la zia che si inginocchia davanti al papà  e la rigonfia con la bocca.

 

 Due sposi al 25° di matrimonio partono per una vacanza in Spagna. A Madrid  sentono una signora che chiama: Pedro, Pedro vien por far la siesta. Hai sentito marito? la siesta e tu non riesci nemmeno a fare la prima.

 

 Un'anziana va dal medico e si spoglia. Il medico rimane incuriosito dal colore dei capelli che sono bianchi mentre la "farfalla" è di pelo nero. Chiede la motivazione del colore giovanile della parte intima e la nonna: - vuole mettere le preoccupazioni che mi ha dato la testa, per questo i capelli sono bianchi, mentre la farfalla, lei no, mi ha dato solo soddisfazioni!

 

 - Ho fatto la dieta per 15 giorni. - E che cosa hai perso? - due settimane"!

 

 Domande:
Come mai per chiudere Windows bisogna cliccare su "Start"?
Come mai la Lemonsoda è fatta con aromi artificiali e nel detersivo per i piatti trovi vero succo di limone?
Quando producono un nuovo cibo per cani "più gustoso", in realtà chi lo ha assaggiato?
Perché sterilizzano l'ago prima di praticare le iniezioni letali?
Se volare è così sicuro, come mai quello dell'aeroporto lo chiamano Terminal?

 Se avete già provato a fare l'amore con CONTROL la prossima volta provate con ALT CANC.

 

 Al pronto soccorso: dottore dottore, se mi tocco il collo sento dolore, se mi tocco il costato sento dolore, se mi tocco il fianco sento dolore, se mi tocco il ginocchio sento dolore che cos'ho? ... ma è semplice lei ha rotto il dito.

 Sapete chi è il poliziotto più sfortunato? Quello che muore al posto di Blocco. E quello più fortunato? Blocco!

 Le categorie più bugiarde sono le donne e i cacciatori. I cacciatori prendono un uccello e dicono di averne presi venti, le donne ne prendono venti e dicono di averne preso ... uno.

 Il bambino alla mamma: "Mamma perché la maestra a Roberto lo chiama Robertino, Paolo Paolino, Luca Luchino e a me no?". La mamma tentennante: "lo capirai da grande... Pompeo!"

 Quale è il Nome più bello per una ragazza da rimorchiare? Ikea: è svedese, costa poco, te la porti subito a casa e te la monti in 5 minuti!!

 L'autunno è un brutto periodo per le donne... si seccano i piselli, migrano gli uccelli, cadono i marroni, e se poi c'è anche la nebbia non si vede più un c....!!

 Hai sentito? Il nostro capo è morto. - Si. - E' tutto il tempo che mi sto chiedendo chi sia morto con lui.
- Come sarebbe .. "con lui" ?
- Ma sì, ho visto che c'era scritto: "...con lui muore uno dei nostri più instancabili lavoratori..."

 Il capo all'impiegato:
- E' già la quinta volta che arriva tardi questa settimana; che cosa devo pensare? - Che è venerdì.

 Un impresario a un altro:
- Come mai i tuoi impiegati arrivano sempre così puntuali? - Facile, 30 impiegati e solo 20 posti auto.

 
- Noi cerchiamo un uomo che non ha paura di nessun lavoro e che non si dà mai malato.
- Bene, mi assuma, che vi aiuto a cercarlo.

 Rossi, lo so che il suo stipendio non è sufficiente per potersi sposare, ma un giorno me ne sarà riconoscente.

 - Capo, posso uscire due ore prima oggi? Mia moglie vuole andare per negozi con me"
- Non se ne parla nemmeno. - Grazie capo, lo sapevo che non mi avrebbe lasciato nei casini.

 Moglie - Caro, ti va di passare una bella serata?
Marito - D'accordo cara, rientro domani. Ciao!

 Eva - Adamo, ti sembra questa l'ora di rincasare?
Adamo - Lascia stare Eva... una filaaaa!

 Lui - Paola, quando finirai di essere gelosa?
Lei - Quando tornerai a chiamarmi Antonella!!!

 - Mia moglie cucina dei piatti che si sciolgono in bocca...
- Ah, allora tua moglie sa cucinare...
- No, li serve in tavola prendendoli direttamente dal congelatore!

 - Nonno, cos'è l'AIDS?"
- Mah! Deve essere un diserbante, ho sentito dire che fa morire i finocchi...!

 - Mamma... è vero che mi ha portato la cicogna?
- Be non esageriamo, diciamo che era un gran bell'uccellone!!

 Un giorno Silvio muore e finisce all'inferno, dove lo stanno aspettando.
"Non so cosa fare", esordisce il diavolo, "Sei nel mio elenco ma non ho più posto per te. D'altro canto devi obbligatoriamente stare qui".
Dopo averci pensato su, il diavolo prosegue: "Sai cosa faccio? Ho due o tre persone che non sono state tanto cattive quanto te. Ne lascerò andare una e tu ne prenderai il posto. Anzi, ti lascio addirittura scegliere quale liberare".
A Silvio la proposta sembra accettabile e cosi il diavolo apre la prima porta.
Li dentro, in una grande piscina, nuota Bettino Craxi che si immerge ripetutamente tentando di portare in superficie un immenso e sfavillante tesoro, riemergendo però sempre desolatamente a mani vuote.
E si immerge e riemerge, e ancora e ancora. Questo è il suo destino all' inferno.
"No" dice il Cavaliere "non ci siamo, non sono un gran nuotatore. E poi a mani vuote non posso restare, non potrei fare questo per l'eternità".
Il diavolo lo conduce nella stanza successiva dove trovano Francesco Cossiga, che con un enorme piccone deve frantumare giganteschi massi di pietra durissima; e poi altri ed altri ancora. "No, sa che ho un problema alla spalla, mi farebbe male picconare in continuazione per l'eternità".
Il diavolo apre la terza porta. All'interno, l'ex presidente degli U.S.A. Bill Clinton, nudo, sdraiato sul pavimento, con le braccia dietro la nuca e le gambe larghe; china su di lui c'è Monica Lewinsky intenta nell'ormai famosa attività.
Silvio osserva incredulo e dopo un po' dice: "Si, si può fare, vada per questo".
"OK" dice il diavolo, "Monica: puoi andare!".

 Tra amici: "Mia moglie dopo 20 anni di matrimonio non ha ancora capito che i colorati non si lavano a 90 gradi, pazienza per le mutande e le canottiere rosa, ma quello che non riesco a sopportare è la bandiera italiana verde, rosa e rosso"!.

 

Detti popolari:

El lievoro scampa in proprio, el can ghe core drio par conto tersi!

El can el se el meio amigo dell'omo. A moier dell'omo a se el meio amigo del can.

Can coragioso ... vive poco.

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Ricette

Alcune sono antiche, tratte da un testo del 1940, in cui si parla addirittura di otarde o ortolani, uccelli oggi non cacciabili (L. 157/92). In queste vecchie ricette si usa la stufa, strumenti oggi in disuso e, per friggere, lo strutto. Regolatevi di conseguenza.

 

SELVAGGINA (consigli generali, tratti da un testo del 1940)

Con tale nome viene indicato l'insieme degli animali viventi allo stato di natura dei quali si entra in possesso mediante la caccia. Questo insieme si distingue, poi, in selvaggina da penna e in selvaggina da pelo.

Appartengono al primo gruppo tutti i volatili, e cioè beccaccia, quaglia, gallo selvatico, fagiano, otarda, pernice, ecc.; la cacciagione minuta e cioè allodola, beccafico, merlo, ortolano, ecc.; infine gli uccelli acquatici, e cioè beccaccini, anatra selvatica, gallinella d'acqua.

Appartengono al secondo gruppo i mammiferi, come lepre, coniglio selvatico, capriolo, daino e cinghiale. Rispetto agli animali domestici la selvaggina ha carne più compatta e più colorita (la cosiddetta carne nera), meno ricca in grassi, ma maggiormente provvista di albumina.

La selvaggina da penna richiede due requisiti essenziali: essere giovane e ben nutrita; non fa eccezione alla regola il pollame, e il detto “la gallina vecchia fa buon brodo” è una pietosa menzogna.

I volatili sono in genere tutti giovani, perché si tratta di selvaggina annuale: ma in ogni modo sicuri indici della sua giovane età sono la tenerezza del becco e la flessibilità dello sterno. Per giudicare la necessaria pinguedine della selvaggina da penna, basterà palpare l'animale per riscontrare se la sua carne è resistente, e soppesarlo con la mano: il suo peso dove essere proporzionato al volume.

Più difficile è stabilire la giovane età della selvaggina da pelo, in quanto gli animali più grossi vengono venduti in pezzi e le caratteristiche somatiche dell'individuo giovane sfuggono necessariamente al compratore.

L'esame è ancora possibile per la lepre, che, in genere, si acquista intiera. I mesi migliori per consumare quest’ottimo animale sono quelli invernali, durante i quali la sua carne attinge la massima saporosità. Gli individui vecchi si riconoscono facilmente dai peli bianchi che hanno intorno al naso. Inoltre i denti divengono irregolari ed acquistano una rilevante lunghezza. Un'altra caratteristica degli animali giovani: i leprotti hanno orecchi teneri, che facilmente si strappano, le zampe magre ed i ginocchi grossi. Indici della freschezza dell'animale ucciso sono: assenza di ogni cattivo odore, occhio ancor vivo, carne di un bel colore roseo, e mancanza di venature verdastre sul ventre.

La giovane età di un cinghiale si riconosce dai denti di difesa che appaiono corti: i denti lunghi ed arcuati sono propri degli individui vecchi. Ma poi che non è sempre possibile accertarsi di tali caratteristiche, badare nell'acquisto che il pezzo di carne sia compatto, con la pelle molto aderente.

Il capriolo e il daino si trovano più difficilmente sul mercato: l'unico indice della età appare dal manto che è di colore più scuro negli individui più vecchi.

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FAGIANO

 Soprannominato il re della cacciagione, il fagiano, per l'eleganza del suo corpo, per lo splendore delle piume e per la squisitezza delle carni, merita effettivamente questo appellativo. Conviene però fare qualche riserva su quello che la grande tradizione afferma. Si vuole infatti che il fagiano non giunga alla perfezione di sapore che quando la sua decomposizione sta per incominciare. Ma questo stato di incipiente putrefazione, che si dice indispensabile affinché il fagiano possa sviluppare tutto il suo aroma, è cosa non da tutti accettata. Può esser vero che il fagiano cucinato subito dopo ucciso non differisca sensibilmente da un qualunque pollo, ma, secondo noi, si potrà efficacemente cucinarlo dopo un periodo relativamente breve di riposo (pochissimi giorni) tanto da permettere alle carni di subire una giusta mortificazione. Il fagiano si tiene appeso per il becco e si spiuma soltanto al momento di cuocerlo. L'antica cucina portava in tavola il fagiano adornandolo con la testa, la coda e le ali; ma questa pratica è stata abbandonata dalla cucina moderna, la quale tende a semplificare tutto. E poiché resta eliminato questo ornamento di piume, noi vi consigliamo di acquistare sempre una fagiana anziché un fagiano, poiché la fagiana, a patto di essere giovine, è più grassa, più delicata e più saporita.

 Una pratica dei paesi dell'est è quella di scuoiare il fagiano anziché spennarlo alla maniera nostra. E' un sistema molto veloce di preparazione per la cottura ma che rende la carne secca poiché viene a mancare la pelle. Si consiglia, nel caso che il fagiano sia scuoiato, di tagliarlo a pezzi per la cottura e di avvolgere i pezzi in una fetta di pancetta. Preparato in questo modo rimarrà tenero e saporito. Provare per credere.

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 FAGIANO IN CASSERUOLA

 Fagiano - Burro - Sale - Pepe - Cognac, mezzo bicchierino - Brodo - Estratto di carne.

 Uno dei modi più semplici e più buoni per cuocere il fagiano. Dopo averlo nettato, legatelo e fatelo cuocere lentamente, in una casseruola di terraglia, mettendo come unico condimento: burro, sale e pepe. Quando sarà cotto (la cacciagione si tiene sempre scarsa di cottura) e dorato, accomodatelo nel piatto. Togliete via un po' di grasso dalla casseruola e staccate il fondo della cottura con mezzo bicchierino di cognac e appena un dito di brodo, nel quale avrete fatto sciogliere una punta di cucchiaino da caffè di estratto di carne. Mescolate e fate dare un bollo e innaffiate il petto del fagiano con questa pochissima salsa.

 

FAGIANO ALLA CREMA

 Fagiano - Burro - Cipolla - Sale - Pepe - Crema di latte, un bicchiere - Succo li limone.

 Cuocete il fagiano in un tegame di porcellana, con burro, poca cipolla tritata, sale e pepe. Quando sarà quasi cotto aggiungete un bicchiere di crema di latte e finite di cuocere irrorando frequentemente il fagiano con questa crema. Ultimate con qualche goccia di sugo di limone. Appoggiato il tegame su un piatto con salvietta, mettete il coperchio e fate portare in tavola.

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FAGIANI E POLLAME ARROSTO TARTUFATI

 Giovane fagiano, oppure cappone o tacchino – grasso di animale – tartufi neri - sale - pepe – cognac - marsala - olio.

 Il taccino, il cappone, il fagiano tartufati si preparano tutti nello stesso modo.

Solo varia quantità di tartufi e di grasso animale a seconda del peso dell'animale (per un grosso tacchino, 300 g di grasso e 500 g di tartufi). Il grasso a pezzi e le bucce di tartufi vanno messi in un mortaio. di terra. I tartufi sbucciati li ritaglierete in spicchi e li metterete in una terrina con sale, pepe, un pizzico di spezie, un po' di cognac, un po' di marsala e un po' d'olio, lasciandoli in questa marinata per un'ora. Intanto pestate energicamente nel mortaio le cortecce dei tartufi e la sugna in modo da avere un impasto perfetto, che si può rendere ancora più fine e delicato passandolo dal setaccio. Dopo che i tartufi saranno stati in marinaggio per un'ora, travasateli con tutto il loro condimento nel grasso e impastate il tutto con le mani. Con questo composto di grasso aromatizzato e tartufi riempite il tacchino, il cappone oppure il fagiano, cucitelo e mettetelo ad arrostire in forno o allo spiedo. Nella stagione fredda è buona regola riempire l'animale e lasciarlo in luogo fresco per due o tre giorni, affinché le carni possano ben profumarsi dell'olio dei tartufi. L'antica cucina consigliava, specie per i fagiani, di racchiuderli, dopo riempiti di tartufi, in scatole di carta pesante, tipo carta da disegno, e di lasciarli in riposo al fresco per un paio di giorni per poi cuocerli al forno nello stesso involucro di carta che veniva unto al momento della cottura, e che si toglieva quasi a cottura ultimata per dar modo all'animale di colorirsi all'esterno. E’ un sistema ottimo, che contribuisce a facilitare la penetrazione nelle carni dell'aroma dei tartufi.

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QUAGLIE PICCANTI

 Quaglie, 6 - sale - pepe  - uovo - olio, mezzo cucchiaio – mollica di pane grattata.

 Nettate e fiammeggiate sei quaglie, togliete loro il collo e spuntate le ali e le estremità delle zampine. Apritele poi con un taglio lungo tutto il dorso, e dopo averlo ben ripulito anche nell'interno risciacquatele e asciugatele. Quindi, premendo su ognuna con la mano, schiacciatele in modo da allargarle un poco ed appiattirle: né più né meno di come si fa per il pollo in gratella. Condite le quaglie con sale e pepe e poi intridetele in un uovo, sbattuto con mezzo cucchiaio d'olio. Passatele poi nel pane grattato, o meglio nella mollica di pane grattata, e un quarto d'ora prima di andare in tavola disponetele sulla gratella e fatele cuocere su della brace voltandole spesso affinché il pane non bruci. Appena cotto accomodatele in un piatto, velandolo con la seguente salsa.

Salsa per le quaglie: Brodo o acqua, mezzo bicchiere - Estratto di carne, un cucchiaino - Fecola di patate - Burro, g. 100 - Succo di limone - Prezzemolo trito, un, cucchiaio - Pepe o pepe di Cajenna - Aglio.

Mettete in una casseruolina il brodo o l'acqua e scioglieteci sul fuoco l'estratto di carne. Poi addensate leggermente il liquido con poca fecola di patate sciolta in acqua fredda. Levate la casseruolina dal fuoco e mischiateci, un pezzetto alla volta, il burro, lavorando sempre la salsa con un mestolino o anche con una piccola frusta, e non aggiungendo un pezzetto di burro se il primo non si è amalgamato. Quando, tutto il burro sarà amalgamato, aggiungete ancora qualche goccia di sugo di limone, una cucchiaiata di prezzemolo trito, un buon pizzico di pepe o una puntina di pepe rosso di Cajenna e una puntina d'aglio schiacciato.

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 FAGOTTINI DI QUAGLIE

 Farina, g. 250 - Sale - Burro, g. 100 - Acqua, un bicchiere - Quaglie, 6 - Pepe - Uovo sbattuto.

 Ricetta semplice, elegante, e gustosa. Mettete sulla tavola di cucina 250 grammi dì farina, un buon pizzico di sale. 100 grammi, di burro e impastate ogni cosa con circa un bicchiere d'acqua, in modo da ottenere una pasta piuttosto soda. Fatene una palla e lasciatela riposare per mezz'ora. Intanto nettate sei quaglie che condirete nell'interno con un pizzico di sale e un po' di pepe. Stendete ora la pasta all'altezza di due o tre millimetri e con un piattino di circa 15 centimetri di diametro, che appoggerete rovesciato sulla pasta come modello, tagliate con la punta di un coltellino sei dischi. Se non vi riuscisse di ottenere tutti e sei i dischi, rimpastate i ritagli. Ponete nel mezzo di ogni disco una quaglia, ben raccolta in sé, e, ripiegate il disco su se stesso dopo averne inumidito gli orli con un po' d'uovo sbattuto o d'acqua. Pigiate bene con le dita gli orli della pasta affinché combacino perfettamente e, se volete rendere la preparazione più elegante, passate sul doppio orlo la rotella spizzata. Quando avrete imprigionato tutte le quaglie nel loro involucro di pasta appoggiate i sei involti sulla placca del forno e infornate a fuoco moderato. Dopo circa un quarto d'ora intensificate un po' il calore, ma senza tuttavia eccedere, di modo che dopo circa mezz'ora i fagottini siano color d'oro e le quaglie nell'interno possano essere cotte a giusto punto. Accomodate i fagottini in un piatto con salvietta e fateli servire subito.

Questo sistema di cottura, privo di ogni complicazione, mantiene alla quaglia tutto il suo profumo, che non viene alterato dalla presenza di grassi o aromi. La cottura si compie esclusivamente col grasso della quaglia. E’ per questo necessario curare bene la chiusura dei fagottini, affinché durante la cottura il sugo della quaglia non vada disperso.

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QUAGLIE E TORDI STUFATI

 Quaglie o tordi, 6 - Burro, g. 70 circa - Lardo, 40 dadini - Sale - Pepe - Dadini di mollica di pane fritti nel burro o strutto - Cognac, un bicchierino.

 Nettate sei quaglie (o tordi), fiammeggiatele, risciacquatele, asciugatele in una ,salvietta e mettetele in un solo strato in una piccola casseruola con mezzo ettogrammo scarso di burro e una quarantina di dadini di lardo, della grandezza di un dado da giuoco. Condite con sale e pepe, e mettete la casseruola su fuoco moderato, chiudendola bene col suo coperchio. Mentre le quaglie cuociono e imbiondiscono, friggete nel burro o nello strutto una cinquantina di dadini di mollica di pane della stessa grandezza di quelli di lardo. Passate un ramaiolo d'acqua bollente in una terrina di porcellana, gettate via l'acqua e asciugate sollecitamente il recipiente nel quale metterete le quaglie, i dadini di lardo, i dadini di pane e qualche tocchetto di burro. Levate con un cucchiaio tutto il grasso dalla casseruola nella quale cossero le quaglie, diluite con un bicchierino di cognac il fondo della cottura, staccandolo con un cucchiaio di legno, e con questa salsetta innaffiate le quaglie, -Coprite la terrina col suo coperchio e fate portare immediatamente in tavola.

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QUAGLIE ALLA PURE’, DI PISELLI

 Piselli, kg. 1 - Sale - Zucchero - Burro - Quaglie, 6 - Lardo - Prosciutto.

 Sbucciate un chilogrammo di piselli e cuoceteli in acqua bollente leggermente salata. Appena cotti scolateli e passateli dal setaccio. Raccogliete in una casseruola la purè, mettetela sul fuoco, aggiungeteci una pizzicata di zucchero e lavoratela con un cucchiaio, fino a che si sarà bene asciugata. Allora, fuori del fuoco, condite la con una noce di burro. Prendete ora sei quaglie, già nettate e preparate, spruzzatele leggermente di sale, avviluppatele in una sottile fetta di lardo e cuocertele per una diecina di minuti in casseruola con un pezzo di burro. Imburrate leggermente un tegame di porcellana resistente al fuoco. Disponete sul fondo delle sottili fette di prosciutto e su queste spianate in strato regolare la purè di piselli. Togliete la bardatura di lardo alle quaglie cotte e affondatele a metà nella purè di piselli. Innaffiate con un po' di burro fuso e mettete il tegame in forno per una diecina di minuti.

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QUAGLIE NELLE PAGNOTTINE

 Quaglie - Sale Pepe - Salvia - Prosciutto grasso e magro - -Pasta da pane - Uovo sbattuto.

 E’ una preparazione prettamente casalinga, che pure ha degli amatori. Dopo aver sventrato le quaglie, portato via loro il collo con la testa e spuntato le ali e le zampine. Conditele con sale e pepe, mettete su ognuna un paio di foglie di salvia e poi fasciatele con una larga fetta di prosciutto grasso e magro. Acquistate dal fornaio della pasta da pane in tale quantità da poterne ricavare tante pagnottine per quante sono le quaglie. Dividete la pasta in pezzi e spianate ogni pezzo sulla tavola. Nel mezzo della pagnottina spianata (che dovrà avere, l'altezza di circa un centimetro) mettete la quaglia, col petto appoggiato sulla pasta e la schiena in alto. Riportate nel mezzo il bordo della pasta chiudendo bene la quaglia. Capovolgete allora la pagnottina ultimata e appoggiatela sulla placca del forno in modo che la piegatura resti al disotto. Fate così tutte le pagnottine, lasciatele lievitare doratele con uovo sbattuto e passatele in forno caldo per circa mezz'ora.

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ALLODOLE E TORDI COI FUNGHI

 Per 6 persone: Funghi porcini, kg. 1,5 - Olio - Aglio - Sale - Prezzemolo - Allodole o tordi, 12 - Burro - Prosciutto grasso e magro - Pepe - Cipolla - Cognac o marsala, un bicchierino - Acqua o brodo - Estratto di carne.

 Mondate i funghi porcini, ritagliateli, risciacquateli e fateli cuocere con olio, aglio, sale e prezzemolo trito. Calcolate due o più allodole (o tordi) a persona, spiumatele, fiammeggiatele, togliete il collo e la testa e con le forbici aprite il dorso, vuotatele delle interiora, risciacquatele, asciugatele e, mettendole col petto in alto, schiacciatele leggermente. Ponete in un tegame un po' d'olio e burro, e qualche fettina di prosciutto grasso e magro tagliuzzata. Fate scaldare, aggiungete le allodole, conditele con sale, pepe e pochissima cipolla tritata e fatele rosolare a fuoco vivace, facendo prender loro colore da una parte e dall'altra. A questo punto bagnatele con un bicchierino di cognac, o un dito di marsala, fate evaporare e poi bagnate nuovamente con dell'acqua o del brodo, in cui avrete sciolto un pochino di estratto di carne. L'acqua deve essere in tale quantità da ricoprire appena le allodole. Diminuite il fuoco e lasciate cuocere per circa un quarto d'ora, fino a che la salsa sarà ristrettissima. Accomodate nel mezzo del piatto i funghi porcini e intorno disponete le allodole, sgocciolando su esso il poco sugo che sarà rimasto dalla cottura.

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ALLODOLE ALLA CACCIATORA

 Allodole - Olio - Sale - Pepe - Prosciutto - Salvia - Marsala, un bicchierino, o mezzo bicchiere di vino bianco secco - Chicchi di uva, un pugno - Crostini di pane fritti.

 Le allodole, e in generale tutti i piccoli uccelli, si sventrano introducendo la punta di un coltellino nel fianco sinistro, sopra all'attaccatura della coscia. Facendo leva col coltellino si asportano facilmente le interiora senza deformare gli uccellini. Spiumate, fiammeggiato, nettate bene le allodole e mettetele in una padella con un po' d'olio, sale, pepe, qualche fettina di prosciutto tagliuzzato e qualche foglia di salvia (poca). Fate cuocere a fuoco forte e quando le allodole avranno preso un bel colore d'oro scuro bagnatele con un bicchierino di marsala o mezzo bicchiere dì vino bianco secco. Fate cuocere ancora, e qualche minuto prima di toglierle dal fuoco, aggiungete nella padella un buon pugno di chicchi d'uva sgranati. Se le allodole minacciassero di bruciare, bagnatele con qualche cucchiaiata di brodo o d'acqua. Mescolate con cura affinché i chicchi d'uva non abbiano a disfarsi e Versate le allodole nel piatto contornandolo di crostini di pane fritto.

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TORDI ARROSTO IN GRATELLA

 Tordi, 1-2 a persona - Sale - Pepe - Burro - Rete di maiale - Mollica di pane grattata - Guarnizione di fettine di limone e ciuffi di crescione - Facoltativo: tartufo nero.

 Calcolate uno o due tordi a persona. Dopo averli spiumati e fiammeggiati, mettete i tordi davanti a voi col dorso in alto, e con le forbici tagliate, con un taglio lungo, il dorso dall'alto in basso, come si fa per il pollo alla diavola. Aprite leggermente il tordo, sventratelo, risciacquatelo e asciugatelo. Poi mettetelo di nuovo sulla tavola col petto in alto, e col palmo della mano schiacciatelo un poco, senza tuttavia deformarlo. Condite i tordi con sale e pepe e poi ungeteli di burro liquefatto. Se volete dare alla preparazione un carattere di maggiore finezza, tritate un tartufo nero e sul petto di ogni tordo seminate una forte pizzicata di questa granella di tartufo. Fatto questo, prendete dei quadratini di rete di maiale, grandi abbastanza da poterci avvoltolare un tordo e, uno alla volta, involtate tutti i tordi. Ungeteli allora con un pennello bagnato di burro liquefatto, e poi rotolate ogni tordo nella mollica di pane grattata, facendola bene aderire con la mano e con la lama di un coltello. Disponete i tordi cosi ultimati sulla gratella e fateli arrostire su della brace bene accesa, per una diecina di minuti, ungendoli di quando in quando. Potrete anche cuocerli nel forno, ma il primo metodo è preferibile. Quando i tordi saranno cotti (ricordate che la cacciagione non va cotta eccessivamente) e la panatura ben dorata, accomodate l'arrosto in un piatto, guarnendolo con delle lettine di limone e qualche ciuffo di crescione.

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ORTOLANI COL RISOTTO

 (N.B. è una ricetta antica; gli ortolani non sono più cacciabili L. 157/92)

 Ortolani - Sale - Pepe - Salvia - Fettine di vitello, una per ogni ortolano - Burro - Cipolla - Carota gialla - Prezzemolo - Lauro (alloro)- Timo - Prosciutto grasso e magro - Vino bianco, mezzo bicchiere - Brodo - Sugo di carne senza pomodoro - Fecola di patate.

 Per cucinare gli squisiti ortolani, che tra gli uccellini sono forse i più ricercati dai buongustai, ci sono molto ricette. Una delle migliori è senza dubbio la seguente. In possesso del numero sufficiente di ortolani, spiumateli, nettateli e spuntate le zampette. Passateli poi sulla fiamma di una lampada a spirito o sulle fiammelle del gas per bruciacchiare ogni residuo di peluria. Raccoglieteli quindi in una terrinetta, conditeli con sale, pepe o abbondanti foglie di salvia, mescolateli un poco perché prendano il condimento, coprite la terrina e lasciatela in luogo fresco per un po' di tempo, affinché gli uccellini possano ben profumarsi di salvia. Preparate tante fettine di vitello strette, lunghe e sottili per quanti sono gli ortolani. Liberate gli ortolani dalle foglie di salvia ed involtatene uno alla volta nelle fettine di vitello, in modo che vi risulti come un salsicciotto. Fermateli a due a due con uno stecco di legno, e mettete gli ortolani così preparati in una teglia, dove avrete messo un pezzo di burro, un po' di cipolla tritata, una carota gialla in dadini, un ciuffo di prezzemolo trito, mezza foglia dì lauro spezzettata, un rametto di timo e qualche fettina di prosciutto grasso e magro. Coprite la teglia e fate rosolare a fuoco piuttosto vivace, mescolando di quando in quando affinché né gli ortolani né le erbe né il resto abbiano a bruciacchiarsi. Quando uccellini e erbe avranno preso una bella colorazione biondo-scura, versate nella teglia mezzo bicchiere di vino bianco, mescolate ancora, e quando l'umidità del vino sarà evaporata, bagnate di nuovo con del brodo, tanto da ricoprire appena gli uccellini. La teglia deve essere proporzionata alla quantità degli ortolani da cuocere e gli uccellini debbono stare allineati in un solo strato, ma gli uni vicini agli altri, senza che rimangano spazi vuoti. Diminuito il fuoco, coprite il recipiente e lasciate cuocere pian piano fino a cottura completa degli ortolani e della carne, ciò avverrà in una mezz'ora, o al massimo trentacinque minuti. Quando gli ortolani saranno cotti, estraeteli dalla teglia per passarli in un altro recipiente. Passate da un colino il fondo della cottura, sgrassatelo e rimettetelo sul fuoco, aggiungendoci un ramaiolo di sugo di carne senza pomodoro, o, in mancanza di questo, un ramaiolo d'acqua in cui farete sciogliere un cucchiaino di estratto di carne. Rimettete la salsa sul fuoco e fatela un po' ridurre. Legatela poi con un po' di fecola di patate. Quando la salsa sarà sufficientemente densa, versatene qualche cucchiaiata sugli ortolani messi da parte, e la rimanente salsa serbatela per ultimare la preparazione.

Risotto: Burro - Riso, g. 50 a pers. - Vino bianco, 1/2 bicc. - Brodo - Parmigiano.

Mettete in una casseruola un bel pezzo di burro, e quando sarà sciolto, aggiungete del riso, in quantità proporzionata. Fate insaporire il riso mescolando con un cucchiaio di legno, e poi bagnatelo con mezzo bicchiere di vino bianco. Asciugato che sia il vino, bagnate il riso con del brodo, portandolo a giusta cottura e ultimandolo con dell'altro burro e abbondante parmigiano grattato. Versate questo risotto in un piatto dandogli forma bombata, e sul risotto accomodate gli ortolani. Innaffiate ogni cosa con la salsa ben calda e mandate in tavola.

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PERNICE ARROSTO

 Pernice giovane - Burro - Lardo - Crostone di pane fritto nel burro - Spicchi di limone - Crescione (foglie di vite).

 E’ necessario che la pernice sia giovine e ciò si riconosce dall'estremità affilata delle grandi piume dell'ala, mentre la pernice adulta ha l'estremità arrotondata e l'occhio circondato da un cerchio rosso. Per fare le pernici arrosto s'imburra una foglia di vite con la quale si ricopre il petto dell'animale, e sulla foglia si dispone una fetta di lardo, tenendo a posto il tutto con una legatura. Si fa arrostire per venti o venticinque minuti, avendo l'avvertenza, cinque minuti prima, di togliere lardo e foglia di vite. Si prepara un largo crostone di pane fritto nel burro, ci si appoggia la pernice e si decora il piatto con qualche spicchio di limone e dei ciuffi di crescione.

Se non si ha a disposizione la foglia di vite, si ricopre il petto solo con la fetta di lardo.

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PERNICE ALLA CREMA

 Pernice - Burro - Cipolla Sale - Pepe - Crema di latte, mezzo bicchiere - Succo di limone.

 Si fa cuocere la pernice in una casseruola di porcellana con burro, poca cipolla trita, sale e pepe. Quando la pernice sarà quasi cotta si aggiungo mezzo bicchiere di crema di latte, e si ultima la cottura irrorando frequentemente la pernice con questa crema. Si rifinisce la salsa con qualche goccia di sugo di limone. Si serve nello stesso recipiente.

 

PERNICE IN CASSERUOLA

 Pernice - Burro - Sale - Pepe - Cognac, mezzo bicchierino – Estratto di carne.

 Dopo aver preparato la pernice si fa cuocere in una casseruola con burro, sale e pepe. Quando la pernice sarà cotta e ben dorata si accomoda nel piatto. Si toglie via un po' di grasso dalla casseruola e si stacca il fondo della cottura con mezzo bicchierino di cognac e un dito d'acqua calda nella quale si sarà fatto sciogliere un pochino di estratto di carne. Si fa dare ancora un bollo e con questa poca salsa s'innaffia il petto della pernice.

 

BECCACCINI AL COGNAC

 Beccaccini - Burro - Sale - Pepe - Scalogno - Cognac - Estratto di carne.

 Semplice ed eccellente ricetta per cucinare i beccaccini. Dopo averli preparati si tagliano in due metà e si fanno colorire vivacemente nel burro. Si condiscono con sale, pepe e un piccolo trito di scalogno, lasciandoli cuocere per circa sei minuti. Appena cotti si accomodano nel piatto. Nel recipiente di cottura si versa un po' di cognac, staccando bene con un cucchiaio di legno il fondo di cottura. Si aggiunge una puntina di estratto di carne sciolta in pochissima acqua bollente, si mescola, si sgocciola questa poca salsa sui beccaccini e si manda subito in tavola.

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BECCACCIA FARCITA

 Beccaccia - Lardo - Burro - Scalogno - Funghi, un pugno - Sale - Pepe - Spezie - Prezzemolo trito - Torlo d'uovo - Vino bianco – Brodo - Grossi crostoni di pane fritti nel burro, 2 - Succo di limone.

 Si spiuma, si fiammeggia e si sventra la beccaccia. Si toglie il grecile e il fiele che si gettano via, e il restante degli intestini si trita sul tagliere insieme con una fettina di lardo. A parte si farà scaldare in un pochino di burro mezzo scalogno tritato per ogni beccaccia, aggiungendo poi un pugnello di funghi triti, che si fanno cuocere. Si possono adoperare funghi freschi o secchi. In quest'ultimo caso è necessario far rinvenire i funghi in acqua fredda. Si aggiunge questo trito di funghi e scalogno agli intestini tritati e si completa il composto con un pochino di sale, pepe, spezie, prezzemolo trito e un rosso d'uovo. Con questa farcia si riempie la beccaccia e si cuce. Si fascia poi il petto della beccaccia con una sottile fetta di lardo che si tiene a posto con una passata di refe. Si adagia la beccaccia così preparata in una teglietta unta di burro e sì fa cuocere in forno per una ventina di minuti, avendo l'avvertenza di bagnare di quando in quando la beccaccia con un pochino di vino bianco e qualche cucchiaiata di buon brodo. Si preparano, mentre la beccaccia cuoce, due grossi crostoni di pane, ricavandoli da un pane a cassetta, e si friggono a color d'oro nel burro. Appena la beccaccia sarà cotta si taglia in due pezzi ed ognuno di questi pezzi si adagia, con una parte del ripieno, sul crostone di pane. Si spreme sulla beccaccia un po' di sugo di limone e si fa portare subito in tavola.

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FOLAGA CON LE OLIVE

 Folaga - Olio - Lardo - Cipolla - Aglio - Sedano - Carota gialla - Timo - Lauro (alloro)- Vino rosso secco, mezzo bicchiere - Sale - Pepe - Pomodoro - Olive verdi in salamoia.

 Assai conosciuta e diffusa tra noi è la folaga, nella quale però il gusto di pesce è spiccatamente pronunciato. Tra i metodi, più. o meno empirici, per eliminarlo, il migliore è il seguente, che rende la folaga un alimento gradevolissimo. Dopo aver spiumato, vuotato e bene risciacquato la folaga, si tuffa in una pentola con acqua bollente e si lascia bollire per qualche minuto. Si getta via la prima acqua e si sostituisce con altra acqua bollente. Dopo qualche altro minuto di ebollizione, si rinnova per una terza volta l'acqua bollente, aggiungendoci però un pochino di aceto. Dopo qualche altro minuto di ebollizione la folaga è pronta per essere cucinata. Per l'azione dell'acqua bollente essa perdo tutto il suo grasso, che è quello a più forte gusto di pesce. Vedrete infatti che, a traverso le successivo ebollizioni, il grasso viene, a raccogliersi in larghe chiazze sulla superficie dell'acqua; da prima in maggiore quantità, e poi sempre diminuendo, finché l'ultima ebollizione con aggiunta di aceto porta via ogni residuo. Questa triplice ebollizione preventiva non porta alcuna conseguenza nella cucinatura della folaga, ma anzi facilita la cottura, data la durezza della carne dell'animale. La, folaga può essere cucinata arrosto o in salmi, secondo la formula data più sopra per l'arzàvola. Però la ricetta migliore e più adatta, ad una buona cucina di famiglia è la seguente.

 Dopo aver preparato con cura la folaga, come è stato detto, dividetela in pezzi. Mettete in una casseruola un pochino d'olio e lardo pestato, aggiungete mezza cipolla tritata, un pezzettino d'aglio, sedano e carota gialla, e qualche buon aroma. come timo e lauro. Fate rosolare un poco, e poi aggiungete la folaga facendo colorire a color biondo scuro folaga e ortaggi. A questo punto scolate un po' di grasso e bagnate con mezzo bicchiere di vino secco rosso. Lasciate evaporare completamente il vino, condito con sale e pepe, aggiungete pochissimo pomodoro e ricoprite d'acqua la folaga. Diminuite il fuoco e lasciate bollire dolcemente a recipiente coperto fino a cottura. Cinque minuti prima togliete il nocciolo a un buon pugno di olive verdi in salamoia, e aggiungetele nella casseruola.

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BECCACCE ARROSTO CON CROSTINI

 Beccaccia - Sale - Lardo - Olio o burro - Crostini fritti nel burro - Fegatini di pollo, 2 - Pepe - Lauro (alloro)- Timo - Maggiorana – Estratto di carne, un cucchiaino - Fecola di patate, mezzo cucchiaino - Marsala, un cucchiaino - Tuorlo d'uovo - Crescione.

 La beccaccia trova nello spiedo uno dei modi migliori per mettere in valore tutta la finezza e il profumo della sua carne. Spiumate la beccaccia, fiammeggiatela e poi toglietele tutte le interiora che vanno serbate a parte (meno il grecile e il fiele che getterete via) e serviranno per fare i crostini d'accompagno. Risciacquate la beccaccia, asciugatela, conditela nell'interno con un pizzico di sale, e attraversatene il corpo col becco, che deve passare vicino all'attaccatura delle cosce. Poi con una fetta larga e sottile di lardo fasciatele il petto assicurando il lardo con qualche passata di refe. Spolverizzate la beccaccia di sale e infilzatela nello spiedo. Con un pennello ungetela di burro liquefatto o olio e esponetela alla fiamma nel girarrosto, fiamma che deve essere piuttosto brillante, poiché la beccaccia non dove cuocere a lungo ma colorirsi esternamente per rimanere appena sanguinante nell'interno. Dovrete tenerla al fuoco da venticinque a trenta minuti, non più, sempre che il fuoco sia abbastanza gaio da poter assicurare la cottura. Le beccacce vanno cotte all'ultimo momento e vanno servite ben calde; calcolate dunque il tempo necessario per cuocerle, affinché non abbiano ad attendere troppo. Un'operazione che invece richiede un pochino più di tempo è quella dei crostini. Con le interiora di ogni beccaccia vengono sei crostini. Quindi regolatevi in conseguenza a seconda del numero delle beccacce che dovrete cucinare. Da un pane a cassetta, possibilmente raffermo, ritagliate delle fette di pane spesse un centimetro scarso e della grandezza di una carta da gioco. Prendete una teglia in cui i crostini possano stare allineati in un solo strato, mettete del burro in questa teglia, fatelo soffriggere e quando sarà ben sciolto e fumante friggete i crostini da una sola parte, avvertendo che il pane non dovrà abbrustolirsi ma prendere una leggerissima colorazione bionda: quindi i crostini debbono stare pochissimo al fuoco. Quando avrete fritto tutte le fette di pane, estraetele e lasciate il burro nella teglia perché servirà ancora. Mettete sul tagliere le interiora della beccaccia e cioè il cuore, il fegato e le budelline, mettete anche sul tagliere due fegatini di pollo, o tre se sono piccini, e tritate il tutto grossolanamente. Mettete adesso un po' di burro in una padellina, passateci il trito di fegatini di pollo e interiora di beccaccia, condite con sale e pepe, mezza foglia di lauro, un ramoscello di timo e un pizzico di maggiorana. Fate cuocere, mescolando, e quando il trito sarà cotto passatelo in un mortaio e pestatelo. Dopo pestato passate il composto dal setaccio, e raccogliete la farcia in una scodella. Mettete adesso sul fuoco una casseruolina o un tegamino con un dito d'acqua, e nell'acqua sciogliete un cucchiaino scarso di estratto di carne. Mettete in un bicchiere un dito d'acqua fredda, e in essa stemperate mezzo cucchiaino di fecola di patate. Quando l'acqua della casseruolina bollirà e l'estratto di carne si sarà bene sciolto, versate in questo brodo, a poco a poco, la farina di patate sciolta, fino a che la salsa diventerà molto spessa. Mescolatela, e quando vedrete che è bene infittita toglietela dal fuoco e mischiateci una cucchiaiata di buon marsala. Ripetiamo che questa salsa deve essere molto densa. Travasate la salsa ottenuta nella scodella della farcia, aggiungete un rosso d'uovo e mescolate bene per amalgamare ogni cosa. Con un cucchiaio distribuite in parti uguali questa farcia sui crostini, appoggiandola sulla parte del pane che è stata fritta. Con la lama di un coltello pareggiate bene la farcia dandole forma bombata e poi allineate i crostini nella teglia che avrete lasciata in disparte, dove deve esserci ancora del burro avanzato dalla prima cottura dei crostini. Se questo burro non fosse in quantità sufficiente aggiungetene un altro pochino. Dieci minuti prima di servire la beccaccia infornate la teglia, affinché la parte inferiore del pane possa colorirsi a sua volta e nello stesso tempo la farcia possa rassodarsi e colorirsi leggermente. Al momento di mandare in tavola togliete dallo spiedo la beccaccia, liberatela dal lardo posto sul petto, e ai lati del piatto accomodate i crostini, guarnendo il piatto con qualche ciuffo di crescione risciacquato bene, asciugato e non condito. Se i crostini fossero molti, li farete servire in un altro piatto a parte. Abbiamo indicato lo spiede, che è il metodo di cottura classico. Ma la beccaccia arrosto viene anche benissimo in forno. Forno piuttosto vivace: tempo di cottura circa venti minuti. La formula dei nostri crostini è forse la migliore che si conosca.

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ARZAVOLA ALLO SPIEDE (alzavola allo spiedo)

 Arzàvola - Lardo - Guarnizione di crescione e fette di limone (spiede).

 L'arzàvola, che è il tipo più piccolo della specie delle anitre selvatiche, è anche il tipo più pregiato. Viene servita largamente, specie nei pranzi di magro, essendo considerata, insieme con la folaga, la gallinella d'acqua ed altre specie consimili, come cibo di magro. Però, mentre quasi tutte le altre varietà, e specialmente la folaga, hanno un gusto di pesce pronunciatissimo che non le rende accette a tutti, l'arzàvola sfugge a questo inconveniente, e le sue carni sono delicatissime. Dopo averla ben preparata, se ne fascia il petto con lette di lardo e si arrostisce possibilmente allo spiede, dando non più di quindici minuti di cottura. Si serve con crescione e fette di limone.

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ARZAVOLA IN SALMI' (alzavola in salmì)

 Arzávola - Sale - Pepe - Noce moscata - Spezie - Vino rosso, mezzo bicchiere - Acqua, 2 cucchiai - Estratto di carne - Burro, g. 50 – Farina - Succo di limone.

 Dopo avere preparato con cura l'arzàvola, arrostitela allo spiede o in forno, dando ad essa non più di dieci minuti di cottura. Il fuoco dov'essere abbastanza vivace, affinché la carne possa subito colorirsi all'esterno, pur rimanendo piuttosto sanguinante all'interno. Togliete allora le due parti del petto e le cosce, ritagliando il tutto in fini asticciole, che condirete con sale, pepe, noce moscata e spezie, e terrete in caldo tra due piatti. Spezzettate la carcassa col coltello, pestatela nel mortaio e diluite queste ossa pestate con mezzo bicchiere di vino rosso. Passatele da un colino pigiando con forza per estrarre tutto il succo dalla carcassa pestata. Raccogliete questo liquido in una casseruolina e aggiungeteci un paio di cucchiaiate d'acqua, in cui avrete sciolto un po' di estratto di carne. Scaldate la salsa senza lasciarla bollire, legatela con un pezzetto di burro impastato con poca farina, e completatela aggiungendoci una grossa noce di burro in pezzetti messi un po' alla volta e sempre mescolando. Spremete finalmente sulla salsa un po' di sugo di limone e versatela sulle asticciole di arzàvola preparate.

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FILETTI DI ARZAVOLA (alzavola) ALLE ACCIUGHE

 Arzàvola allo spiede o al forno - Burro - Parmigiano grattato – Acciughe - Mollica di pane grattata - Succo di limone.

 Dopo aver cotta l'arzàvola allo spiede o al forno, tenendola molto scarsa di cottura, staccate le due parti del petto e appoggiatele su un piatto di porcellana resistente al forno o di metallo argentato, abbondantemente imburrato. Spolverizzate i due filetti di parmigiano grattato, poneteci sopra dei filetti d'acciuga tagliati in cordoncini sottili e ben pareggiati. cospargete con poca mollica di pane fresca grattata, innaffiate di burro fuso e fate gratinare per pochi minuti in forno caldo. Prima d'inviare in tavola spremete sui filetti un po' di sugo di limone.

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GALLINELLA D'ACQUA

 Assai meno stimata dell'arzàvola, la gallinella di acqua può essere nondimeno preparata arrosto o in salmì. Dovendola arrostire al forno è consigliabile di non appoggiarla direttamente sulla teglia, ma di metterla su una piccola gratella affinché il grasso, che ha forte odore di pesce, possa scolare e non impregnare le carni di quest'odore poco gradito.

 

SALMI’ CLASSICO

 Pernici, fagiani, beccacce, pivieri, anitre, oche o pavoni, ecc. – Lardo – Cognac , mezzo bicchierino - Brodo - Estratto di carne - Burro - Carota gialla – Cipolla – Scalogno - Timo - Lauro (alloro)- Prezzemolo - Pepe in grani – Sale - Vino, mezzo bicchiere - Farina – Funghetti coltivati e cotti nel burro, 10 - Tartufo.

 I piatti di caccia non si fanno certo tutti i giorni in famiglia. Appunto per questo vogliamo darvi, per la caccia, le migliori ricette della tradizione culinaria; e la seguente è tra le più fini preparazioni dell'alta cucina. Da taluni si crede che il salmì debba essere una preparazione a base d'aceto, mentre nel salmi classico non ve ne è neanche la più piccola traccia. Il salmi può farsi sia con alcune specie di cacciagione, come fagiani, pernici, beccacce, pivieri, anitre selvatiche, ecc., sia con animali d'allevamento, come oche, faraone, pavoni, piccioni, ecc. Qualunque animale destinato ad essere preparato in salmi va prima arrostito, allo spiedo - preferibilmente - o al forno. Se si tratta di selvaggina la cottura dovrà essere tenuta leggermente scarsa. L'animale viene poi ritagliato in pezzi e insaporito in una speciale salsa. Prenderemo come esempio il salmi di pernici, sul quale potrete basarvi per qualunque altra specie di salmi. In possesso di una o più pernici fasciate loro il petto con una fetta di lardo e arrostitele, allo spiede o in forno, per una ventina di minuti, in modo da averle appena cotte. Dividete ogni pernice in cinque pezzi e cioè: le due cosce, i due filetti con l'ala attaccata e la parte centrale del petto. Il dorso della pernice andrà messo da parte. Togliete la pelle ai cinque pezzi già detti e pareggiateli bene. Prendete ora una casseruola, metteteci mezzo bicchierino di cognac, dategli fuoco e lasciatelo ardere un momento. Aggiungete due cucchiaiate di brodo bollente in cui avrete sciolto una puntina di estratto di carne. Mettete in questa casseruola i pezzi di pernice, copriteli con un foglio di carta bene imburrata, affinché non abbiano a disseccarsi e chiudete col coperchio, lasciando la casseruola in caldo vicino al fuoco. Per ogni pernice tritato mezza carota gialla di media grandezza, un po' meno della quarta parte di una cipolla e uno scalogno. Mettete queste erbe in una casseruola con un po' di burro, aggiungete un rametto di timo, un pezzetto di lauro, qualche gambo di prezzemolo tagliuzzato, un pizzico di pepe in granelli, un po' di sale e fate colorire. Quando questi aromi saranno coloriti scolate via il grasso e bagnateli con mezzo bicchiere di vino bianco. Lasciate ridurre il vino a metà e poi aggiungete - sempre per ogni pernice - un ramaiolo abbondante di brodo nel quale avrete sciolto un cucchiaino scarso di estratto di carne. Avrete intanto pestato nel mortaio la pelle e il dorso della pernice. Mettete tutto ciò a bollire insieme Con la salsa, lasciando cuocere per una diecina di minuti. Passate poi il tutto dal Setaccio, pigiando bene col cucchiaio per estrarre tutto il sugo dalle erbe e dalle ossa tritate. Raccogliete questa salsa in una casseruolina, addensatela leggermente con un pezzetto di burro impastato con poca farina e lasciato bollire adagio adagio per una diecina di mintiti ancora, togliendo con un cucchiaio tutte le impurità che verranno a galla. Finite la salsa, fuori del fuoco, mettendoci, uno alla volta, qualche pezzettino di burro, e mescolando per unire bene il burro alla salsa e darle del vellutato. Versate questa Salsa sui pezzi di pernice tenuti in caldo, e riscaldate ogni cosa, ma senza lasciar bollire. Aggiungete una diecina di funghetti, già cotti a parte con un po' di burro, un piccolo tartufo sottilmente affettato, e travasate il salmi nel piatto.

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CROSTINI DI FINTA CACCIAGIONE

 -Per 6 persone (24 crostini): Cipolla - Lardo, g. 100 - Fegato di maiale o di vitello, g. 100 - Sale – Pepe - Timo - Lauro (alloro)- Marsala - Fettina di vitello o di maiale, g. 100 - Prosciutto, g. 30 - Salvia – Tuorlo d'uovo - Pane a cassetta - Burro - Spicchi di limone - Facoltativo: fegatino di pollo.

Affettate sottilmente un pezzetto di cipolla e tagliate in dadini una fettina di lardo da un ettogrammo. Quando la cipolla incomincerà a soffriggere e il lardo sarà diventato trasparente (non dove sfrittolarsi, ma rimanere morbido) aggiungete un ettogrammo di fegato dì maiale o di vitello o - se l'avete – un fegatino di Pollo. Anche il fegato dove essere ritagliato in dadi. Condite con sale, pepe, un rametto di timo e un pezzetto di lauro, e quando il fegato sarà appena

cotto togliete la padella dal fuoco e travasate il tutto in una scodella. Mettete ora nella stessa padella un dito di marsala e su fuoco molto leggero fatene evaporare circa la metà. Unite il poco marsala rimasto al resto. Lasciate freddare e poi passate ogni cosa dalla macchinetta da tritare, aggiungendo una fettina di carne cruda (di maiale o di vitello) del peso di un ettogrammo, una fettina di prosciutto di una trentina di grammi e un paio di foglie di salvia tritato. Passate un paio di volte il composto nella macchina per averlo molto fino e raccoglietelo in una scodella; aggiungeteci un rosso d'uovo e impastate bene ogni cosa. Tagliate da un pane a cassetta dei crostini rettangolari alti mezzo centimetro lunghi sette centimetri e larghi tre centimetri. Disponete sopra un po' di ripieno, lisciandolo con la lama di un coltello e dandogli una f orma leggermente bombata. Allineateli in una teglia bene imburrata e infornateli per una diecina di minuti. Accomodateli in un piatto con salvietta e accompagnateli con limone a spicchi.

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LEPRE IN SALMI'

 Lepre - Cipolla - Sedano - Carota gialla - Prezzemolo - Lauro (alloro) - Timo - Rosmarino - Salvia - pepe - Vino rosso, un bicchiere d’olio - Sale – Farina, mezzo cucchiaio - Acqua, 1-2 ramaioli - Facoltativo: 2 acciughe, aglio, aceto, vino bianco.

Spellare la lepre è cosa facilissima. S'incide all'attaccatura delle zampe anteriori o posteriori: si fanno cioè quattro tagli circolari su ogni attaccatura. Si prosegue incidendo le due cosce in modo da metterlo a nudo. Si prendono allora entrambe le zampe posteriori con la mano sinistra e con la destra si tira giù la pelle, rivoltandola. La pelle verrà via così facilmente fino al collo. Con qualche altro opportuno taglio sulle zampe anteriori si spellerà completamente l'animale. Dopo averlo spellato si mette sulla tavola appoggiato sul dorso. e con un coltello si apre dal basso ventre fino al petto; si allarga con le mani, si estraggono gli intestini e si taglia in pezzi: generalmente la testa e lo zampe si scartano; si tagliano nel punto dell'articolazione le zampe, quindi si staccano le due cosce. Si corica il torso rimasto sul fianco, e con un coltello si taglia l'estremità delle costole, che va gettata via. Si taglia allora la groppa in due parti uguali, che si suddivideranno ancora in due pezzi ognuna, e per ultimo si staccherà il collo. Se si trattasse di una lepre molto grossa queste divisioni potranno essere moltiplicate.

Risciacquate accuratamente i vari pezzi e asciugateli. Poi accomodateli in una terrina e ricopriteli con una cipolla, un po' di sedano, carota gialla e prezzemolo, il tutto tagliuzzato. Aggiungete mezza foglia di lauro, un rametto di timo, un

pizzico di rosmarino, una foglia di salvia, un buon pizzico di pepe e innaffiate ogni cosa con un bicchiere di vino rosso. Lasciate stare così la lepre per un'ora o due; poi estraetela dalla marinata e asciugatela. Mettete in una casseruola un po' d'olio, fatelo ben scaldare e aggiungete i pezzi della lepre. Conditeli col sale e lasciateli rosolare, aggiungendo man mano le varie erbe impiegate nella marinata, che tirerete su con una cucchiaia bucata. Quando i pezzi saranno rosolati scuri, spolverizzateli con mezza cucchiaiata di farina, mescolate e dopo un minuto o due versate nella casseruola il vino nel quale ha marinato la lepre. Asciugate il vino e bagnate la lepre con un ramaiolo o due d'acqua, diminuito un po' il fuoco, coprite la casseruola e lasciate finir di cuocere dolcemente. Al momento di andare in tavola estraete i pezzi della lepre e disponeteli nel piatto. Staccate il fondo con un pochino d'acqua e passate da un colino. Con questa poca salsa velate la lepre e fate servire.

Se proferite una salsa un po' piccante, cotta la lepre mettetene i vari pezzi in un'altra casseruola. Staccate il fondo di cottura, passatelo e aggiungetelo alla lepre. Pestate nel mortaio un paio di acciughe lavate e spinate, una cucchiaiata di prezzemolo, un pizzico di pepe e una puntina d'aglio, e stemperate con un dito d'aceto e un dito di vino bianco. Versate questa salsetta sulla lepre, mescolate e tenete in caldo vicino al fuoco, ma senza bollire, per cinque minuti.

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LEPRE ALLA SANT'UBERTO

 Lepre - Olio - Cipolla - Carota gialla - Sedano - Chiodo di garofano - Salvia - Lauro (alloro)- Timo - Rosmarino - Maggiorana - Ginepro, 10 bacche - Aglio - Vino rosso, 2 bicchieri - Aceto - Farina, un cucchiaio - Acqua, 1-2 ramaiuoli - Gelatina di ribes, un cucchiaio – Filettino di buccia di arancia, mezzo cucchiaio.

 Spellata, preparata e divisa in pezzi la lepre, fate una marinata nel modo seguente. Mettete in una casseruola due o tre cucchiaiate d'olio, un cipolla, una carota gialla e una costola di sedano tritati, e lasciate cuocere su fuoco molto moderato per un buon quarto d'ora senza però far colorire le erbe. Aggiungete allora un chiodo di garofano, due foglie di salvia, una foglia di lauro, un rametto di timo, poco rosmarino, un pizzico di maggiorana, una diecina di bacche di ginepro e uno spicchio d'aglio diviso in fettine. Lasciate cuocere per un paio di minuti e poi bagnate con due bicchieri di vino rosso e due dita d'aceto. Mescolate, fate levare il bollore, togliete la casseruola dal fuoco e travasate la marinata in un recipiente di terraglia per lasciarla freddare. Accomodate i pezzi della lepre (lavati e asciugati) in una terrina, versateci la marinata fredda con tutti gli aromi e lasciate stare così fino al giorno dopo. Il giorno dopo mettete un po' d'olio in una casseruola, fatelo scaldare, e poi aggiungeteci i pezzi della lepre tolti dalla marinata e bene asciugati. Fate rosolare a fuoco vivace, e quando la lepre incomincia a colorire aggiungete un po' alla volta le erbe e gli aromi della marinata che estrarrete dal vino con una cucchiaia bucata. Quando ogni cosa avrà preso una tinta piuttosto scura aggiungete una cucchiaiata di farina. Mescolate e dopo un minuto o due, versate nella casseruola, un po' alla volta, il liquido della marinata, non mettendone dell'altro se il precedente non si è asciugato. Esaurito tutto il vino, bagnate la lepre con un ramaiolo o due d'acqua, coprite la casseruola, diminuite il fuoco e lasciate finir di cuocere dolcemente. Estraete allora i pezzi di lepre dalla casseruola e teneteli in caldo; Staccate il fondo di cottura della casseruola aggiungendo un pochino d'acqua e se ci fosse molto grasso galleggiante - cosa improbabile - lo toglierete con un cucchiaio. Passate la salsa da un colino, raccoglietela in un'altra casseruola e aggiungete una cucchiaiata di gelatina di ribes e una mezza cucchiaiata di filettini di scorza d'arancia, ottenuti tagliando sottilmente un pezzo di buccia d'arancia (senza parte bianca) e ritagliando questa buccia in listelline sottilissime. Sciolta la gelatina di ribes rimettete nella casseruola i pezzi di lepre, mescolate e tenete in caldo fino al momento di mandare in tavola.

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CINGHIALE IN AGRODOLGE ALLA ROMANA

Un pezzo di cinghiale - Vino secco, 3 bicchieri - Aceto, mezzo bicchiere abbondante - Cipolle - Carote gialle - Sedano - Prezzemolo - Chiodi di garofano, 6 - Lauro (alloro)- Timo - Pepe - Olio - Sale - Lardo – Prosciutto grasso e magro - Zucchero, 2-3 cucchiai - Aglio - Cioccolata grattata, 2 cucchiai - Fecola di patate, se occorre - Uvetta sultanina, un pugno -

Visciole secche, un pugno - Prugne secche - Scorzetta di cedro e di arancia candita.

Il cinghiale si dovrebbe sempre, prima di cucinarlo, tenere almeno un paio di giorni in un bagno aromatico. Quando non c'è tempo di fargli subire il marinaggio, se ne può fare a meno, ma certo riuscirà meno saporito. Si lava bene il pezzo dì cinghiale e si asciuga. Alcuni conservano la cotenna; altri, e forse più opportunamente, la tolgono e la gettano via, poiché, a meno che non si tratti di cinghiali assai giovani, la cotenna risulta sempre dura e poco digeribile. Si mette sul fuoco una casseruola con due bicchieri di vino e un po' meno di mezzo bicchiere d'aceto. Si aggiungono una cipolla, una carota gialla, un paio di costole di sedano e un ciuffo di prezzemolo, il tutto tagliuzzato; e poi due o tre chiodi di garofano, una foglia di lauro, un paio di rametti di timo e un buon pizzico di pepe in granelli. Si fa levare il bollore a tutto ciò e si lascia freddare, avendo però l'avvertenza di travasare la marinata in una terrinetta e di non lasciarla freddare nel rame. Si accomoda, il pezzo di cinghiale in una terrina, ci si versa la marinata fredda con tutte le erbe e si lascia in questo bagno aromatico per un paio di giorni, come è stato già detto. Se la marinata non fosse sufficiente a ricoprire il pezzo di cinghiale, converrà voltare la carne a lunghi intervalli (due o tre volte nella giornata). Quando si deve cuocere il cinghiale, si estrae dalla marinata, si asciuga, si lega con un po' di spago per mantenerlo in forma. Si versa un po' d'olio in una casseruola, e quando è ben caldo si mette giù il pezzo di cinghiale, che si fa rosolare a lungo e su fuoco piuttosto vivace. Si condisce con sale e pepe, e si aggiungono un paio di cipolle di media grandezza, una carota gialla e una costola di sedano, il tutto tagliuzzato, un paio di chiodi di garofano, un rametto di timo e mezza foglia di lauro. Si aggiungono anche dei pezzetti di lardo e del prosciutto grasso e magro in listelline o in dadini. Si fa continuare a rosolare su fuoco vivace, voltando di quando in quando il cinghiale, e raggiunta una bella colorazione scura delle erbe e della carne, si bagna ogni cosa con un bicchiere di vino secco. Si stacca bene col cucchiaio il fondo della cottura, e appena il vino è evaporato si ricopre la carne con acqua. Appena il cinghiale bollirà nuovamente, si mette il coperchio sulla casseruola, si diminuisce il fuoco e si lascia finir di cuocere pian piano. Quando, immergendo un ago da cucina nella carne, l'ago vi penetrerà facilmente, il cinghiale sarà cotto a giusto punto. Estraetelo, liberatelo dallo spago e mettetelo in una casseruola più piccola con poche cucchiaiate di sugo, copritelo e tenetelo in caldo. Con un cucchiaio portate via allora tutto il grasso che si sarà raccolto alla superficie del sugo del cinghiale rimasto nella casseruola grande. Questo sugo dovrà avere una giusta densità, e non essere in quantità eccessiva: tanto da formare una sufficiente salsa per la carne. Mettete adesso in un polsonetto due o tre cucchiaiate di zucchero, uno spicchio d'aglio schiacciato e la quarta parte di una foglia di lauro. Lasciate liquefare lo zucchero, mescolandolo frequentemente (senza aggiungerci affatto acqua), e quando sarà diventato biondo chiaro bagnatelo con due dita d'aceto. Vedrete che lo zucchero ai rapprenderà un po' nel fondo del recipiente. Staccatelo pian piano con un mestolo, sempre tenendolo sul fuoco, e quando sarà completamente sciolto, aggiungete due cucchiaiate di cioccolata grattata. Lasciate bollire ancora un pochino, e quando anche la cioccolata sarà sciolta, passate questa salsa nella casseruola del sugo del cinghiale. Mescolate, lasciate scaldar bene e se questa salsa fosse un po' liquida, l'addenserete con un po' di fecola di patate sciolta in un dito d'acqua, o con una noce di burro impastata con un cucchiaino di farina. Ottenuta una salsa di giusta densità, passatela da un colino, raccogliendola in un'altra casseruola. Uniteci allora un pugno d'uvetta sultanina, un pugno di visciole secche, qualche prugna secca e un po' di scorzetta di cedro e di arancia candita, ritagliata in dadini.

Le visciole e le prugne vanno prima tenute per un po' di tempo in bagno in acqua tiepida per nettarle dalla polvere e lasciarle rinvenire; poi si disossano. Affettate finalmente il cinghiale, disponetelo sul piatto di servizio e versateci la salsa bollente.

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CINGHIALE IN SALSA DI RIBES

 Cinghiale cucinato come nella ricetta precedente - Gelatina di ribes, un cucchiaio colmo - Pinoli, un pugno - Scorzetta di arancia candita in pezzettini, un cucchiaio - Burro.

Se desideraste completare il cinghiale con la salsa di ribes, seguirete il seguente procedimento. Dopo cotto il cinghiale nel modo già spiegato, estraetelo dalla casseruola, liberatelo dallo spago e tenetelo in caldo, coperto. Sgrassate accuratamente il sugo, e se non fosse sufficientemente denso legatelo con un pochino di fecola: se fosse invece troppo ristretto diluitelo con un po' di brodo o acqua. Ottenuta una salsa di giusta consistenza e in quantità tale da poter essere sufficiente per rivestirne il cinghiale, passatela da un colino raccogliendola in un'altra casseruola. Rimettetela sul fuoco, fatela ben scaldare e aggiungeteci una cucchiaiata colma di gelatina di ribes, un pugno di pinoli e un'abbondante cucchiaiata di scorzetta di arancia candita, ritagliata in pezzettini. Quando la gelatina di ribes sarà ben sciolta, tirate indietro la casseruola e ultimate la salsa con qualche pezzettino di burro. Affettate il cinghiale e innaffiatelo con la salsa.

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NOCE DI DAINO IN SALSA DI CILIEGE

  Per 6 persone: Lombata di daino (sella) senza ossa, kg. 1 - Olio, mezzo bicchiere Cipolla - Carota gialla - Sedano Prezzemolo - Aglio, 2 spicchi Maggiorana - Menta - Origano Timo - Lauro (alloro)- Ginepro, 5-6 bacche - Salvia - Rosmarino - Coriandoli - Vino rosso secco, un bicchiere e mezzo - Aceto - Burro, g. 50 circa - Sale - Estratto  di carne, un cucchiaino - Farina, un cucchiaio - Salsa di ciliege.

 Per questa squisita preparazione di caccia dovrete provvedere preferibilmente un pezzo di lombata di daino, o, come più comunemente si dice, di sella. Questa lombata va poi disossata in modo da ricavarne il lombo senz'osso. Nettate accuratamente la carne da tracce di pelle, grasso e filamenti nervosi e ritagliatela in fette d'un paio di dita di spessore, che poi spianerete leggermente con lo spianacarne. Accomodate queste fette di carne in una terrina e preparate la marinata. Mettete in una casseruola un po' meno di mezzo bicchiere d'olio, una cipolla tagliuzzata, una carota gialla in fette sottili, una costola di sedano tagliuzzata e abbondante prezzemolo. Lasciate cuocere per circa mezz'ora su fuoco molto moderato, affinché le erbe non abbiano a colorirsi. Aggiungete allora due spicchi d'aglio ritagliati in fettine e un misto di aromi composto di: un pizzico di foglie di maggiorana, di menta e di origano, un rametto di timo, una foglia di lauro spezzettata, cinque o sei bacche di ginepro, un po' di salvia, poco rosmarino e un pizzico di coriandoli. Mescolate e appena l'aglio incomincerà a scaldarsi bagnate con un bicchiere e mezzo di vino rosso secco e un dito d'aceto. Lasciate bollire insensibilmente per cinque minuti e poi togliete la marinata dal fuoco. Lasciatela freddare e versatela, con tutti gli aromi, sul daino. Coprite la terrina e mettetela in luogo fresco per tre o quattro giorni. Se la marinata non fosse sufficiente per ricoprire la carne, avrete l'avvertenza di innaffiare la carne con la marinata o di voltarla. Questo una volta al giorno. Non avendo tempo disponibile potrete ridurre il tempo di marinagio anche a una giornata, specie se la stagione è calda; altrimenti la carne correrebbe il rischio di alterarsi.

Quando dovrete cucinare queste nocette di daino estraetele dalla marinata, liberatele dalle erbe e asciugatele bene in una salvietta. Mettete poi un pezzo di burro e poco olio in un tegame di rame a bordi bassi, o in una teglia, e quando i grassi saranno ben caldi mettete giù la carne che farete rosolare a fuoco vivace da una parte e dall'altra. Conditela allora col sale e portatela a cottura diminuendo un po' il fuoco e bagnandola con qualche cucchiaiata della marinata. Quando le nocette saranno cotte disponetele tra due piatti e tenetele in caldo. Scolate un po' del grasso rimasto nel tegame o nella teglia, rimettete il recipiente sul fuoco e versateci circa un bicchiere della marinata rimasta, che avrete fatto passare da un colino per liberarla dalle erbe. Aggiungete un cucchiaino di estratto di carne e lasciate che la salsa evapori di circa la metà. Addensatela allora con una noce di burro impastata con un cucchiaio di farina, date un'ultima mescolata e rimettete nel recipiente le nocette di daino che lascerete bene intridere nella salsa, sull'angolo del fornello, senza che abbiano più a bollire.

La salsa deve risultare pochissima e densa. Coprite il recipiente e tenetelo in caldo fino al momento di mandare in tavola. Preparate ora la seguente salsa di ciliege che servirà ad accompagnare il daino.

Salsa di ciliege - Un'arancia - Marsala, un bicchiere - Gelatina di ribes, g. 100 - Cannella - Ciliege sciroppate, g. 300.

Con un coltellino tagliente portate via sottilmente la buccia di un'arancia, senza tracce di parte bianca. Ritagliate questa buccia in filettini minuscoli e metteteli in una casseruolina con un bicchiere di marsala dolce e il sugo dell'arancia. Ponete sul fuoco e lasciate bollire fino a che il liquido si sarà ridotto a metà. Aggiungeteci allora un centinaio di grammi di gelatina di ribes, un pizzico di cannella e quando il ribes sarà ben sciolto aggiungete tre ettogrammi di ciliege dolci sciroppate e scolate dal loro sciroppo. Fate dare ancora un bollo e travasate le ciliege con la loro salsa in una piccola legumiera. Accomodate le nocette di daino nel piatto di servizio e a parte fate servire le ciliege.

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NOCETTE DI FINTO DAINO

 Per 6 persone: Filetto di maiale, kg. 1 - Per il resto, come nella ricetta precedente.

 Questa preparazione è una derivazione della ricetta precedente. Liberate accuratamente il filetto dal grasso e da qualche filamento, ritagliatelo in fette di circa tre dita di spessore, che spianerete in modo che possano allargarsi un poco e raggiungere l'altezza di un dito, rimanendo rotondo. Accomodatelo in una terrina e, per la marinata come per tutto il procedimento di cottura, regolatevi esattamente secondo le istruzioni contenuto nella precedente ricetta.

I filetti di maiale preparati come quelli di daino sono squisiti e, se la preparazione è stata eseguita bene, riesce difficile riconoscere la carne di maiale da quella di daino o di capriolo.

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CANNOLICCHI AL BASILICO

 Per 4 persone: Cannolicchi, g. 500 - Grasso di prosciutto, g. 50 - Prezzemolo - Aglio Strutto, un cucchiaio - Pomodori, kg. 1 - Sale - Pepe Parmigiano grattato, g. 50 - Basilico.

 I cannolicchi sono una qualità di pasta bucata di piccolo taglio, adattatissima ad essere cucinata col sugo. Dovrete scegliere una varietà non molto grande e piuttosto spessa, che mantenga bene la cottura. Mettete sul tagliere una fetta di grasso di prosciutto (mezzo ettogrammo abbondante) e tritatela finemente con un po' di prezzemolo e un pezzetto d'aglio. In una casseruola mettete il grasso di prosciutto tritato e una cucchiaiata di strutto, e quando il grasso sarà f uso e leggermente soffritto, aggiungete nella casseruola un chilogrammo di pomodori che avrete lavati, spellati, fatti in pezzi e privati dei semi. Preferite una qualità di pomodoro carnosa e con poca acqua. Conducete la cottura a fuoco piuttosto vivace, e condite con sale e pepe. Quando il pomodoro sarà quasi cotto, per il che occorrerà un tempo relativamente breve, mettete in una pentola con acqua salata in ebollizione la pasta; poi scolatela, versatela in una terrina e conditela con la salsa preparata, mezzo ettogrammo di parmigiano grattato e una cucchiaiata di foglie di basilico fresco ben lavate e tagliuzzate. Siccome la salsa rimane un po' densa, è bene aggiungere, mentre si condisce la pasta, qualche cucchiaiata dell'acqua di cottura. Potrete eseguire la stessa ricetta con vermicelli, maccheroncini, ecc.

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SPAGHETTI CON VERDURE E SCAMPI

 Per 4 persone: Spaghetti: g 320 - scampi: g 400 - pomodorini: g 200 - una zucchina - una carota - sedano: g 100 - prezzemolo - uno spicchio d'aglio - peperoncino - vino bianco - olio extravergine d'oliva - sale. Dopo aver lavato i pomodorini tagliarli a metà. Lavare le altre verdure. Con uno scavino formare le perle di verdure con la carota, il sedano e la zucchina e bollirle in acqua salata, iniziando dalle verdure più dure. Sciacquare gli scampi e con un coltellino affilato tagliarli sul dorso. In una padella scaldare due cucchiai d'olio, aggiungere l'aglio, il peperoncino e gli scampi, rosolare, bagnare con il vino bianco, lasciare evaporare, unire i pomodorini, coprire, a metà cottura aggiungere le perle di verdure e un po' d'acqua e continuare la cottura per 15 minuti. Cuocere gli spaghetti in acqua salata, scolarli, condirli con le perle di verdure e l'intingolo di scampi e spolverarli con il prezzemolo tritato.
 Tempo di preparazione: un'ora.

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Bucatini al ragù di capesante

 Per 4 persone: Bucatini: g 320 - 20 capesante - uno scalogno - prezzemolo: g 30 - concentrato di pomodoro: g 40 - vino bianco - olio extravergine d'oliva - sale e pepe. Lavare, asciugare e tritare il prezzemolo. Pelare ed affettare lo scalogno. Aprire le capesante con un coltellino, staccare il frutto, sciacquarlo e tagliarlo a pezzi. In una casseruola scaldare due cucchiai d'olio, aggiungere le capesante e lo scalogno, rosolare a fuoco vivace, bagnare con il vino bianco e lasciare evaporare, quindi versare il concentrato di pomodoro e un bicchiere d'acqua, salare, pepare e cuocere per 15 minuti, mescolando di tanto in tanto. Cuocere i bucatini in acqua salata, scolarli, condirli con il ragù di capesante, irrorarli con un filo d'olio e spolverarli col prezzemolo tritato.
 Tempo di preparazione: 30 minuti.

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TAGLIATELLE ALLA N'DUJA (Calabria)

Per 2 persone: 200 g di tagliatelle senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 40 g n'duja che è un insaccato tradizionale calabro fresco e con molto peperoncino o in alternativa si può utilizzare una semplice salsiccia (peperoncino facoltativo)- 40 g di pomodori secchi sott' olio, tagliati finemente - 1 spicchio d'aglio schiacciato - pecorino grattugiato. Far dorare l'aglio nell'olio dei pomodori secchi, aggiungere la N'duja sbriciolata e far rosolare alcuni minuti, quindi aggiungere i pomodori secchi tagliati. Cuocere al dente le tagliatelle in abbondante acqua salata facendo attenzione ai tempi di cottura che variano secondo gli ingredienti delle tagliatelle, scolare e amalgamare al sugo nella padella. Prima di servire, cospargere con pecorino.

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 riso e sciopeti

Per 2 persone: 200g di riso, un mazzetto di virsuli o sciopeti (Silene), una cipolla, burro, sale formaggio. Lavate con cura i virzulì, scolateli e tritateli finemente. Mettete in un tegame una buona noce di burro e la cipolla anch'essa tritata finemente e fate rosolare. Quando la cipolla avrà assunto un bel colore dorato, incorporate i virzulì e fate insaporire per 5 minuti circa. Salate, pepate e, mescolando sempre con il cucchiaio di legno perché il tutto non attacchi, unite il riso, lasciatelo rosolare per pochi attimi e poi aggiungete, poco alla volta, il brodo bollente. Continuate ad aggiungere il brodo a mano a mano che il riso si asciuga fino a cottura ultimata come per un normale risotto. Quando il risotto sarà pronto controllate il sale, aggiungete burro, unite il formaggio grattugiato, mescolate e, dopo aver spento il fuoco, coprite il tegame con un coperchio per pochi attimi. Servite bollente in piatti caldi.

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SFORMATO DI PENNE ALLA PARMIGIANA (Emilia Romagna)

Per 2 stampi: 200 g di penne senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 1 melanzana violetta a fette - 120 g di parmigiano grattugiato - pangrattato senza glutine - farina senza glutine - sale e pepe macinato fresco - origano - 1/5 l di salsa di pomodoro - 30 ml d'olio d'oliva extra vergine - basilico fresco - 2 stampi per sformato di ca. 10 cm di diametro. Lavare la melanzana e tagliarla a fette. Passare le singole fette nella farina e friggerle nell'olio. Sgocciolarle e lasciarle asciugare su un canovaccio. Far cuocere i resti della melanzana nella salsa di pomodoro. Cuocere le penne in abbondante acqua salata (tempi di cottura sulla confezione), scolare e amalgamare con metà del sugo. Oliare gli stampi per sformato, spolverare con il pangrattato e riempire a strati: una fetta di melanzana in fondo, poi la salsa di pomodoro, abbondante parmigiano, quindi la pasta e cosi via, fino a riempire gli stampi; concludere con uno strato composto da fetta di melanzana, salsa di pomodoro e parmigiano. Cuocere in forno a 170° per ca. 15 minuti, rovesciare lo sformato dallo stampo. Rivoltare (lo strato gratinato deve essere in alto) e servire cosparso di alcune foglie di basilico fresco e un po' d'origano. Un trucco: verso la fine della cottura, commutare il forno sul riscaldamento superiore in modo da far gratinare lo sformato nella parte alta e conferirgli una bella crosta dorata.

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TAGLIATELLE AL RAGU' D'AGNELLO E ZAFFERANO (Abruzzo)

Per 2 persone: 200 g di tagliatelle senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 200 g di cosciotto d'agnello disossato tagliato a cubetti - 100 ml di brodo di verdura - 1 cipolla piccola tagliata a cubetti - 1 spicchio d'aglio schiacciato - 1 rametto di rosmarino - origano - timo e salvia - 1 foglia d'alloro - 1 g di pistilli di zafferano (in alternativa zafferano in polvere) - 50 ml d'olio d'oliva - 100 g di pomodorini ciliegia - 5 foglie di basilico - 50 ml di vino rosso - pecorino grattugiato da cospargere - sale e pepe macinato fresco. Fare rosolare cipolla e aglio in olio d'oliva, aggiungere il cosciotto d'agnello tagliato a cubetti e far dorare bene il tutto. Insaporire con sale e pepe, deglassare con vino rosso. Immergere lo zafferano nel brodo di verdura e versare sulla carne, aggiungere la foglia d'alloro. Far stufare coperto il ragù di agnello a calore moderato per ca. 45 minuti. Dieci minuti prima del termine della cottura aggiungere i pomodorini ciliegia, il timo, l'origano, il rosmarino, la salvia e le foglie di basilico e portare ancora ad ebollizione per breve tempo. Cuocere al dente le tagliatelle in abbondante acqua salata (tempi di cottura sulla confezione). Amalgamare le tagliatelle nel sugo e servirle cosparse di pecorino.
Le erbe fresche si aggiungono sempre subito prima della fine della cottura.

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SPAGHETTI ALLE COZZE TARANTINE (Puglia)

Per 2 persone: 200 g di spaghetti senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 400 g di cozze fresche - 1 cipolla piccola tritata - 1 spicchio d'aglio non sbucciato e schiacciato - 1 pomodoro maturo in concassée - 50 ml d'olio d'oliva extra vergine - vino bianco secco -  prezzemolo tritato - pepe bianco macinato fresco. Pulire accuratamente le cozze, eliminare la barba, lavarle bene e farle sgocciolare. Mettere in una casseruola metà dell'olio d'oliva, farvi dorare lo spicchio d'aglio, aggiungere le cozze e deglassare con il vino. Coprire e lasciare cuocere per ca. 5 minuti. Terminata la cottura, togliere le cozze dal fuoco e metterle in caldo, togliere lo spicchio d'aglio. Nel frattempo, far rosolare a parte la cipolla tritata nel rimanente olio e aggiungere il pomodoro in concassée. Aggiungere la miscela al sugo di cottura delle cozze, insaporire con prezzemolo e pepe. Cuocere al dente gli spaghetti in abbondante acqua salata, scolare e amalgamare con la salsa di pomodoro; continuare la cottura per un minuto. Solo alla fine mischiare le cozze; è preferibile staccarne una parte dal guscio. Servire caldo.
Utilizzare esclusivamente cozze freschissime. Le cozze che non si aprono durante la cottura vanno scartate. Chi ha la fortuna di pescare personalmente le cozze dagli scogli potrà pulirle in un modo molto semplice: vanno messe in un secchio con un paio di litri d'acqua, indossare dei guanti ed iniziare a girarle vorticosamente nel secchio prima in un senso e poi in un altro cambiando l'acqua ogni volta e finché non risulta pulita. Finire la pulizia togliendo le barbe rimaste. A chi piace il piccante: insaporire la salsa con peperoncino.

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PENNE RIGATE ALLA NAPOLETANA (Campania)

Per 2 persone: 200 g di penne rigate o rigati senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 50 ml d'olio d'oliva - 1 pz. cipolla tagliata a cubetti - 1 spicchio d'aglio schiacciato - 60 g di gambo di sedano tagliato a cubetti - 1 pz. di carota tagliata a cubetti - 100 g di ricotta - 50 g di pancetta tesa tagliata a cubetti - 2 pomodori tagliati a cubetti - origano - sale e pepe macinato fresco - 50 g di pecorino o parmigiano grattugiato. Fare rosolare in olio d'oliva la pancetta, il sedano, la carota, la cipolla e l'aglio e aggiungere i pomodori. Insaporire con sale e pepe e far bollire sino ad ottenere un sugo denso e cremoso. Cuocere al dente le penne rigate o i rigati in abbondante acqua salata. Amalgamare la pasta al sugo, aggiungere la ricotta a cucchiaiate e mescolare brevemente. Cospargere con parmigiano o pecorino grattugiato e origano e servire.

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TAJARIN ALL'ALBESE (Piemonte)

Per 2 persone: 200 g di tagliatelle senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 40 ml d'olio d'oliva - 40 g di burro - 1 cipolla piccola tagliata a cubetti - 200 g di fegatini di pollo freschi tagliati finemente - 2 pomodori maturi tagliati a cubetti - 50 ml di vino bianco secco - 1 tartufo bianco piccolo - 50 g di parmigiano grattugiato - sale e 1 pepe macinato fresco. Sciogliere il burro nella padella insieme all'olio d'oliva, farvi rosolare la cipolla, aggiungere i fegatini e soffriggere brevemente, poi deglassare con vino bianco. Aggiungere i pomodori e fare sobbollire per qualche minuto fino ad ottenere una consistenza cremosa. Aggiustare di sale e pepe. Cuocere al dente le tagliatelle in abbondante acqua salata. Amalgamare la pasta al sugo e cospargere con il tartufo tagliato sottilmente. Servire con parmigiano. Salare i fegatini solo alla fine, altrimenti diventano stopposi ed asciutti.

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TAGLIATELLE AL RAGU' DI CINGHIALE (Toscana)

Per 2 persone: 200 g di tagliatelle senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 200 g di sella o cosciotto di cinghiale tagliato a cubetti - 1 cipolla piccola tagliata a cubetti - 1 spicchio d'aglio schiacciato - 1 carota piccola tagliata a cubetti - 30 g di gambo di sedano tagliato a cubetti - 200 ml di vino rosso corposo - sale e pepe macinato fresco - 1 rametto di rosmarino - 50 ml d'olio d'oliva. Rosolare a fuoco vivo in olio d'oliva la carne, aggiungere cipolla, aglio, carota, sedano, salare, pepare e far dorare bene. Deglassare con il vino rosso. Aggiungere il rametto di rosmarino e far stufare lentamente e coperto per ca. 45 minuti. All'occorrenza incorporare un po' d'acqua. Cuocere al dente le tagliatelle in abbondante acqua salata per 8 minuti ed amalgamare al sugo. Servire subito. I funghi porcini freschi arrostiti s'accompagnano perfettamente con questo piatto.

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SPAGHETTINI CON LA BOTTARGA (Sardegna)

Per 2 persone: 200 g di spaghettini senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 2 fette di bottarga - 1 spicchio d'aglio schiacciato - prezzemolo tritato - il succo di mezzo limone - 50 ml d'olio d'oliva extra vergine - sale e pepe macinato fresco. Far sciogliere la bottarga in olio d'oliva e rosolarvi brevemente l'aglio. Cuocere intanto al dente gli spaghettini in abbondante acqua salata. Aggiungere un po' d'acqua di cottura alla miscela di bottarga e l'olio d'oliva e deglassare con il succo del limone. Aggiungere gli spaghettini, salare e pepare e servire subito con il prezzemolo tritato.
Non abbondare con il sale perché la bottarga è già molto salata.

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SPAGHETTI ALLA CARBONARA (Lazio)

Per 2 persone: 200 g di spaghetti senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 50 ml d'olio d'oliva - 100 g di pancetta tagliata a striscioline - 1 rosso d'uovo fresco - 50 g di parmigiano grattugiato -  prezzemolo tritato finemente - sale e pepe macinato fresco. Fare imbiondire la pancetta in olio d'oliva, salare e pepare. Cuocere al dente gli spaghetti in abbondante acqua salata, scolarli  ed amalgamare alla pancetta. Aggiungere il rosso d'uovo e mescolare ancora a fondo. Servire con il parmigiano.
Per alleggerire la ricetta, saltare la pancetta in una pentola antiaderente senza l'aggiunta dell'olio d'oliva.

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RIGATONI ALLA NORMA (Sicilia)

Per 2 persone: 200 g di rigatoni o penne senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 50 mi d'olio d'oliva - 1 cipolla piccola tagliata a cubetti - 1 spicchio d'aglio schiacciato - 1 melanzana piccola pelata e tagliata a cubetti - 2 pomodori maturi tagliati a cubetti - 100 g di ricotta compatta - sale e pepe macinato fresco. In una padella antiaderente soffriggere a fuoco vivo in olio d'oliva i cubetti di melanzana, salare, pepare e tenere in caldo. Soffriggere in olio d'oliva cipolla e aglio, aggiungere i pomodori, salare, pepare e fare bollire fino ad ottenere una salsa consistente. Aggiungere le melanzane. Amalgamare al sugo i rigatoni fatti cuocere al dente in abbondante acqua salata e cospargere con la ricotta a cubetti. Servire subito.
Del basilico fresco tagliato a striscioline conferirà al piatto un sapore particolare.

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LASAGNE AL RADICCHIO TREVISANO (Veneto)

Per 2 persone: 200 g di lasagne senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati - 50 g di farina senza glutine - 2 cespi di radicchio - 50 g di burro - 50 ml di latte - noce moscata grattugiata a piacere - 10 ml d'olio d'oliva extra vergine - 1 cipolla piccola tritata - 50 ml di vino rosso secco - sale e pepe macinato fresco - 50 g di parmigiano grattugiato. Preparazione per la besciamella: sciogliere il burro, unire mescolando la farina, unire il latte e portare ad ebollizione. Salare e pepare. Insaporire con la noce moscata. Preparazione: Lavare il radicchio e tagliarlo finemente. Far rosolare la cipolla nell'olio, aggiungere il radicchio, deglassare con il vino e far stufare per ca. 3 o 4 minuti; salare e pepare. Aggiungere la besciamella piuttosto cremosa, ma non troppo densa, al radicchio stufato. Preparare le classiche lasagne: in uno stampo resistente al calore, disporre alternativamente le sfoglie di pasta, la besciamella col radicchio e il parmigiano, fino a formare almeno quattro strati. Concludere con uno strato di besciamella. Cuocere in forno a 170°C per ca. 25 minuti e far gratinare. Dividere in porzioni e servire.
Tenere da parte alcune foglie di radicchio crudo per la decorazione, soffriggerne rapidamente la metà e disporle sulle lasagne poco prima di servire.

 

ZUPPA DI CONCHIGLIETTE E LENTICCHIE DI CASTELLUCCIO (Umbria)

Per 2 persone: 160 g di conchigliette senza glutine che si possono acquistare in farmacia o in negozi specializzati, in alternativa si può utilizzare una pasta di riso o di mais (molto buone le Asolane) - 100 g di lenticchie secche (preferibilmente lenticchie di Castelluccio) - 200 ml di brodo di verdura - 20 ml d'olio d'oliva extra vergine - 1 cipolla tritata - 1 spicchio d'aglio schiacciato - 50 g di carote e gambo di sedano tagliati a cubetti (grossi ca. quanto le conchigliette) - 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro - sale - pepe macinato fresco - erbette miste tritate (alloro, salvia, prezzemolo, rosmarino, timo, maggiorana). Mettere l'olio in una pentola, farvi rosolare il trito di cipolla e aglio, deglassare con il brodo. Aggiungere le lenticchie e il concentrato di pomodoro, cuocere per ca. 20 minuti. Aggiungere le carote ed il sedano e far cuocere per altri 5 minuti. Aggiustare di sale e pepe. Cuocere le conchigliette direttamente nella zuppa di lenticchie. Far saltare in padella le erbette tritate con un filo d'olio, aggiungere alla zuppa e servire subito. Un trucco: mettere le lenticchie in ammollo in acqua fredda per 30 - 40 minuti e poi scolarle prima della cottura, non solo cuoceranno meglio, ma verranno eliminate anche le impurità.

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TAGLIOLINI CON TARTUFI E RICCI DI MARE

 Per 4 persone: Tagliolini 350 - 30 ricci di mare - 20 tartufi di mare - 2 spicchi d'aglio - concentrato di pomodoro g 60 - peperoncino - vino bianco - un ciuffo di prezzemolo - olio d'oliva - sale e pepe.
 Immergete i tartufi di mare 2 ore prima in acqua tiepida. Aprite i ricci di mare con le forbici, tagliando la parte superiore, lavateli all'interno ed estraete con un cucchiaino il frutto. In una padella con l'olio soffriggete uno spicchio di aglio, unite il frutto dei ricci, rosolate, bagnate con il vino bianco, aggiungete il concentrato di pomodoro e il peperoncino e cuocete per 15 minuti. In una casseruola con l'olio soffriggete l'aglio rimasto, unite i tartufi, bagnate con il vino rimasto, coprite e cuocete, fino a quando le valve si aprono, quindi eliminate le valve e recuperate il frutto. Trasferite il frutto dei tartufi nella padella con i ricci e il concentrato di pomodoro e continuate la cottura per qualche minuto. Cuocete i tagliolini in acqua salata, scolateli, conditeli con il sugo preparato e insaporiteli con il prezzemolo tritato, il sale e il pepe.
 Tempo di preparazione: 40 minuti, più l'ammollo dei tartufi di mare.

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RAVIOLI DI SPIGOLA

 Per 4 persone: Spigole g 600 - scalogno g 50 - vino bianco - farina g 150 - semola di grano duro g 50 - prezzemolo g 20 - una fetta di pancarrè - latte - 2 uova - burro g 40 - olio extravergine di oliva - sale e pepe.
 Su una spianatoia versate le farine, unite le uova sgusciate e un pizzico di sale, lavorate l'impasto con le mani, fino a ottenere un panetto omogeneo, e lasciate riposare per mezz'ora. Eliminate la crosta del pancarrè, ammollatelo nel latte e strizzatelo. Lavate il prezzemolo, sfogliatelo e tritatelo. Sciacquate le spigole, eliminate la pelle, la lisca e le spine e recuperate la polpa. Pelate e tritate lo scalogno, soffriggetelo in una padella con l'olio, disponete la polpa di spigola, bagnate con il vino bianco, lasciate evaporare, salate, pepate, coprite e cuocete a fuoco moderato per 15 minuti. Frullate la polpa di spigola con il prezzemolo e il pancarrè. Stendete il panetto in una sfoglia sottile, ricavate dei quadrati di 4 centimetri, distribuite i ripieno, a mucchietti, nel centro dei quadrati, ricoprite con un'altra sfoglia di pasta, ritagliate i ravioli con l'apposita rotella e sigillate i bordi. Cuocete i ravioli in acqua salata per 5 minuti, scolateli, disponeteli nel piatto da portata e conditeli con fiocchetti di burro.

 Tempo di preparazione: un'ora e 30 minuti.

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SPAGHETTI AI FRUTTI DI MARE

 Ingredienti per 4 persone: Spaghetti g 400 - vongole veraci g 600 - cozze g 400 - scampi g 300 - gamberi g 300 - 3 spicchi d'aglio - pomodorini g 250 - un ciuffetto di basilico - un ciuffetto di prezzemolo - un peperoncino rosso - un bicchiere di vino bianco - olio extravergine di oliva e sale.
 Immergete le vongole 2 ore prima in acqua tiepida. Pulite le cozze accuratamente in acqua corrente. Tagliate a metà gli scampi ed i gamberi. Lavate e tagliate i pomodorini a spicchi. In una casseruola con l'olio soffriggete uno spicchio d'aglio, unite le cozze e le vongole, bagnate con il vino bianco, coprite e cuocete, fino a quando le valve si aprono, quindi eliminate le valve, recuperate il frutto e filtrate l'acqua di cottura. In una padella con l'olio soffriggete l'aglio rimasto, unite i gamberi e gli scampi, rosolate, unite i pomodorini, l'acqua di cottura e il peperoncino, dopo qualche minuto aggiungete le cozze e le vongole e continuate la cottura per 3 minuti. Cuocete gli spaghetti in acqua salata, scolateli, conditeli con tutti gli ingredienti, aromatizzateli con il basilico e il prezzemolo tritati e irrorate con un filo di olio.

 Tempo di preparazione: 30 minuti, più l'ammollo delle vongole.

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RIGATONI CON GLI UCCELLINI

 Per 4 persone: Allodole , 4-5 - Rigatoni, g. 100 - Cipolla - Carota gialla - Olio - Prosciutto grasso e magro - Aglio - Sale - Pepe - Lauro (alloro)– Timo - Vino bianco - Burro - Parmigiano - Facoltativo: fegatini di pollo, salvia.

 Potrete usare qualunque uccellino, ma è preferibile usare delle allodole. Dopo averle spiumate, nettate e fiammeggiate, con un coltellino tagliente togliete loro i petti, che metterete da parte. Il resto delle allodole le triterete grossolanamente, sul tagliere.

Prendete ora una casseruola, affettateci mezza cipolla e un po' di carota gialla, metteteci un pochino d'olio e un trito di prosciutto grasso e magro con una puntina d'aglio. Mettete sul fuoco, fate scaldare, aggiungete le carcasse tritate degli uccellini, condite con sale, pepe, un pezzettino di lauro e un rametto di timo, e lasciate ben rosolare. Quando ogni cosa sarà a color d'oro scuro bagnate con un po' di vino bianco, e quando l'umidità del vino sarà evaporata coprite le carcasse tritate con dell'acqua, diminuite il fuoco e lasciate bollire pian piano per un po' meno d'un'ora. Passate poi ogni cosa da un colino e col cucchiaio di legno pigiate bene per estrarre tutto il sugo dalle ossa e dagli ortaggi. Raccogliete questo sugo in una terrinetta e se fosse troppo liquido fatelo restringere sul fuoco, in modo da avere una salsa di giusta consistenza. Mettete ora un po' di burro in un piccolo tegame e quando sarà sciolto aggiungeteci delle striscioline di prosciutto grasso e magro. Appena il prosciutto sarà caldo aggiungete i petti delle allodole, conditeli con sale e pepe e fateli rosolare da una parte e dall'altra. Quando saranno cotti - ciò che avverrà in pochi minuti - travasateli con tutto il prosciutto e il burro nella casseruola della salsa, che terrete in caldo vicino al fuoco, ma senza che abbia più a bollire. Lessate la quantità di rigatoni occorrenti, calcolandone circa un centinaio di grammi a persona, conditeli con burro, parmigiano e la salsa preparata e sopra disponete i, petti delle allodole. Lasciate stufare un pochino vicino al fuoco e poi fate servire. Potrete calcolare un maggiore o minor numero di allodole a persona, secondo la ricchezza che vorrete dare alla preparazione. Però crediamo che basandosi sui petti di quattro o cinque allodole per ogni persona si avrà già una buona media.

Se vorrete rendere più gustosa la preparazione potrete aggiungere ai petti di allodola anche dei fegatini di pollo, scottati a parte con un po' di burro, prosciutto e poca salvia, e ritagliati in dadini.

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MALTAGLIATI COI FUNGHI

 Per 6 persone: Funghi ovoli, kg. 1 o più - Olio - Aglio - Prezzemolo - Maltagliati, g. 600-700 - Sugo di carne - Parmigiano grattato.

 Gustosissimo piatto di pasta asciutta, anche della cucina genovese. Noteremo anzitutto che i maltagliati sono una varietà di larghi maccheroni confezionati in pezzi sbiechi (quella qualità di pasta che altrove viene chiamata penne, pennoni, ecc.). Mondate, risciacquate e tagliate in pezzi i funghi ovoli e fateli cuocere in un tegame di terraglia con un po' d'olio e un trito d'aglio e prezzemolo. Lessate i maltagliati, scolateli, conditeli con sugo di carne e abbondante parmigiano grattato, e sulla pasta disponete ì funghi. Lasciate stufare un pochino prima di mandare in tavola.

 

TRENETTE COL PESTO

 Trenette - Patate - Sale - Formaggio grattato - Pesto.

 Le lasagne fatte in casa possono essere sostituite con le trenette, e cioè con pasta già confezionata. Le trenette sono delle lasagnette conosciute anche col nome di « lingue di passero » di qualità speciale, un po' scura e resistentissima alla cottura. Si preparano delle fette di patate pressa poco della grandezza e dello spessore delle vecchie monete da venti lire d'argento ((NDR vi abbiamo già avvisati che sono ricette antiche)) e si mettono in una pentola con acqua fredda leggermente salata. Si mette la pentola sul fuoco e quando l'acqua bollirà si aggiungono le trenette. A cottura, si scolano patate e pasta e si condiscono con abbondante formaggio grattato e col pesto, il quale verrà diluito con qualche cucchiaiata dell'acqua della pentola. Bisogna regolarsi in modo che patate e trenette arrivino insieme di cottura.

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LASAGNE ALLA CACCIATORA COL POLLO

 Per 6 persone: Farina, g. 400 - Uova, 4 - Pomodori, kg. 1 - Olio, mezzo bicchiere - Burro, g. 50 - Piccola cipolla - Aglio, 2 spicchi - Pancetta di maiale (ventresca), g. 100 - Pollo - Sale - Pepe - Marsala, mezzo bicchiere - Parmigiano grattato - Prezzemolo - Basilico.

 Con le uova e la farina preparate una pasta all'uovo che ritaglierete in fettucce di tre centimetri di larghezza. Spellate i pomodori, privateli dei semi, ritagliateli in pezzi e metteteli da parte. Ponete in una casseruola mezzo bicchiere d'olio e mezzo ettogrammo di burro, una piccola cipolla tritata e due spicchi d'aglio intieri. Fate cuocere a fuoco leggero e quando la cipolla sarà cotta, ma non colorita, aggiungete cento grammi di pancetta di maiale in listerelle sottili (ventresca), un pollo spezzato, sale e pepe. Ravvivate il fuoco e fate rosolare tutto di bel colore biondo scuro.

A questo punto togliete gli spicchi d'aglio e bagnate l'intingolo con mezzo bicchiere di buon marsala. Lasciate un po' evaporare l'umidità del vino e finalmente aggiungete i pomodori preparati. Coprite la casseruola e continuate la cottura a fuoco moderato per una ventina dì minuti, mescolando di quando in quando. Se l'intingolo si asciugasse troppo aggiungerete qualche cucchiaiata d'acqua. Mettete a cuocere le lasagne, conditele col sugo del pollo e abbondante parmigiano grattato e sulle lasagne disponete il pollo spezzato. Ultimate con una cucchiaiata di prezzemolo e di foglie di basilico tritato insieme e fate portare in tavola. Durante la stagione degli spinaci si può eseguire la stessa preparazione usando invece delle Comuni lasagne all'uovo delle lasagne verdi con spinaci.

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PAPPARDELLE CON LA LEPRE ALLA TOSCANA

 Per 6 persone: Polpa di lepre, g. 500-600 - Burro - Pancetta di maiale - Cipolla - Sedano - Sale - Pepe - Timo - Farina, un cucchiaio - Vino secco, un bicchiere - Brodo o sugo di carne senza pomodoro, l. 0,5 - Pappardelle, g. 600.

 Le pappardelle sono un tipo di pasta corrispondente a fettuccine all'uovo piuttosto larghe.

La polpa di lepre, ricavata dalla sella (lombata) o dal coscetto (senza ossa), va privata delle pellicole e dei nervi, e ritagliata in pezzetti. Mettete sul fuoco una casseruola con un po' di burro e un pesto dì pancetta di maiale, mezza cipolla e mezza costola di sedano, fate soffriggere un poco e poi aggiungete i pezzetti di lepre che condirete con sale, pepe e un pizzico di timo. Quando la lepre sarà ben rosolata spolverizzatela con una cucchiaiata di farina, mescolate, fate un po' imbiondire la farina e poi bagnate con un bicchiere di vino secco. Quando il vino sarà evaporato bagnate ancora con circa mezzo litro abbondante di brodo, o meglio di sugo di carne senza pomodoro. Coprite il recipiente, diminuite il fuoco e lasciate finir di cuocere. A cottura completa della lepre il sugo deve risultare di giusta densità.

Lessate le pappardelle e conditele con abbondante parmigiano grattato e l'intingolo di lepre. Questa è la ricetta tradizionale toscana detta “pappardella sulla lepre”.

 Altri procedimenti - Lepre spezzata alla cacciatora o in umido - Pappardelle.

 C'è anche chi esegue le pappardelle con un altro procedimento, spezzando cioè la lepre e cuocendola alla cacciatora con molti aromi e un po' di pomodoro e condisce poi la pasta col sugo della lepre disponendoci sopra lo spezzato.

 E finalmente c'è un terzo sistema, specialmente usato nelle campagne toscane. Si divide la lepre in pezzi e si fa cuocere in umido con abbondante sugo, aggiungendo anche la testa e il fegato. Quando la lepre è cotta si disossa la testa e si ritaglia in dadini, si ritaglia in dadini anche il fegato, e si aggiunge qualche pezzetto di carne di lepre, anche ritagliato in dadini. Si riunisce tutto ciò in una casseruolina con un parte del sugo, sì fa dare ancora un bollo a questa specie di ragù, e ci si condiscono le pappardelle. La lepre viene poi servita a parte, come piatto a sé.

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LUMACHE ALLA ROMANA

 Lumache - Sale - Olio - Aglio - Acciughe, 3-4 - Pomodoro – Pepe - Menta dei campi (mentuccia) - Facoltativo: peperoncino.

  C'è in giugno una festa tradizionale romana, la festa della notte di San Giovanni, la quale, pur avendo perduto, attraverso tanti anni, gran parte della sua vivacità caratteristica, rimane tuttavia la mèta verso cui convergono, da tutte le parti di Roma, gioconde comitive desiderose di perpetuare, tra il profumo dei garofani e della spighetta, tra mille luci multicolori e concertina ambulanti di chitarre e mandolini, il rito popolare ((NDR vi abbiamo già avvisati che sono ricette antiche)). E poiché, come suol dirsi, tutti i salmi finiscono in gloria, il popolo prende volentieri d'assalto le osterie, le trattorie e le tante baracche improvvisate, per consumare specialmente il piatto tradizionale: le lumache. Di questo piatto classico diamo qui la ricetta assolutamente autentica, quale si tramanda nelle famiglie romane e che, naturalmente, dà un risultato ben superiore a quello offerto la notte di San Giovanni nelle osterie locali.

  In possesso di una certa quantità di lumache, preferibilmente di vigna, si raccolgono in un grande recipiente, che può essere anche un cesto di vimini, e si copre il recipiente, badando che l'aria possa comodamente circolare. In questo recipiente o nel cesto, si mettono dei pezzi di mollica di pane bagnata nell'acqua e spremuta e, avendone a disposizione, qualche foglia dì vite. Si lasciano così in riposo le lumache per due giorni, trascorsi i quali si procede alle prime operazioni.

 Si versano le lumache in una grande catina, contenente acqua con un pugno di sale e un bicchiere d'aceto, e s'incomincia con le mani a mescolare le lumache che sotto questo lavaggio caveranno abbondantissima schiuma. Lavatele a lungo, rinnovando un paio di volte l'acqua con l'aceto e il sale, fino a che constaterete che le lumache non emettono più schiuma. Risciacquatele allora accuratamente in acqua fredda. che cambierete più volte, e poi mettete le lumache così nettate in un piccolo caldaio con acqua fredda. Ponete il caldaio su fuoco debole. Man mano che l'acqua intiepidisce le lumache incominceranno a metter fuori la testa dalla loro casetta. E’, questo il momento di intensificare il fuoco, affinché le bestiole possano passare a miglior vita senza rientrare nel guscio. Raggiunta l'ebollizione, lasciate bollire le lumache per una diecina di minuti, poi prendetele su con una grossa cucchiaia bucata e passatele nuovamente nella catinella con acqua fredda, per un definitivo ed ultimo lavaggio. Prendete ora un largo tegame di terraglia, metteteci dell'olio e qualche spicchio d'aglio, e quando l'aglio avrà soffritto, toglietelo via, aggiungendo tre o quattro acciughe lavate, spinate e fatte in pezzetti. Appena le acciughe saranno sfatte, mettete nel tegame una quantità di pomodoro proporzionata alla quantità di lumache, ricordando che per questa preparazione il sugo dove essere piuttosto abbondante. Il pomodoro va spellato, privato dei semi e fatto in pezzi. Quando la salsa avrà preso un bel colore, conditela con sale, abbondante pepe e un pizzico di foglie dì menta dei campi, conosciuta a Roma col nome di mentuccia. Generalmente si usa rendere più piccante la salsa aggiungendo anche qualche pezzetto di peperoncino. Se la salsa fosse troppo spessa, diluitela con un pochino d'acqua. Mettete nel tegame le lumache e lasciatele insaporire su fuoco moderato per una buona mezzora.

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LUMACHE ALLA FRANCESE

 Lumache - Sale - Vino bianco e acqua in quantità uguali - Cipolla - Carota gialla - Sedano - Pepe - Prezzemolo - Burro - Spezie - Pangrattato - Aglio - Scalogno.

 Per questa preparazione occorrono delle grossissime lumache: i veri “escargots”, così cari ai buongustai francesi. La ricetta differisce sensibilmente dalle nostre solite, e specialmente dalle famose lumache alla romana. Lavare le lumache in molte acque, nettarne bene l'apertura e poi metterle in una terrina con un paio di pugni di Sale e un bicchiere abbondante d'aceto. Saltellarle di quando in quando, e lasciarle così almeno un paio d'ore. Poi lavarle nuovamente in molta acqua, raccoglierle in una casseruola, coprirle d'acqua fredda e lasciarle bollire cinque minuti. Scolarle, passarle in acqua fredda, rimetterle nella casseruola con metà acqua e metà vino bianco, in quantità sufficiente per ricoprirlo: aggiungere un po' di cipolla e carota gialla tritate, una costola di Sedano, sale, un buon pizzico di pepe e un po' di prezzemolo. Continuare la cottura per tre ore. Trascorso questo tempo estrarre a uno a uno i lumaconi dal guscio, liberandoli dall'estremità interna. Passare allora le lumache sgusciate in una padella, con un bel pezzo di burro, pepe, spezie e poco sale, e lasciarle insaporire su fuoco moderato. Intanto si saranno nuovamente lavati i gusci vuoti, e dopo averli asciugati si passeranno in stufa per seccarli completamente. Rimettere ogni lumaca in un guscio, e riempire il vuoto con un po' di burro espressamente preparato: si impasta un ettogrammo di burro con sale, pepe bianco e spezie, a cui si aggiunge un trito di prezzemolo, aglio e scalogno. Riempiti tutti i lumaconi, allinearli in un piatto di porcellana resistente al fuoco e precedentemente imburrato. Innaffiare le lumache con qualche goccia di vino bianco, cospargerlo di poco pane grattato molto fine e passare il piatto in forno per una diecina di minuti. Mangiarlo subito.

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PECE SAN PIETRO CON VONGOLE E ASPARAGI

 Per 4 persone: Pesce San Pietro: 2 chili - vongole veraci: un chilo - asparagi: g 800 - 2 spicchi d'aglio - mezzo bicchiere di vino bianco - olio d'oliva - sale e pepe. Sciacquare le vongole e spurgarle in acqua e sale per mezz'ora. Nel frattempo lavare il pesce San Pietro e tagliarlo a filetti. Lavare gli asparagi, eliminare i gambi, sbollentare le punte in acqua salata e scolare. Soffriggere uno spicchio d'aglio in una casseruola con l'olio, unire le vongole, bagnare con il vino bianco, cuocere a fiamma vivace fino a quando le valve si aprono, e filtrate il liquido di cottura. Salare i filetti di San Pietro, rosolarli in padella con l'olio e l'altro spicchio d'aglio, aggiungere gli asparagi, le vongole con il loro liquido di cottura, salare e pepare.

 Tempo di preparazione: un'ora.

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FILETTI DI BRANZINO ALL'UVA

 Per 4 persone: 4 filetti di branzino (o spigola) - uva bianca senza semi g 200 - uno scalogno - mezzo bicchiere di panna - vino bianco - burro: g 40 - farina di riso -sale e pepe rosa. Su un tavolo da cucina infarinare i filetti di branzino con la farina di riso. Pelare e affettare lo scalogno, soffriggerlo in una padella con il burro ammorbidito, adagiare i branzini, rosolarli a fuoco moderato su entrambi i lati, unire gli acini di uva lavati e sgocciolati, cuocere per 5 minuti, bagnare con il vino bianco, lasciare evaporare e salare, quindi continuare la cottura per 5 minuti, versare la panna, mescolare, disporre la preparazione nel piatto da portata e decorarla con il pepe rosa.

 Tempo di preparazione: 20 minuti

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CALAMARI FARCITI CON RICOTTA E SCAMPI

 Per 4 persone: 4 calamari da g 150 - ricotta: g 200 - scampi: g 200 - erba cipollina - scalogno: g 20 - un uovo - sale e pepe. Pulire i calamari, mantenendo intatte le tasche. Sgusciare quasi tutti gli scampi, sciacquarli, eliminare la testa e la coda, frullare la polpa con l'uovo sgusciato, la ricotta, lo scalogno affettato e l'erba cipollina tagliuzzata, salate e pepate. Con una tasca da pasticciere farcite i calamari con il composto preparato e chiuderli con uno stuzzicadenti. Cuocere i calamari farciti al vapore, tagliarli a fette, eliminare lo stuzzicadenti e servirli nel piatto da portata con gli scampi interi rimasti.
 Tempo di preparazione: 25 minuti.

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STORIONE IN CONFETTURA DI CIPOLLE

 Per 4 persone: Filetto di storione g 600 - prosciutto crudo affettato g 200 - salvia - rosmarino g 40 - scalogno g 30 - cipolle rosse g 400 - vino rosso - zucchero - olio d'oliva - sale e pepe.
 Pelate lo scalogno e tritatelo con la salvia e il rosmarino. Praticate alcune incisioni nel filetto di storione, inserite lo scalogno tritato e aromatizzato, avvolgetelo nel prosciutto crudo e legatelo con lo spago da cucina. Pelate e affettate le cipolle rosse, rosolatele in una padella, unite un pizzico di zucchero e di sale, bagnate con il vino rosso, lasciate evaporare, continuate la cottura, fino a quando la confettura di cipolle sì è asciugata, aggiustate di sale e pepate. Rosolate il filetto di storione in una casseruola con l'olio. Trasferitelo in forno e cuocete a 190 gradi per 10 minuti. Estraete il filetto di storione dal forno e lasciatelo riposare per qualche minuto. Disponete la confettura di cipolle nel piatto da portata e adagiate il filetto di storione tagliato a tranci.
 Tempo di preparazione: 40 minuti.

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ORATA AL FORNO CON LE COZZE

 Per 4 persone: 4 orate - cozze g 600 - pomodori g 200 - 4 spicchi d'aglio - un ciuffetto di prezzemolo - vino bianco g 50 - olio d'oliva - sale e pepe.
 Lavate i pomodori, sbollentateli in acqua salata per 10 secondi, scolateli, raffreddateli in acqua, eliminate la pelle, i semi e l'acqua di vegetazione e tagliate la polpa a pezzetti. Pulite le orate nella parte interna ed eliminate le pinne e la coda. Pulite le cozze accuratamente sotto il getto dell'acqua. Adagiate le orate in una teglia, aggiungete le cozze, la polpa di pomodoro, l'aglio, il prezzemolo, l'olio e il vino bianco, salate e pepate. Coprite le orate con la carta stagnola, cuocetele in forno a 220 gradi per 18 minuti, estraetele dal forno, eliminate la carta stagnola e disponetele nel piatto da portata.

 Tempo di preparazione: 40 minuti.

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OSTRICHE AL GORGONZOLA

 Per 4 persone: 8 ostriche - gorgonzola g 100 - latte g 250 - burro g 30 -  farina g 20.
 Eliminate la crosta del gorgonzola e tagliatelo a pezzetti. Sciogliete il burro in una casseruola, unite la farina e cuocete per 2 minuti. Portate il latte a ebollizione, versatelo nella farina. Cuocete per 10 minuti, aggiungete il gorgonzola, mescolate con un cucchiaio di legno, fino a quando si scioglie. Aprite le ostriche con l'apposito coltellino, svuotatele del liquido. disponetele su una teglia da forno, cospargetele con la besciamella al gorgonzola e gratinatele in forno per qualche minuto, quindi estraetele dal forno e servitele nel piatto da portata.
 Tempo di preparazione: 20 minuti.

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RANA PESCATRICE CON CARCIOFI

La rana pescatrice è un pesce senza spine che piace anche ai bambini.

Per 4 persone: Una rana pescatrice a tranci da g 800 - 4 carciofi - pancetta a fette g 80 - 10 pomodorini - rosmarino - uno spicchio d'aglio - un ciuffo di prezzemolo - bicchiere di vino bianco - olio extra vergine di oliva - sale e pepe.
 Lavate e tagliate i pomodorini a metà, pulite i carciofi, eliminate le foglie più dure, tagliateli a fettine, metteteli in una padella con l'olio, l'aglio e mezzo bicchiere di vino bianco, salate e cuocete con il coperchio per 10 minuti. In una casseruola con un filo di olio rosolate i tranci di rana pescatrice su entrambi lati, sfumate col vino rimasto, aggiungete i pomodorini e la pancetta ridotta a striscioline, insaporite con il rosmarino, unite i carciofi, salate, pepate continuate la cottura per 10 minuti. Disponete la preparazione nel piatto di portata, aromatizzatela con il prezzemolo tritato. Tempo di preparazione: 30 minuti.

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STORIONE “REGENGE”

 Per 6 persone: Storione, 6 grosse fette spesso un cm. abbondante - Burro, g. 40 - Sale - Vino bianco, un bicchiere e mezzo - Tartufo nero - Vongole, g. 400 - Cozze, g. 400 - Pepe - Gamberetti - Estratto di carne, mezzo cucchiaino - Farina, mezzo cucchiaio.

 Spellate le fette di storione e adagiatele in una teglia imburrata. Conditele con un pochino di sale, bagnatele con un bicchiere di vino bianco e copritele con un foglio di carta imburrata. Coprite poi il recipiente con un coperchio e dopo che il pesce avrà cominciato a sentire un po' di calore sul fornello, passatelo in forno per circa un quarto d'ora, avendo l'avvertenza, di quando in quando, di innaffiarlo, per mezzo di un cucchiaio, col fondo di cottura. Quando lo storione sarà cotto, disponete le fette su un piatto ovale, appoggiandole in una sola linea le une sulle altre, a scalini, e mettendo nel centro di ogni fetta una rotella di tartufo nero. Mettete ora sul fuoco la teglia col fondo di cottura e fate bollire. Avrete intanto fatto aprire, in due padelline separate, le vongole e le cozze. Estraete il frutto dalla conchiglia e mettete separatamente in un piattino le vongole e le cozze sgusciate. Finalmente avrete cotto in un po' di vino bianco, sale e pepe, un buon pugno di gamberetti, ai quali sguscerete le code, gettando via tutto il resto. Aggiungete adesso, al fondo della cottura dello storione, il brodo delle vongole e quello delle cozze, avvertendo di decantare i due brodi con cautela, in modo da non lasciar passare qualche eventuale traccia di rena. Aggiungete, se credete, anche un mezzo cucchiaino di estratto di carne in vasetti, e, a fuoco vivo, lasciato restringere. Preparate una mezza cucchiaiata di farina che impasterete con la lama di un coltello sulla tavola con una grossa noce di burro; mettete un po' alla volta questo burro impastato nella salsa, sempre mescolando fino a che la salsa si sarà addensata. Disponete ai lati delle fette di pesce dei gruppetti alternati di vongole, code di gamberetti e cozze, e sulle fette di storione lasciate cadere qualche cucchiaiata di salsa, in modo da velarlo. Il resto della salsa versatelo in una salsiera e inviate tutto in tavola.

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ANGUILLA

 L'anguilla comune abita le acque dolci, ma per generare dove "calare" in mare e questa emigrazione avviene nei mesi di fine d'anno, durante i quali quindi la pesca risulta più facile e abbondante.

 L'anguilla, per la conformazione del suo organismo, può vivere anche a lungo fuori dell'acqua. Raccomandiamo perciò di non comprar mai anguille morte e di scegliere quelle di media grandezza.

 Sono celebri le anguille delle valli di Comacchio e quelle del lago di Bolsena. In alcune regioni d'Italia le anguille grosse sono dette capitoni e formano la base delle agapi natalizie.

 Le ciriole sono piccole anguille del Tevere, dalla pelle molto delicata, e contano in Roma numerosi ammiratori.

 Nella famiglia delle Anguille o Murenoidi si rincontra anche il grongo, dal corpo allungato, di colore scuro, livido. E’ un pesce che si pesca con l'amo ed ha carne pregiata.

L'aguglia ha la forma di una piccola anguilla, è argentata, ha un lungo becco aguzzo e la spina di un bel colore verde.

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ANGUILLA ALLO SPIEDE

 Grossa anguilla - Olio - Sale - Pepe - Lauro (alloro)- Limone – Pane - Pangrattato.

 Per spellare l'anguilla si fa prima un taglio circolare alla base della testa e poi si appende l'anguilla ad un rampino. Si incomincia prima con le dita a staccare e a rovesciare la pelle intorno dove è stato fatto il taglio e quando se ne è staccata una corta quantità da potersi prendere fra le dita, si afferra con un panno e si tira giù da cima a fondo, rovesciandola come un guanto.

Nettate l'anguilla, spellatela e toglietele la testa, ritagliatela in pezzi dì 6-7 centimetri, risciacquate questi pezzi, asciugateli e raccoglieteli in una terrina con olio, sale, pepe, qualche foglia di lauro e sugo di limone. Mescolateli e lasciateli così per un paio d'ore. Prendete poi uno spiede ed infilzateci da prima un cantuccio di pane, quindi i vari pezzi d'anguilla, alternandoli con foglie di lauro; chiudete con un altro cantuccio di pane. Cuocete al girarrosto o, in mancanza di questo, appoggiando lo spiedo su due ferri messi verticalmente, stendendo sotto lo spiedo un letto di brace incandescente. Quando l'anguilla incomincerà a sgocciolare, togliete un momento lo spiede dal fuoco e cospargete abbondantemente il pesce di pane grattato, girando lo spiede affinché il pane si attacchi da per tutto. Rimettete lo spiede a posto e, a intervalli di tempo, ripetete l'operazione dell'impanatura per altre tre o quattro volte. Quando l'anguilla sarà ben cotta e avrà preso una bella colorazione dorata, sfilatela dallo spiede, accomodatela in un piatto e guarnitela con spicchi di limone. Si deve mangiare caldissima.

 

ANGUILLA ARROSTO

 Anguilla - Olio - Aceto - Lauro (alloro)- Sale - Pepe - Pangrattato, un pugno.

Scelta un'anguilla piuttosto grossa, spellatela e tagliatela in pezzi di cinque o sei centimetri, che risciacquerete e asciugherete in una salvietta. Metteteli poi in una terrina innaffiandoli con una marinata composta di olio, un po' d'aceto, qualche foglia di lauro, sale, pepe e un pugno di pane grattato. Mescolate i vari pezzi affinché possano prender bene il condimento o lasciateli così per qualche ora. Prendete poi degli spiedini di metallo o di canna e infilzateci due o tre pezzi d'anguilla, inframezzandoli con delle foglie di lauro. Accomodate gli spiedini guarniti in una teglia, versateci sopra la marinata avanzata e lasciate cuocere al forno, voltando di quando in quando.

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PREPARAZIONE DELL'ANGUILLA CARPIONATA

 Anguilla di kg. 1 - Olio - Lauro (alloro)- Sale - Pepe - Aceto, 2 bicchieri - Aglio, 2 spicchi - Rosmarino, un rametto - Chiodi di garofano, 3-4.

 Lavate l'anguilla e senza spellarla dividetela in 5-6 pezzi, gettando via la testa e l'estremità della coda. Sventratela e asciugatela, accomodando poi i vari pezzi in una teglia con un nonnulla d'olio, qualche foglia di lauro, sale e pepe. Fatela cuocere nel forno per circa un'ora, estraete i vari pezzi, lasciateli sgocciolare e poi aggiustateli in una terrinetta dove possano stare raccolti senza lasciare troppo spazio. Mettete a bollire un paio di bicchieri d’aceto con un pizzico di sale, qualche granello di pepe, un paio di spicchi d'aglio mondati, due o tre foglie d'alloro, un rametto di rosmarino e tre o quattro chiodi di garofano. Fate dare un bollo all'aceto e poi versatelo così caldo sull'anguilla. Coprite la terrinetta, e di quando in quando voltate i pezzi affinché possano imbeversi di aceto. L'anguilla così preparata si conserva per moltissimo tempo.

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CAPITONE MARINATO

 Per 6 persone: Capitone di kg. 1 - Aglio - Sale - Pepe - Lauro (alloro)- Aceto, un bicchiere - Olio, un bicchiere circa.

 Nettate, sventrate il capitone, ma non toglietegli la testa, risciacquatelo, asciugatelo, poi, incominciando, dalla testa, arrotolatelo su se stesso a guisa di spirale e accomodatelo in una casseruola dove possa entrare giusto; aggiungete uno spicchio d'aglio intero, un buon pizzico di sale, pepe, qualche foglia di lauro e versateci sopra un bicchiere d'aceto e circa uno di olio, in modo che il capitone rimanga sommerso nel liquido. Ponete il coperchio alla casseruola e portate questa sul fuoco. Fate bollire adagio, a fuoco lento, e quando il capitone sarà cotto e l’aceto in parte evaporato, travasate il pesce in una terrinetta con tutto il suo intingolo, e lasciate freddare. Si mangia freddo e può attendere anche qualche giorno.

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CAPITONE IN SALSA DI POMODORO

 Per 4 persone: Capitone g 800 - 3 spicchi d'aglio - un peperoncino rosso - salsa di pomodoro g 180 - un cucchiaio di paprika - olio d'oliva - sale.
 Pulite il capitone, senza eliminare la pelle e tagliatelo a pezzi. Pelate e tritate l'aglio, soffriggetelo in una casseruola con l'olio, spolverate con la paprika, versate la salsa di pomodoro, portate sul fuoco, unite il capitone e due bicchieri d'acqua e lasciate evaporare, quindi salate, aggiungete il peperoncino intero, continuate la cottura a fiamma vivace per una mezz'ora e lasciate riposare la preparazione per qualche minuto, prima di servire nel piatto da portata.
 Tempo di preparazione: 1 un'ora.

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CIRIOLE COI PISELLI ALLA ROMANA      

 Ciriole, kg. 1 - Olio - Aglio - Cipolline novelle, 4-5 - Sale – Pepe - Vino bianco, mezzo bicchiere - Salsa di pomodoro, un cucchiaio - Pisellini sgranati, g. 500.

 Queste piccole anguille non vanno spellate. Si privano della testa, si nettano e si tagliano in pezzi di cinque centimetri. Mettete in una casseruola un pochino d'olio, mezzo spicchio d'aglio tritato e quattro o cinque cipolline novelle finemente tritate. Appena colorata la cipolla mettete giù le ciriole, conditele con sale e pepe, e lasciatele insaporire. Quando ogni traccia di umidità sarà scomparsa, bagnatele, con vino bianco e salsa di pomodoro. Mescolate, e quasi subito dopo aggiungete i pisellini sgranati. Mescolate, coprite la casseruola e lasciate cuocere, aggiungendo, se occorre, qualche cucchiaiata d'acqua.

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GRONGO ALLA GENOVESE

 Grongo o anguille, kg. 1 - Olio, 1. 0,200 - Piccola cipolla - Acciughe, 6 - Funghi freschi, g. 500 (o funghi secchi, g. 50) - Sale - Pepe - Vino bianco secco, un bicchiere - Aglio, 2 spicchi - Piselli sgranati, l. 1 - Salsa di pomodoro, un cucchiaio - Facoltativo: risotto in bianco.

 Tagliate il grongo o le anguille, dopo averli nettati, in tronconi di circa quattro centimetri e metteteli in una catinella ad acqua corrente per un po' di tempo affinché possano dissanguarsi. Mettete in un tegame largo è basso l'olio, la cipolla tritata e le acciughe lavate, spinate e fatte in pezzetti. Appena l'olio comincerà a soffriggere togliete il pesce dall'acqua, asciugatelo bene e aggiungetelo al soffritto. Il pesce caverà dell'umidità che bisogna lasciare asciugar bene. Avrete intanto ritagliato i funghi freschi (o fatti rinvenire in acqua fredda e poi tritati grossolanamente i funghi secchi). Metteteli nel tegame, condite con sale e pepe, e, dopo qualche minuto, aggiungete il vino bianco secco, gli spicchi d'aglio intieri e i piselli sgranati. Mettete il coperchio al recipiente e lasciate asciugare quasi completamente il vino. Aggiungete allora la salsa di pomodoro, poca acqua e, sempre a recipiente coperto, lasciate finir dì cuocere tutto. Dovrà risultare un insieme tenerissimo, con poca salsa. Questa preparazione genovese può venire servita con un risottino in bianco.

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PESCE PERSICO

 Si trova nei laghi della Lombardia. Le sue pinne sono di un caratteristico color rosso dorato e il mantello presenta striature verde argento.

 Qualche volta raggiunge il peso di 2 kg., ma più comunemente si trovano esemplari di circa 300 gr. e di questi abbiamo tenuto conto nelle nostre preparazioni. Il pesce persico fornisce anche ottimi filetti.

PESCE PERSICO ALLA MASSAIA

 Pesci persici di g. 150, uno a persona - Sale - Aceto – Besciamella non troppo densa, rifinita con un po' di crema di latte e un po' di burro - Uova sode - Prezzemolo.

 Si fanno cuocere i pesci in acqua salata e leggermente acidulata con dell'aceto. Appena cotti si estraggono e si gratta la pelle ai due lati. Si rimettono poi nell'acqua in cui cossero per averli ben netti. Si sgocciolano nuovamente e si dispongono sul piatto di servizio. Si innaffiano con una besciamella non troppo densa, rifinita con un po' di crema di latte e qualche pezzetto di burro, e su ogni pesce si dispone un trito di uova sode calde, chiara e rosso, con prezzemolo tritato.

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FILETTI DI PESCE PERSICO ALLA MILANESE

 Pesci persici - Farina - Uovo sbattuto - Pangrattato - Burro per friggere - Limone.

 Sfilettate dei pesci persici, togliete la pelle ai filetti, spianateli leggermente, infarinateli, passateli nell'uovo sbattuto e poi nel pane grattato. Date loro bella forma e friggeteli nel burro, a color d'oro. Quando saranno cotti disponeteli nel piatto. innaffiateli con burro fritto spumante, e guarniteli con spicchi di limone.

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PESCE PERSICO ALL'OLANDESE

 Pesci persici - Sale - Aceto - Prezzemolo - Timo - Lauro (alloro)- Patatine - Burro - Succo di limone.

 Mettete nella pesciera acqua a sufficienza per cuocere i pesci. Aggiungete del sale, una cucchiaiata d'aceto per ogni litro d'acqua e un mazzolino composto di gambi di prezzemolo, due o tre rametti di timo e un foglia di lauro. Lasciate bollire per dieci minuti e poi nel liquido bollente immergete i pesci persici. Coprite la peschiera diminuite il fuoco e contate dodici minuti di cottura a lentissima ebollizione per pesci persici di circa 150 grammi, e un quarto d'ora abbondante se i pesci si aggireranno sui trecento grammi. Estraete i pesci, grattatene la pelle e rimetteteli nel bagno per nettarli bene. Disponeteli poi su un piatto coperto con una salvietta, e circondateli di patatine lessate e ciuffetti di prezzemolo. A parte fate servire una salsiera con burro fuso, nel quale avrete aggiunto un pizzico di sale, qualche goccia di sugo di limone e del prezzemolo tritato.

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TINCA

 E’ consigliabile acquistare le tinche vive e tenerle qualche giorno nell'acqua corrente per far perdere alle loro carni, morbide e grasse, quel sapore di fango di cui sono impregnate, per l'abitudine che hanno questi animali d'acqua dolce di vivere in acque melmose. Fare molta attenzione alla fittissime lische che possiedono le tinche.

 

TINCHE MARINATE

 Tinche di g. 200 l'una - Olio per friggere - Cipolla - Aglio, 2 spicchi - Aceto bianco - Vino bianco secco - Sale - Pepe in grani - Salvia.

 Nettate bene le tinche e friggetele nell'olio. Avrete preparato il seguente bagno. Fate colorire nell'olio una cipolla con due spicchi d'aglio, aggiungete aceto bianco allungato con vino bianco secco, sale, qualche granello di pepe e abbondante salvia. Portate all'ebollizione e togliete dal fuoco. Appena le tinche saranno cotte disponetele ancora calde in un recipiente di terraglia con coperchio, e ricopritele con la marinata. Coprite il recipiente e prima di mangiare le tinche aspettate un giorno o due affinché possano bene insaporirsi. Servitele con cetriolini, funghi all'aceto, ecc.

 

TINCHE ARROSTO

 Tinche - Olio - Sale e Pepe - Succo di limone.

 Dopo avere ben nettato le tinche si dispongono in un piatto e si spruzzano d'olio,sale, pepe e sugo di limone; si lasciano così per circa mezz'ora e poi si arrostiscono sulla gratella. Prima d'inviarle in tavola s'innaffiano con dell'olio e si completano con sugo di limone.

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TROTA

 La trota appartiene alla famiglia dei salmoni e vive nelle acque dolci, specialmente in quelle fredde. Ha carne delicata, bianca rosata. ed è il pesce più apprezzato tra quelli dì acqua dolce. Scegliere trote di media grandezza. E’ sconsigliabile l'uso nei mesi di novembre e dicembre.

 

TROTA A VAPORE

 Trota di kg. 1 - Sale - Pepe - Cipolla - Carota gialla - Sedano - Prezzemolo - Timo - Lauro - Burro, g. 100 - Vino bianco secco o barolo, 2 bicchieri - Farina, mezzo cucchiaio – Crema di latte, mezzo bicchiere.

 Dopo aver nettato una trota grande di circa un chilogrammo, asciugatela, e col coltellino fate da una parte e dall'altra del pesce delle incisioni in diagonale, ciò che ne faciliterà la cottura. Poi condite il pesce nell'interno e all'esterno con sale e pepe. Preparate un po' di aromi di cucina tagliuzzati: una cipolla, una carota gialla, una costola di sedano, qualche gambo di prezzemolo, un ramettino di timo mezza foglia di lauro. Togliete la gratella della pesciera e nel fondo del recipiente bene imburrato allargate gli aromi. Rimettete a posto la gratella, ungetela abbondantemente, di burro sciolto, spalmandolo con un pennello, e sulla gratella adagiate la trota unta di burro. Coprite il pesce con una carta imburrata, chiudete la peschiera e iniziate la cottura sul fornello, su fuoco debolissimo, passando poi il recipiente in forno molto moderato, lasciandolo così per una diecina di minuti, affinché gli aromi possano sprigionare il loro profumo senza colorirsi. Trascorsi i dieci minuti versate nella pesciera un paio di bicchieri di vino bianco secco (per la trota si può anche impiegare del buon vino rosso tipo Barolo).

 A questo vino si deve prima far levare il bollore. Rimettete a posto la carta e il coperchio e continuate la cottura in forno un pochino più forte, ma sempre moderato, per circa mezz'ora, bagnando di quando in quando il pesce con il poco liquido della peschiera. A cottura della trota, estraetela, sollevandola con la gratella, e fatela slittare sul piatto di servizio. Raccogliete il fondo di cottura in una casseruolina, facendolo passare da un colino; e se fosse troppo abbondante lasciatelo bollire fino a ridurlo a un bicchiere. Preparate allora una grossa noce di burro. che impasterete con mezza cucchiaiata scarsa di farina. Mettete questo burro impastato nella salsa e, mescolandola con un cucchiaio o con una frustina, lasciatela addensare. Fate bollire due o tre minuti, e quando la salsa sarà legata, ultimatela (sempre tenendola sul fuoco) con circa mezzo bicchiere dì crema di latte, che metterete a piccole porzioni, sempre mescolando. Tirate indietro il recipiente e mettete nella salsa, un pezzetto alla volta, mezzo ettogrammo di burro, mescolando con una frustina come se doveste montare una maionese. Con questa salsa velate la trota e mandatela in tavola.

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TROTA ALLA SAVOIARDA

 Trota - Sale - Farina - Burro, g. 200 - Olio - Funghi - Pepe - Prezzemolo - Pangrattato finissimo - Scalogno.

 Dopo aver preparato una trota ed averla risciacquata ed asciugata, conditela nell'interno ed all'esterno con un po' di sale, infarinatela e fatela cuocere nel burro ,su fuoco moderato, affinché il pesce possa ben cuocere anche nell'interno. A questo , scopo, se la trota è piuttosto grossa, sarà bene fare delle incisioni diagonali da una parte o dall'altra. Intanto prendete un tegame, metteteci un po' di burro e un po' d'olio, fate scaldare sul fuoco e aggiungete dei funghi affettati. Conditeli con sale, pepe e prezzemolo trito, e fateli cuocere. Versate questi funghi in un piatto ovale di porcellana da forno, e stendeteli su tutto il fondo del piatto. Su questo strato di funghi appoggiate la trota cotta, innaffiatela col burro in cui l'avete fritta e velatela con un lieve strato di pane grattato finissimo. Per ottenere questo pane grattato fino basta passarlo dal setaccio. Innaffiate il pane con un altro po' di burro e passate il piatto in forno per qualche minuto per far colorire leggermente il pane. Mandato in tavola senza travasare, appoggiando il piatto di porcellana su un altro piatto più grande. A parte fate servire una salsiera con la seguente semplicissima salsa. Affettate sottilmente uno scalogno; fate friggere a color nocciola un ettogrammo e più di burro, e quando il burro sarà leggermente biondo uniteci lo scalogno trito ritirando dal fuoco la padellina. Lasciato riposare un minuto o due, affinché il burro possa profumarsi di scalogno e poi, facendolo passare da un colino, raccoglietelo nella salsiera, riscaldata con acqua bollente e asciugata.

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TROTTELLE AL BLU

 Piccole trote di g. 200 - Sale - Aceto - Prezzemolo - Patate - Burro.

S'impiegano per questa preparazione le piccole trote d'acqua chiara corrente, preferendo quelle non eccedenti il peso di 300 grammi. Condizione essenziale è di avere delle trottelle vive. Preparate una peschiera o una casseruola con acqua salata e fortemente acidulata con aceto. Quando l'acqua bollirà, uccidete la trota, vuotatela rapidamente e immergetela nel liquido bollente. Tirate indietro la casseruola, e per una trota del peso medio di 200 grammi lasciate sobbollire una diecina di minuti sull'angolo del fornello. Disponete la trottella su un piatto con salvietta e con prezzemolo intorno, e a parte fate servire delle patate lessate e sbucciate, e una salsiera di burro fuso. La denominazione “al blu” indica il colore azzurro che assumono le trottelle eseguite in questo modo.

 

CARPA

La carpa vive nelle acque dolci melmose: ha molta importanza per l'alimentazione e perciò la si alleva razionalmente.

 

CARPA ALL'ORIENTALE

 Carpa - Cipolla - Scalogni, 3 - Aglio, 2 spicchi - Olio - Farina, 2 cucchiai - Brodo di pesce - Vino bianco secco - Prezzemolo - Timo - Lauro (alloro)- Sale - Pepe di Cajenna - Zafferano.

 Uccidete la carpa con un colpo di mazzuolo sulla testa, e subito squamatela, vuotatela, risciacquatela e dividetela in pezzi di tre centimetri di larghezza. Tritate una cipolla, due o tre scalogni, due spicchi d'aglio e passate il tutto in una casseruola in cui avrete messo un po' d'olio. Ponete sul fuoco e fate cuocere pian piano, senza lasciar prendere colore agli ortaggi. Aggiungete allora due cucchiaiate di farina, lasciate cuocere un pochino, mescolando, e poi sciogliete con metà brodo di pesce, (o acqua) e metà vino bianco secco. Questo liquido deve essere in quantità tale da poter poi ricoprire i pezzi della carpa nella peschiera. Completate con un mazzolino, composto di gambi di prezzemolo, un rametto di timo e mezza foglia di lauro, il tutto legato insieme, sale, una buona punta di pepe di Cajenna e ancora tre o quattro cucchiaiate, d'olio. Tenete la casseruola sul fuoco per far raggiungere al liquido l'ebollizione. Intanto disponete sulla gratella della peschiera i vari pezzi del pesce (compresa la testa e la coda), ricomponendolo come se fosse intiero. Quando il liquido nella casseruola avrà raggiunto l'ebollizione, versatelo con tutti i condimenti nella peschiera in modo da ricoprire completamente il pesce. Rimettete subito sul fuoco e lasciate cuocere dolcemente per venti o venticinque minuti. Tirate su allora la gratella dalla pesciera liberando il pesce dagli aromi, e trasportate i vari pezzi della carpa in un piatto lungo e profondo, ricomponendola come so fosse intiera. Rimettete il fondo di cottura sul fuoco e lasciatelo bollire vivacemente finché ne sarà evaporato un buon terzo. Passate poi il liquido da un colino, completatelo fuori del fuoco con qualche cucchiaiata d'olio e una buona pizzicata di zafferano in polvere e versatelo sulla carpa. Mettete il piatto in luogo freddo affinché la salsa possa rapprendersi in gelatina. Prima di inviare in tavola, cospargete il pesce con prezzemolo tritato.

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CARPA ALLA RUSSA

 Carpa - Sale Farina - Burro - Vino bianco secco, 2 bicchieri - Cavolo acido o choucroute - Cipolle glassate - Olive verdi - Funghetti - Cetrioli - Ciliege sott’aceto - Cetriolini sott'aceto - Prezzemolo – Salsa vellutata, l. 0,5 - Crema agra, 4 cucchiai - Rafano grattato, 3 cucchiai - Aceto, 2 cucchiai.

 E’ una preparazione veramente caratteristica. Squamate, vuotate, risciacquate una grossa carpa, asciugatela in una salvietta, spruzzatela di sale, infarinatela e disponetela in una pesciera, di cui avrete bene imburrato il fondo e bagnate il pesce con due bicchieri di vino bianco secco. Mettete in forno senza coprire il recipiente, innaffiando di quando in quando la carpa col vino messo nella pesciera. Quando avrà preso una bella colorazione bionda, disponete su un piatto ovale un letto di choucroute già cotta, e su questa appoggiate il pesce. Intorno intorno disponete dei gruppetti alternati di cipolle glassate, olive verdi snocciolate e fate bollire per cinque minuti, funghetti, cetrioli sbollentati e ritagliati in grosse losanghe, ciliege sott'aceto, cetriolini e ciuffi di prezzemolo. A parte fate servire una salsa al rafano che preparerete così. Mettete sul fuoco mezzo litro di salsa vellutata, fatela ben scaldare e aggiungeteci quattro cucchiaiate di crema agra, tre di rafano grattato e due d'aceto, bollito a parte in un tegamino fino a ridurlo ad un cucchiaino da caffè. Mescolate e tenete vicino al fuoco per cinque minuti.

 

MANZO ALLA CERTOSINA

 Per 6 persone: Carne di manzo, kg. 1 - Burro - Olio - Lardo - Sale - Pepe - Noce moscata - Acciughe, 3-4 - Prezzemolo trito, un pugno - Brodo o acqua.

 Mettete in una casseruola un pochino di burro e d'olio e qualche fettina dì lardo, e aggiungete poi la carne, in un sol pezzo, che condirete con sale, pepe e un nonnulla di noce moscata. Fate rosolare bene, e quando la carne avrà preso un bel colore scuro, mettete nella casseruola tre o quattro acciughe lavate, spinate e tritate con un buon pugno di prezzemolo. Bagnate con brodo o acqua, diminuite il fuoco, coprite la casseruola e lasciate cuocere adagio adagio. Affettate poi la carne e ricopritela con il sugo della cottura, al quale avrete tolto un po' di grasso superficiale. Se il bagno si asciugasse troppo, aggiungete qualche cucchiaiata d'acqua.

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TERRINA DI BUE SANT'UBERTO (ndr i buoi oggi sono introvabili)

 Per 6 persone: Magro di bue (culatta o pezza), kg. 1,200 - Sale - Pepe - Cipolla - Carota gialla - Sedano - Prezzemolo - Barolo o vino rosso secco - Olio, un cucchiaio - Burro, un cucchiaio - Salsa di pomodoro, mezzo cucchiaio - Pernice - Tartufo nero Brodo - Fecola di patate - Marsala Chiara d'uovo - Farina Contorno a piacere.

 Provvedetevi di una fetta molto spessa di culatta o pezza, che si possa ritagliare in tocchi, ognuno dei quali deve bastare ad una persona. Mettete questi pezzi di carne in una terrinetta, conditeli con sale e pepe, e affettateli sopra un pochino di cipolla, un pezzo di carota gialla, una costola di sedano e un ciuffo di prezzemolo, ricoprendoli poi con del vino rosso secco e di buona qualità. La ricetta vorrebbe del barolo, ma del buon vino secco farà lo stesso. Lasciate stare in marinata i pezzi di carne per circa trentasei ore. Prendete poi una casseruola, metteteci una cucchiaiata di olio e una cucchiaiata di burro, affettateci mezza cipolla, mezza carota gialla, una costola di sedano e dei gambi di prezzemolo. Fate scaldare e aggiungete la carne bene asciugata. Lasciate rosolare, con fuoco piuttosto brillante, affinché l'umidità contenuta nella carne possa rapidamente evaporare. Mentre la carne si rosola, bagnatela pian piano con il vino della marinata, privato degli ortaggi. Aggiungete poi una mezza cucchiaiata di salsa di pomodoro, diminuite il fuoco e lasciate braciare dolcemente, aggiungendo, se sarà necessario, qualche cucchiaiata dì brodo o d'acqua. Tenete però presente che la carne non dove essere annegata nel bagno, ma deve braciare in un fondo ristretto. Non dimenticate di voltare spesso la carne, mescolandola col cucchiaio di legno.

 Quando il manzo sarà per arrivare di cottura, mettete ad arrostire nel forno una pernice. Ricordate che la pernice, come tutta la caccia a penna, deve, per dirsi cotta a punto, essere tenuta leggermente scarsa di cottura. Fate che la fine della cottura della carne e l'arrostimento della pernice procedano di pari passo. Mettete allora i pezzi di carne braciata in una terrina da forno col suo coperchio (terrina di porcellana resistente al fuoco, speciale per queste preparazioni), e sulla carne disponete la pernice, ritagliata in pezzi regolari. Aggiungete qualche dado di tartufo nero e innaffiate abbondantemente col fondo di cottura, che rifinirete nel seguente modo. Estratta la carne dalla casseruola, bagnate ancora con un po' di brodo, staccando bene il fondo della cottura. Lasciate bollire per qualche minuto e passate la salsa da un colino, raccogliendo il sugo in un'altra casseruola e pigiando bene col cucchiaio di legno per estrarre tutto il succo dai vegetali. Con un cucchiaio portate via il grasso che galleggerà alla superficie, rimettete la salsa sul fuoco e addensatela leggermente con un pochino di fecola di patate sciolta in poca marsala.

 Con questa salsa innaffiate la carne e la pernice, lasciandone un poco in disparte per il contorno, come vedremo poi. Mettete il coperchio alla terrina e finalmente sigillate con una striscia di carta alta un paio di dita, che spalmerete con una pastella densa, ottenuta con chiara d'uovo sbattuta e farina. Il calore farà rapprendere la pastella, la quale chiuderà ermeticamente la terrina. Per dare una maggiore eleganza a questa striscia di carta, fateci una spizzatura con le forbici, tanto nella parte di sopra che in quella di sotto. Rimettete la terrina cosi chiusa su fuoco moderato e lasciate bollire insensibilmente per una diecina di minuti. Allora accomodate la terrina su un piatto con salvietta e fatela portare in tavola, senza aprirla. La terrina verrà disuggellata in tavola, passando la punta di un coltellino in mezzo alla striscia di carta; e quando il coperchio sarà sollevato, un'onda di profumo si sprigionerà dalla magica terrina e predisporrà lietamente i commensali alla succolenta degustazione. La terrina può essere accompagnata con un contorno a piacere. Noi consigliamo il seguente, che è gustoso ed originale.

 Olive verdi alla salsa - Olive verdi, 5-6 a persona - Fondo della terrina di bue Sant'Uberto.

 Scegliete delle belle olivo verdi conciato, calcolandone cinque o sei a persona. Togliete loro il nocciolo e passatele, man mano che le avrete snocciolate, in una terrinetta contenente dell'acqua fredda. Poco prima di servire estraetele dall'acqua, bagnandole con un po' del fondo della terrina messo da parte. Mettete la casseruolina sul fuoco e fate riscaldare le olivo, che disporrete in una coppa o in un piatto, e farete servire insieme con la terrina.

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MANZO BRACIATO ALLA BRESCIANA

 Manzo, kg. 1 - Lardelli - Aglio - Sale - Pepe - Spezie - Burro, g. 100 - Cipolla - Lardo, g. 50 - Vino rosso, 2 bicchieri.

 Provvedete un bel pezzo di manzo tenero del peso di circa un chilogrammo e, se credete, steccatelo con qualche pezzetto di lardo sul quale avrete stropicciato un po' d'aglio. Legate la carne per mantenerla in forma, spolverizzatela di sale, pepe e spezie e mettetela in una casseruola o in un tegame di terraglia con un ettogrammo di burro, mezza cipolla grossolanamente tagliata e una cinquantina di grammi di lardo tritato. Coprite la casseruola o il tegame e mettete a rosolare la carne su fuoco moderato, avendo l'avvertenza di voltarla ogni cinque o sei minuti. Voltate la carne rapidamente e tornate a coprire subito il recipiente, poiché una delle caratteristiche di questa preparazione è la cottura a recipiente ben coperto. Dopo circa mezz'ora, bagnate la carne con due bicchieri di vino rosso. Ricoprite immediatamente il recipiente e lasciate che la carne finisca di cuocere dolcemente senza aggiungere altro liquido. Avrete così un saporito manzo braciato e un sugo denso e profumato utilissimo per condire maccheroni o risotti.

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UCCELLINI SCAPPATI

 Per 6 persone: Fettine di manzo, g. 500 - Fettine di prosciutto – Sale - Pepe - Fette di pane - Fettine di lardo - Burro - Sale (spiede).

 Il taglio di manzo che va preferito per questa preparazione è la pezza. Dividete le fettine in strisce regolari, larghe un po' più di due dita e lunghe 6-8 centimetri, battetele leggermente per renderle sottili e sopra ognuna mettete una fettina dì prosciutto grasso e magro, una foglia di salvia e un nonnulla di pepe, arrotolando poi ogni fettina su se stessa in modo da avere dei piccoli salsicciotti. Preparate tante piccole fette di pane per quanti sono gli involtini, e un numero doppio di sottili fettine di lardo. Prendete uno spiede, infilzate una fetta di pane, un pezzettino di lardo, un involtino, un altro pezzettino di lardo, una fetta di pane, e via di seguito, procedendo sempre con lo stesso ordine. Quando avrete infilzato ogni cosa, mettete a liquefare vicino al fuoco, in un tegamino, qualche cucchiaiata di burro e con un pennello ungete generosamente così la carne come il pane; spolverizzate con un po' di sale e un po' di pepe, e mettete ad arrostire sopra un fuoco piuttosto gaio. Il sistema più semplice, per chi non possiede, un girarrosto, è quello di disporre delle palettate di carbone bene acceso in fondo al camino, al di là dei fornelli. Il carbone va disposto sopra un piccolo strato di cenere e diviso in due linee parallele con un piccolo spazio in mezzo, affinché il grasso scolando non produca soverchio fumo. Lo spiedo va messo sopra due ferri posati verticalmente, e girato di quando in quando con la mano. Siccome il fuoco tende facilmente ad indebolirsi, è bene tenerlo desto con qualche colpo di ventola, come pure è opportuno ungere di quando in quando l'arrosto, il quale per cuocere avrà bisogno di mezz'ora di tempo. Disponete gli uccellini scappati, coi loro crostini croccanti, bene allineati in un piatto e mandateli in tavola, così, o dopo aver sgocciolato su essi poco burro fuso.

 

Mi sono commosso nel riscrivere questa ricetta poiché sono nato a Montichiari e questo era il piatto della festa, quando gli zii cacciatori tornavano dalla caccia col “carniere vuoto”. Un saluto particolare agli zii lontani, a tutte le persone che hanno dovuto lasciare la terra natia per lavoro o necessità, in particolare un saluto affettuoso a mio fratello Marco in Repubblica Ceka, e già che ci siamo, mando UN CALOROSO ABBRACCIO A TUTTI GLI ITALIANI SPARSI NEL MONDO.

Ermete Pastorio.

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POLENTA CON GLI UCCELLINI SCAPPATI

 Burro - Ventresca di maiale - Ginepro - Salvia - Fegatini di Pollo - Sale - Pepe - Polenta.
 A seconda della quantità di polenta necessaria per la vostra mensa preparate, in maggiore o minore quantità, una salsa fatta nel modo seguente. Mettete in un tegame un pezzo di burro e quando sarà ben caldo aggiungete delle piccole e sottili fette di ventresca di maiale (pancetta), qualche grano di ginepro, un pizzico di foglie di salvia e dei fegatini di pollo sminuzzati. Condite con sale e pepe, e quando il tutto sarà ben rosolato bagnate con un po' d'acqua o di brodo in modo d'avere una salsa di giusta consistenza. Questo condimento richiama assai da vicino la famosa polenta con gli "osei". Più economicamente si possono sostituire ai fegatini di pollo dei dadini di fegato di maiale.

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BISTECCA ALLA FIORENTINA

 Bistecca spessa di vitellone - Olio - Sale Pepe - Limone.

 E’ indispensabile di avere del manzo giovanissimo (quello che a Firenze chiamano vitellone). La bistecca va ritagliata nella costola e dovrà avere circa due centimetri e mezzo di spessore. La carne dovrà essere tenera e a un giusto grado di frollatura (ossia non essere stata macellata troppo di fresco). Si mette la bistecca in un piatto, s'intride bene con olio, sale e pepe e si lascia così per pochi minuti. Si arrostisce poi sulla gratella, su fuoco di carbone di legna. A cottura completa si unge la bistecca con poco olio e si rifinisce, sul piatto, con qualche goccia di sugo di limone. Si serve con spicchi di limone.

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BISTECCA ALLA SICILIANA

 Bistecca di lombo o filetto di manzo - Olio - Aglio - Olive siciliane, un pugno - Peperoncini sott'aceto, 4-5 - Bianco di sedano fritto - Capperi, un cucchiaio - Pomodori - Sale - Pepe - Origano - Aceto.

 Prendete una bella bistecca di manzo (lombo o filetto). Mettete in una padella un po' d'olio con uno spicchio d'aglio ritagliato in due o tre pezzi. Fate imbiondire appena l'aglio, toglietelo via e mettete giù la bistecca, che farete cuocere a fuoco forte, da una parte e d all'altra. Quando la bistecca sarà quasi cotta aggiungete u n pugno di olive siciliane, alle quali avrete tolto il nocciolo, quattro o cinque peperoncini sott'aceto, spaccati in due in lungo e privati del torsolo e dei semi, un po' di asticciole di bianco di sedano, fritto a parte in un po' d'olio, una buona cucchiaiata di capperi e un paio di cucchiaiate di filetti di pomodoro scottati a parte in una padellina con dell'olio. Condito con sale, pepe e abbondante origano. Tenete ancora un momentino sul fuoco e poi accomodate la bistecca nel piatto, circondandola con la sua appetitosa guarnizione. Le olive da adoperarsi per questa preparazione sono quelle siciliane, conciate con sale e finocchio. Per le asticciole di sedano si fa così: si ritaglia in striscette lunghe tre o quattro centimetri la parte centrale di un sedano, si risciacquano questi pezzi, si asciugano e si friggono nell'olio, senza infarinarli, fino a che saranno di un bel color d'oro. Si scola allora l'olio della padella e si spruzza sui sedani fritti un po' d'aceto.

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BISTECCA ALLA TARTARA 0 AMERICANA

 Filetto di bue, g. 150-200 - Sale - Pepe - Filetti di acciughe – Tuorlo d'uovo - Cipolla - Prezzemolo - Capperi.

 E’ un'originale bistecca di carne cruda. Si tritano minutamente da 150 a 200 grammi di filetto di bue, si condisce la carne con sale e pepe, le si dà forma rotonda schiacciata, e si dispone in un piatto. Sulla bistecca si fa un reticolato di filetti d'acciughe e nel mezzo si mette un rosso d'uovo crudo, o facendolo cadere in una fossetta fatta in mezzo alla carne, o mettendolo in un mezzo guscio d'uovo che si appoggia nel contro della bistecca. Intorno alla bistecca si dispongono dei monticelli alternati di cipolla cruda, prezzemolo e capperi.

 

INVOLTINI USO CACCIA

 Per 6 persone: Fegatini di pollo, 10 - Burro - Lardo – Prosciutto magro, 2 fette - Ginepro, 5-6 bacche - Prezzemolo, un pugno – Salvia - Sale - Pepe - Uovo - Marsala, 2 cucchiai - Aceto - Vitello o filetto di manzo, 12 fettine - Spezie - Crostini di pane fritti - Farina - Vino o marsala - Brodo o acqua, un ramaiolo.

 Provvedete una diecina di fegatini di pollo e fateli rosolare in un tegamino con un po' di burro. Cotti che siano, tritateli sul tagliere, aggiungendo un paio di fette di lardo, due fette di prosciutto magro, cinque o sei bacche di ginepro, un pugno di prezzemolo, un paio di foglie di salvia, sale e pepe. Tritato bene tutti questi ingredienti, in modo che vi risulti un pesto molto fine, e impastatelo con un uovo intiero, un cucchiaio di marsala e poche gocce d'aceto. Prendete ora dodici fettine di vitello o anche di manzo - nel qual caso sarebbe bene adoperare del filetto - battetele per spianarlo, conditele con un pochino di sale, pepe e spezie, stendetevi sopra un poco del pesto, avvolgetele su se stesse, e infilzatele a due a due in uno stecchino intramezzandole con una fettina di lardo e legandole, per maggiore precauzione, con qualche passata di filo affinché non abbiano a sformarsi durante la cottura. Mettete un pezzo di burro in un tegame di rame, adagiateci gli involtini e fateli cuocere fino a che saranno bene rosolati. Mentre cuociono preparate dei piccoli crostini di pane fritto, della grandezza, su per giù, di ognuna delle coppie d'involtini. Quando gli involtini saranno cotti, spolverizzateli con un buon pizzico di farina, bagnateli con un dito di marsala o di vino, e quando il liquido sarà quasi evaporato, levate gli involtini dal tegame, liberateli dal filo e dagli stecchini, appoggiateli due a due sui crostini, accomodandoli in un piatto. Rimettete il tegame sul fuoco, staccate il fondo della cottura, bagnandolo con un ramaiolo di brodo o d'acqua, mescolate bene e quando la salsa sarà leggermente addensata, fatela cadere sugli involtini e sui crostini.

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NOCE DI VITELLO ARROSTO TARTUFATA

 Magro di vitello (noce o contronoce) - Lardelli di grasso di prosciutto - Sale - Pepe - Tartufo nero - Olio o strutto.

 Taglio proferibile, la noce o la contronoce. Fate con la punta di un coltellino qualche incisione nel mezzo della carne e in essa introducete dei lardelli di grasso di prosciutto, che rotolerete prima nel sale e pepe, e dei pezzi di tartufo nero. Legate poi la carne perché prenda una forma regolare e fatela cuocere in forno per più di un'ora in una teglia in cui non stia troppo larga, con abbondante strutto o olio, avendo cura, di tempo in tempo, di voltare il vitello e di bagnarlo con qualche cucchiaiata d'acqua se vedrete che tende a colorirsi troppo. Per assicurarvi della cottura introducete nella carne un grosso ago da cucina: dovrà penetrare facilmente e il sugo che ne uscirà dovrà essere bianco, senza traccia di sangue.

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NOCETTE DI VITELLO SANT’UBERTO E TORDI

 Bistecche di filetto di vitello, 6 - Olio - Succo di limone - Tordi, 3 - Prosciutto, 6 fettine - Salvia Sale - Pepe - Brodo – Guarnizione di patate paglia.

 Preparate anzitutto sei bistecchine ritagliate dal filetto di vitello e tenute spesse almeno tre dita, sicché spianandole un poco possano ingrandirsi e risultare alte un dito. Mettetele in un piatto, fateci cadere un filo d'olio e qualche goccia di sugo di limone e lasciatele da parte. Vi sarete anche provveduto di tre tordi che spiumerete e fiammeggerete togliendo loro anche gli intestini. Occorreranno anche sei fettine di prosciutto crudo un poco più piccolo delle nocette di vitello. Mettete nell’interno dei tordi una fogliolina di salvia, un pochino di sale e pepe, togliete loro il collo e la testa, appuntate le gambe con uno stecchino in modo che cuocendo non abbiano a deformarsi e poi metteteli in una teglietta, spruzzandoci sopra poco altro sale e innaffiandoli con dell'olio. Fateli arrostire nel forno per una diecina di minuti in modo che risultino cotti, ma non eccessivamente. Mentre i tordi cuociono mette sulla gratella le bistecchine di vitello e ungendole spesso fatele cuocere da una parte e dall’altra. Da ultimo fate scaldare leggermente il prosciutto sulla stessa gratella. Appoggiate sul piatto di servizio caldo le sei bistecchine e su ognuna di esse disponete una fettina di prosciutto. Togliete ora i tordi dal forno e con le forbici o con un coltello divideteli in due in lunghezza appoggiando ogni mezzo tordo sulle bistecche già  preparate. Scolate il grasso della teglietta in cui avete cotto i tordi, metteteci un paio di cucchiaiate di brodo, e sul fornello staccate con un cucchiaio di legno questo fondo di cottura che verserete sui tordi. Guarnite con ciuffi di patate “paglia” fritte a color d’oro chiaro, e inviate in tavola.

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COSCETTO DI MONTONE USO CAPRIOLO

 Coscetto di montone - Cipolla - Carota gialla - Sedano - Aglio - Prezzemolo, un pugno - Olio - Chiodi di garofano - Lauro (allro)- Basilico Maggiorana - Timo - Rosmarino - Salvia - Ginepro, 10 bacche Pepe in grani - Vino rosso secco, un bicchiere e mezzo - Aceto, mezzo bicchiere - Burro - Sale - Acqua, 1-2 ramaioli - Brodo - Fecola di patate - Marsala - Gelatina di ribes, un cucchiaio colmo - Pinoli. un pugno - Scorzetta di arancia candita, un cucchiaio.

 Una preparazione ghiottissima: si tratta di fare acquistare alla carne del montone i caratteri particolari di quella, del capriolo. Si prende un coscetto, si fa mettere bene in pulito dal macellaio - levando le ossa inutili e nettando bene l'osso del manico - e si lascia insaporire in una marinata speciale. Prendete una cipolla, una carota gialla, una costola di sedano, uno spicchio d'aglio, un pugno di prezzemolo e tritate tutto sul tagliere. Mettete poi le erbe in una casseruola con qualche cucchiaiata d'olio, e aggiungete due chiodi di garofano, una foglia di alloro, un pizzico di basilico e di maggiorana secchi, un ramoscello di timo e uno di rosmarino, un pochino di salvia, una diecina di bacche di ginepro, e un buon pizzico di pepe in granelli. Niente sale. Coprite la casseruola e lasciate cuocere a fuoco lento per circa mezz'ora, fino a che le erbe saranno bene appassite, senza tuttavia colorire troppo. Versate allora nella casseruola un bicchiere e mezzo di vino rosso secco e mezzo bicchiere d'aceto. Lasciate bollire adagio per qualche minuto, poi tirate via la casseruola dal fuoco; e quando la marinata sarà appena tiepida versatela con tutti gli aromi sopra il coscetto, che avrete messo in una terrina.

 Lasciate stare il montone cosi almeno un'intera giornata (se saranno due o tre giorni tanto meglio) avendo cura di voltarlo spesso e di innaffiarlo con cucchiaiate della marinata, se questa non fosse sufficiente a coprirlo intieramente. Il giorno in cui dovrete cucinare il montone, estraetelo dalla marinata, asciugatelo, legatelo per mantenerlo in forma, e mettetelo in una casseruola con un po' d'olio e di burro ed altre erbe fresche (cipolla, carota gialla, sedano, ecc.). Conducete la prima parte della cottura su fuoco vivace affinché l'umidità della carne evapori presto e il coscetto possa ben rosolarsi; conditelo col sale, e quando il montone avrà preso un bel colore biondo, bagnatelo a poco a poco con la marinata (passata da un colabrodo per liberarla dalle erbe). Quando il montone avrà assorbito tutta la marinata, diminuite il fuoco e bagnate ancora la carne con uno o due ramaioli d'acqua, coprite la casseruola e lasciate finir dì cuocere per un'ora o più, aggiungendo un altro po' d'acqua se il coscetto si asciugasse troppo.

 A cottura completa estraetelo e affettatelo ricomponendolo sul piatto di servizio. Preparate finalmente la salsa. Inclinate la casseruola da un lato e con un cucchiaio togliete il grasso che si sarà raccolto alla superficie. Diluite con un po' di brodo o d'acqua il fondo di cottura, lasciatelo bollire due o tre minuti staccandolo bene col cucchiaio di legno e passate questo sugo da un colabrodo raccogliendolo in un'altra casseruola. Rimettetelo sul fuoco, addensatelo leggermente con un po' di fecola di patate sciolta in un dito di marsala, uniteci una cucchiaiata colma di gelatina di ribes, un pugno di pinoli, una cucchiaiata di scorzetta di arancio candita, ritagliata in pezzettini e, fuori del fuoco, un pezzo di burro come una grossa noce che metterete in due o tre riprese, mescolando. Con un po' di questa salsa velate il coscetto e versate il resto nella salsiera.

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POLLO ALLA CACCIATORA ALLA SALVIA

 Pollo giovane - Burro, un cucchiaio - Olio, un cucchiaio - Sale - Pepe – Vino bianco secco, un bicchiere - Prosciutto grasso e magro, g. 50 - Salvia fresca.

 Nettate un pollo giovine e bene in carne, fiammeggiatelo, risciacquatelo, asciugatelo e dividetelo in pezzi. Mettete in una padella una cucchiaiata di burro e una cucchiaiata d'olio, aggiungete il pollo spezzato, conditelo con sale e pepe e lasciatelo rosolare a color d'oro piuttosto scuro. A questo punto scolato il grasso della padella e bagnate il pollo con un bicchiere di vino bianco secco. Aggiungete mezzo ettogrammo abbondante di prosciutto grasso e magro a listerelle e un buon pizzico di foglie di salvia fresca. Moderate il fuoco, coprite la, padella e lasciate cuocere pian piano fino a che il pollo sarà giustamente cotto e l'intingolo ristretto. Deve essere mangiato subito.

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POLLO ALLA CACCIATORA MADDALENA

 Olio - Cipolla - Prezzemolo - Sedano - Aglio - Pollo - Sale - Pepe - Lauro (alloro)- Vino bianco secco, mezzo bicchiere.

 Mettete in una padella un pochino d'olio con mezza cipolla un po' di prezzemolo e poco sedano tritati, e una puntina d'aglio schiacciata. Fate rosolare le erbe e poi aggiungete il pollo spezzato che condirete con sale e pepe. Quando incomincia a rosolare aggiungete due foglie di lauro. Continuate a far rosolare fino a che il pollo sarà diventato di un bel color d'oro scuro. A questo punto bagnatelo con mezzo bicchiere di vino bianco secco, mescolate e quando l'umidità del vino sarà evaporata bagnate il pollo con poca acqua, diminuite il fuoco, coprite il recipiente e fasciate finir di cuocere.

POLLO ALLA CACCIATORA CON LE OLIVE

 Olio, 3 cucchiai - Aglio, 3 spicchi - Pollo - Sale -Pepe - Vino bianco secco, mezzo bicchiere - Aceto, due cucchiai -Olive nere di Gaeta, 40 - Acciughe, 2.

 E’ una ricetta assai originale. Mettete in una padella l'olio con gli spicchi d'aglio intieri e quando sarà caldo aggiungete il pollo spezzato, conditelo con sale e pepe e lasciatelo rosolare fino ad ottenere un bel colore d'oro scuro. Quando il pollo sarà ben rosolato bagnatelo con mezzo bicchiere di vino bianco secco e due cucchiaiate d'aceto, aggiungendo una ventina di olive nere di Gaeta intiere e private del nocciolo, ed altrettante olive della stessa qualità, ma snocciolate e tritate col coltello. Aggiungete finalmente due acciughe spinate e tritate. Bagnate con un pochino d'acqua, diminuite il fuoco e lasciate finir di cuocere e addensare la salsa.

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POLLO IN PADELLA ALLA ROMANA

 Pollo - Strutto, un cucchiaio - Prosciutto, 2 lette - Sale - Pepe - Aglio - Maggiorana - Vino secco, mezzo bicchiere abbondante - Pomodori, 4-5 - Brodo o acqua (se necessario).

 Dopo aver nettato e fiammeggiato il pollo tagliatelo in pezzi. Mettete in una padella una cucchiaiata di strutto e un paio di fette di prosciutto ritagliate in pezzettini. Appena lo strutto incomincerà a soffriggere mettete giù il pollo che avrete lavato e asciugato. Condito con sale e pepe, e, quando i pezzi avranno preso una bella tinta color d'oro, aggiungete nella padella un pezzettino d'aglio tritato e un pizzico di foglie di maggiorana, bagnando con mezzo bicchiere abbondante di vino secco. Dopo che il vino si sarà asciugato mettete ancora quattro o cinque pomodori di media grandezza, spellati, fatti in pezzi e privati dei semi, e, se vedeste che il pollo cuoce troppo in ristretto, qualche cucchiaiata di brodo o d'acqua. Portato la cottura sempre con fuoco gaio; il pollo sarà a punto in una ventina di minuti. Badate di non farlo scuocere e mandatelo in tavola subito, procurando che il sugo sia denso, ben scuro e non troppo abbondante.

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GERMANO ALL'ARANCIA

 Germano - Burro, una noce - Sale - Estratto di carne, mezzo cucchiaino - Fecola di patate - Arance - Zucchero, un pizzico.

 Dopo aver nettato, fiammeggiato e risciacquato il germano (anitra selvatica), si asciuga, si introduce nel suo interno una noce di burro e un pizzico di sale, e si cuce per mantenerlo in forma. Chi possiede lo spiede potrà arrostirlo a fuoco vivace, dandogli una mezz'ora scarsa di cottura, altrimenti si cuocerà come al solito, in forno, dandogli dai trenta ai trentacinque minuti di calore brillante, e ricordando che il germano deve essere servito leggermente al sangue. Se piacesse più cotto, si tenga in forno qualche minuto di più, senza tuttavia eccedere. Quando sarà cotto, sgrassate accuratamente il sugo che sarà rimasto nella leccarda o nella teglia, e questo sugo diluite con circa un bicchiere d'acqua. Fate levare il bollore, aggiungete mezzo cucchiaino di estratto di carne, e dopo qualche altro minuto addensate leggermente la salsa legandola con poca fecola di patate. Con un coltellino tagliente, o meglio con l'apposito coltellino per sbucciare limoni o arance, togliete la parte esterna della buccia a due arance in modo che non rimanga attaccata alcuna traccia di bianco. Tuffate per due minuti queste bucce sottili in acqua bollente, e poi ritagliatele in pezzetti minutissimi, che unirete alla salsa, nella quale, da ultimo, fuori del fuoco, spremerete il sugo delle due arance e aggiungerete un pizzico di zucchero.

 Accomodate nel piatto il germano intiero o ritagliato in pezzi, e circondatelo di quarti d'arancia ritagliati col coltello. A parte inviate la salsa. Il germano è considerato caccia di grasso.

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ANITRA IN SALMI

 Anitra o pernice o beccaccia - Cipolla - Chiodi di garofano - Salvia - Lauro (alloro)- Sale - Pepe - Olio, mezzo bicchiere - Aceto, mezzo bicchiere - Crostini di pane fritti.

 Questo caratteristico salmì, con il quale si possono cucinare le anitre - domestiche e selvatiche - e anche le pernici e le beccacce, è gustosissimo nella sua grande semplicità. Si spezza l'anitra e si risciacqua. A parte si tritano sul tagliere il cuore, il fegato e il grecile. Si mettono in una Casseruola: una Cipolla intiera, nella quale si saranno conficcati due o tre chiodi di garofano, un paio di foglie di salvia, mezza foglia di lauro spezzettata, il cuore, il fegato e il grecile tritati; si aggiunge l'anitra in pezzi, si condisco con sale e pepe e si completa con mezzo bicchiere di olio e mezzo bicchiere d'aceto. Si copre la casseruola con un doppio foglio di carta paglia, si chiude ermeticamente col coperchio e si lascia cuocere pian piano l'anitra su fuoco moderatissimo. A cottura completa si tirano su i pezzi d'anitra, disponendoli nel piatto.

 Si passa la salsa da un setaccio, si sgrassa e si versa sull'anitra, che si contorna con crostini di pane fritti.

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PETTO D'OCA CON LA ZUCCA

 Per 4 persone - 4 petti d'oca - zucca: g 250 - aceto - un cucchiaio di zucchero - olio extravergine d'oliva - sale e pepe. Pulire la zucca, ridurla a pezzetti cuocerla in una padella con l'aceto e lo zucchero per 15 minuti, salare e pepare. Salare e pepare i petti d'oca. rosolarli in una padella con l'olio per 10 minuti per lato, unire la zucca e lasciarla insaporire. Togliere i petti d'oca dal fuoco e disporli nel piatto da portata con la zucca.
 Tempo di preparazione: 40 minuti.

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PICCIONI ARROSTO

 Piccioni, uno ogni 2 persone - Fette di lardo - Olio - Sale - Pepe.

 I piccioni formano un arrosto elegante. A regola d'arte si dovrebbe servire un quarto di piccione per ogni persona, ciò ci sembra veramente un po' troppo poco. Siccome - fortunatamente - la cucina di casa propria non è quella di certi alberghi, dove le porzioni vengono ridotte ai minimi termini, noi vi consigliamo di servire almeno mezzo piccione a persona. I piccioni vanno accuratamente nettati e privati della testa e del collo, come si fa per i polli. Si passano poi sulla fiamma, si lavano e ai asciugano. Alle zampine si spuntano le unghie con una parte delle dita. Si legano come i polli e si fascia il petto con una sottile fetta di lardo. Si mettono poi in una teglietta con olio, si condiscono con sale e pepe e si cuociono in forno per circa mezz'ora. Possono venire presentati in tavola nella loro semplicità casalinga o, dopo averli ritagliati in due, si può appoggiare ogni metà su un crostone di pane, completando la montatura della portata con qualche ciuffo di crescione: accompagnamento cotesto, che è quasi di rigore in tutti gli arrosti eleganti. I crostoni d'accompagno o, come vengono anche detti, i canapè, si possono fare in due modi: semplici o farciti.

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PICCIONI ARROSTO SU CANAPE’ SEMPLICI

 Piccioni arrosto come nella ricetta precedente - Pane a cassetta - Ciuffi di crescione - Burro per friggere.

 Nel caso che siano sufficienti dei semplici canapè, dopo aver ritagliato da un pane a cassetta delle fette di un centimetro di spessore e tolto loro la crosta intorno, si dà alle fette la grandezza approssimativa del mezzo piccione (circa centimetri cinque e mezzo per dieci) e si friggono nel burro a leggero color d'oro.

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PICCIONI ARROSTO SU CANAPE’ FARCITI

 Per 6 persone: Piccioni, 3 - Crostoni di pane, 6 - Fegato di vitella o fegatini di pollo, g. 100 - Burro - sale - Pepe - Lauro (alloro)- Timo – Maggiorana - Estratto di carne, un cucchiaino - Fecola di patate, un cucchiaino colmo - Marsala, 2 cucchiai - Tuorlo d'uovo.

 Per i crostoni farciti il procedimento è un pochino più lungo, ma anche assai più elegante. Ritagliate da un pane a cassetta i crostoni occorrenti nelle misure date nella ricetta precedente. Per farcire questi crostoni dovrete impiegare il fegato dei piccioni e 100 grammi di altro fegato: o fegatini di gallina o fegato di vitello. Anzitutto mettete un po' di burro in una teglia, e quando sarà ben caldo fateci imbiondire, da una sola parte, i crostoni preparati. Estraeteli e lasciate il burro residuo nella teglia perché servirà ancora. Mettete sul tagliere i 100 grammi di fegato con i fegatini tolti ai piccioni, e tritate il tutto grossolanamente. Fate sciogliere un po' di burro in una padellina, aggiungete il trito di fegato, conditelo con sale e pepe, mezza foglia di lauro, un ramoscello di timo e un pizzico di maggiorana. Lasciate cuocere, mescolando, e poi passate ogni cosa in un mortaio e pestate. Passate quindi il composto a traverso un setaccio, raccogliendo la farcia in una piccola terrina. Mettete ora sul fuoco una casseruolina con mezzo bicchiere scarso d'acqua e nell'acqua sciogliete un cucchiaino di estratto di carne. Sciogliete in poca acqua un cucchiaino da caffè colmo di fecola di patate, e quando l'acqua della casseruolina bollirà e l'estratto si sarà ben sciolto, versate in questo brodo, e a poco a poco, un po' della fecola sciolta, fino a che la salsa diventerà molto spessa. Ultimatela fuori del fuoco con un paio di cucchiaiate di marsala. Lasciatela un po' freddare e aggiungetela alla farcia, unendoci anche un torlo d'uovo e mescolando bene per amalgamare ogni cosa. Distribuite in parti uguali questa farcia sui crostoni, appoggiandola sulla parte del pane che è stata fritta, e spalmatela bene con la lama di un coltello. Dieci minuti prima di servire i piccioni rimettete i crostoni ultimati nella teglia, e se il burro residuo fosso troppo poco aggiungetene un altro pezzo. Infornate la teglia affinché la parte inferiore del pane possa colorirsi a sua volta, e nello stesso tempo la farcia possa rassodarsi e colorirsi leggermente.

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PICCIONI IN GRATELLA ALL'AMERICANA

 Piccioncini, uno a persona - Burro - Sale Pepe - Mostarda francese - Mollica di pane grattata - Pomodori Aglio - Olio Prezzemolo - Salsa piccante.

 Calcolate un piccioncino a persona. Diciamo piccioncino, poiché per questa preparazione i piccioni adulti e grossi sono inadatti. Dopo avere ben nettato e fiammeggiato i piccioni, apriteli sul dorso con un taglio verticale, che dall'attaccatura del collo arrivi fin quasi in fondo. Risciacquateli, asciugateli in una salvietta, e premendo sul petto di ognuno schiacciateli leggermente. Ungeteli di burro fuso, conditeli con sale e pepe, e cuoceteli sulla gratella sopra un abbondante strato di carbone dolce bene acceso. Quando i piccioni saranno quasi cotti, spalmateli di mostarda francese, e ricopriteli di mollica di pane grattata. Ungeteli di nuovo con del burro fuso e rimetteteli sulla gratella, affinché possano finire di cuocere e l'impanatura possa prendere un bel color d'oro. Disponete i piccioni su un piatto e circondateli con dei mezzi pomodori, cotti alla gratella con qualche pezzetto d'aglio, olio, prezzemolo, sale e pepe. A parte fate servire la seguente salsa piccante. Chi non amasse i condimenti forti, potrà fare a meno della salsa e servire i piccioni semplici. Per assicurare una migliore cottura, potrete far cuocere quasi completamente i piccioni in forno, spalmarli quindi di mostarda, rivestirli di mollica di pane, ungerli di burro e finire di cuocerli a color,d'oro sulla gratella.

 Salsa piccante - Aceto, mezzo bicchiere - Pepe - Acqua calda, un bicchiere - Estratto di carne, un cucchiaino - Salsa di pomodoro, mezzo cucchiaino - Burro, una noce - Farina, un cucchiaino – Mostarda francese, mezzo cucchiaio - Capperi - Prezzemolo, un cucchiaio - Facoltativo: peperoncino rosso piccante.

 Mettete in una casseruolina l'aceto con un pizzico di pepe in grani grossolanamente infranti e, se credete, una puntina di peperoncino rosso piccante. Lasciate bollire finché l'aceto sia consumato più della metà. Versateci allora un bicchiere d'acqua calda, nella quale avrete sciolto un cucchiaino di estratto di carne, aggiungete mezzo cucchiaino di salsa di pomodoro (il pomodoro dove essere pochissimo) e lasciate cuocere pian piano per una diecina di minuti, dopo i quali passate la salsa da un colino per rimetterla nella casseruolina. Preparate ora una noce di burro impastata con un cucchiaino di farina, e quando la salsa bollirà mettete la casseruolina sull'angolo del fornello e aggiungeteci il burro preparato, che metterete in due o tre volte, mescolando, fino a che constaterete che la salsa si è sufficientemente addensata. Toglietela allora dal fuoco e completatela con una mezza cucchiaiata di mostarda francese, un buon pizzico di capperi tritati e una cucchiaiata di prezzemolo. Versate questa salsa nella salsiera e fatela servire insieme con i piccioni. Questa salsa dev'essere molto piccante.

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PICCIONI RIPIENI

 Per 6 persone: Piccioni, 3 - Sale – Pepe - Noce moscata - Marsala, un bicchiere circa - Lardo fresco, g. 200 - Magro di vitello, g. 200 - Fegato di vitello, g. 200 - Burro, g. 60 circa - Spezie - Lauro (alloro) - Timo - Torlo d'uovo - Contorno: insalata di crescioni, pisellini al prosciutto o funghi trifolati.

 Calcolate un piccione per ogni due persone. La sera prima bisogna disossare i piccioni dopo averli fiammeggiati per liberarli dalla peluria, incidete la pelle del collo molto in alto, vicino all'attaccatura della testa. Ponete allora il piccione col petto contro il tavolo e fate un lungo taglio diritto che dal collo scenda fino giù, passando in mezzo alla groppa. Con un coltellino tagliente separate prima la pelle del lato sinistro, e quando sarete arrivati all'attaccatura dell'ala e della coscia recidete il nervo della rispettive giunture, lasciando l'ala e la coscia attaccate. Fate lo stesso dalla parte destra, e poi sempre procedendo con attenzione, staccate il petto dalle ossa, da una parte e dall'altra. Porterete così via l'intiera cassa centrale con il collo attaccato, e vi rimarrà il piccione disossato, avente però aderenti le due ali, le due cosce e il petto. Tagliate l'estremità delle zampine, ripiegate il piccione disossato su se stesso e procedete così per gli altri piccioni, se dovrete prepararne più di uno. Mettete i piccioni disossati in una terrinetta, conditeli con sale, pepe, un nonnulla di noce moscata, bagnateli con mezzo bicchiere di marsala e lasciateli così fino al giorno dopo. Il giorno dopo preparerete prima di ogni altra cosa il ripieno. Mettete in una casseruolina una noce di burro e, appena sarà sciolto, aggiungete il lardo ritagliato in dadi e privato della cotenna. Quando il lardo avrà preso un leggero colore, tiratelo su con una cucchiaia bucata e mettetelo in un piatto. Nel grasso della casseruola, ben caldo, mettete il magro di vitello che avrete diviso in un paio di fettine e appena la carne sarà leggermente rosolata da una parte e dall'altra, tiratela su e mettete in sua vece nella casseruola il fegato di vitello tagliato in lettine e i fegatini di piccione. Sempre a fuoco forte, fate appena cuocere il fegato, e togliete via subito la casseruola dal fuoco. Senza togliere il fegato dalla casseruola, aggiungeteci di nuovo il lardo in dadi e il vitello. Condite con sale, pepe, un pizzico di spezie, un pezzettino di lauro sminuzzato e poco timo. Bagnate con un bicchierino di marsala, coprite la casseruola e lasciate sobbollire dolcemente sull'angolo del fornello per cinque minuti. Trascorso questo tempo rovesciate in un colino tutto il contenuto della casseruola, raccogliendo il grasso in una scodella. Quel che rimarrà nel colino, lardo, vitello e fegato, lo passerete una o due volte nella macchinetta per ottenere un impasto fino ed omogeneo. Raccogliete il composto in una terrinetta e impastando con un cucchiaio di legno, aggiungete un rosso d'uovo, una noce di burro e, in due o tre volte, il grasso tenuto in riserva. Veramente questo composto andrebbe ora passato dal setaccio, ma se l'impasto sarà stato fatto con cura se ne potrà fare benissimo a meno. Coprite l'impasto con un foglio di carta imburrata e mettete la terrina in fresco fino al momento di servirvene. Preparata così ogni cosa, passate alla confezione dei piccioni.

 Allargate sulla tavola i tre piccioni disossati, come se si trattasse di fare tre piccole galantine. Non occorre dire che i piccioni dovranno essere allargati in modo che la carne del petto rimanga al di sopra della pelle, cioè che resti nel l'intorno di questa specie di galantina. Dividete l'impasto di grasso, vitella e fegato in parti uguali, fate di ogni parte una specie di palla e disponetele nel mezzo di ogni piccione. Tirate su i lembi della pelle in modo da ricostruire il piccione. Ribattete sul piccione la pelle del collo, e con un ago e del filo cucite uno dopo l'altro i piccioni ripieni, che terrete in forma con qualche passata di spago.

 Circa tre quarti d'ora prima di andare in tavola, passate i piccioni in una teglia che li contenga comodamente, nella quale avrete fatto liquefare un pezzo di burro. Fateli rosolare dolcemente da tutte le parti, e poi bagnateli con la marinata avanzata, e con qualche altra cucchiaiata di marsala, che metterete di quando in quando, fino a completa cottura dei piccioni. Quando saranno cotti, togliete lo spago e accomodateli in un piatto, facendoli servire con una insalata di crescione o con pisellini al prosciutto o funghi trifolati. Sono anche ottimi freddi.

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PICCIONE IN PASTA

 Burro,    g. 100 - Farina, g. 100 - Piccione braciato - Uovo sbattuto per dorare - Salsa fredda sgrassata - Fette di prosciutto.

 Si fa di preferenza con dei piccioni braciati, freddi. Una pasta sfogliata, fatta con un ettogrammo di burro e uno di farina, è più che sufficiente per un piccione. Si stende la pasta e se ne ricavano due ovali un po' più grandi del piccione. Ad uno di questi ovali si asporta la parte centrale, lasciando un bordo intorno di un paio di dita. Il vuoto dove essere di tale grandezza che possa contornare esattamente il piccione. Mettete l'ovale intiero sulla placca del forno, doratene i bordi e poi appoggiateci sopra il piccione, intiero o diviso a metà. Il piccione sarà bene intriso di salsa fredda e sgrassata, e avvoltolato in fette di prosciutto crudo. Poi con degli altri ritagli di pasta fate sul piccione una specie di graticciata, come se si trattasse di fare una crostata. Le fasce dovranno essere della larghezza di un dito e incrociarsi tutte sulla parte centrale del piccione. Da ultimo mettete un'altra striscia da un capo all'altro del piccione che appoggi proprio sul mezzo. Applicate allora il secondo ovale, ad anello, e pigiate pian piano affinché la parte superiore e quella inferiore si attacchino. Poi con un coltellino rifilate intorno intorno la pasta, dandole bella forma, e lasciando intorno al piccione un orlo di un paio di dita di larghezza. Col dorso del coltellino tenuto verticalmente fate delle piccole incisioni alla distanza di un paio di centimetri una dall'altra, come per il « volauvent ».

Dorate poi con uovo sbattuto tutta la pasta e passate il piccione in forno forte per una diecina di minuti o un quarto d'ora. fino a che la pasta sarà cotta a color d'oro.

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SALMI’ DI PICCIONI SELVATICI (PALOMBACCI)

 Palombacci - Olio - Cipolla - Sedano - Carota - Prezzemolo - Sale - Pepe - Aglio Timo - Lauro (alloro) - Salvia - Rosmarino - Vino, mezzo bicchiere Aceto - Acciughe, 1-2 - Crostini di pane fritti.

 Uno dei migliori modi per cucinare i piccioni selvatici è il salmì, intendendo per salmì - qui e altrove - non il salmì classico, ma una speciale preparazione (che ricorda quel tipo di preparazioni un po' piccanti dette alla cacciatora), la quale nella nostra cucina va, alquanto impropriamente, sotto il nome di salmì. Spezzate i palombacci e metteteli in una casseruola con un po' d'olio, cipolla tritata, sedano e carota gialla tagliuzzati, e un ciuffo di prezzemolo. Condite con sale e pepe, e quando le erbe e i piccioni avranno preso un bel color biondo, aggiungete mezzo spicchio d'aglio schiacciato, un ramoscello di timo, una foglia di lauro spezzettata, un paio di foglie di salvia e un pizzico di rosmarino. Lasciate cuocere ancora per un minuto o due, e poi bagnate con mezzo bicchiere di vino al quale aggiungerete due dita d'aceto. Staccate col cucchiaio il fondo di cottura, coprite la casseruola, diminuite il fuoco e lasciate finir di cuocere dolcemente, aggiungendo, se sarà necessario, qualche cucchiaiata d'acqua. Dopo circa un'ora, quando i piccioni saranno cotti, estraeteli dalla casseruola. Diluite con un po' d'acqua calda il fondo di cottura, staccatelo bene e passatelo da un colino. Rimettete questo fondo nella casseruola ed uniteci un ciuffo di prezzemolo, una o due acciughe lavate e spinate, e un pezzetto d'aglio, il tutto pestato nel mortaio e sciolto con un dito d'aceto. Fate ben scaldare questa salsa, metteteci nuovamente i palombacci e lasciateli insaporire vicino al fuoco, ma senza che abbiano più a bollire. Dopo qualche minuto accomodateli nel piatto e contornateli con crostini di pane fritti.

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PICCIONI SELVATICI ARROSTO

 Palombacci - Olio, mezzo bicchiere abbondante - Sale - Pepe - Aglio, 2 spicchi - Rosmarino - Acciughe, 2 - Aceto, 2 cucchiai.

 Preparazione da farsi allo spiede. Preparati i palombacci e infilati allo spiede, si ungono d'olio e si condiscono con sale e pepe. Si mettono in una padellina mezzo bicchiere d'olio, due spicchi d'aglio e un pizzico di rosmarino. Appena imbiondito l'aglio, si aggiungono, fuori del fuoco, un paio di acciughe pestate e sciolte con una cucchiaiata o due d'aceto. Si versa ogni cosa nella leccarda, e con questa specie di salsa si ungono man mano i palombacci, mentre si arrostiscono.

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PICCIONI SELVATICI ALL'USO DI FOLIGNO

 Per ogni palombaccio: Una cipolla media - Un chiodo di garofano - Conserva di pomodoro densa, mezzo cucchiaio - Limone, mezzo - Prosciutto - Olio, due cucchiai - Aceto, due cucchiai - Sale - Pepe - Cannella, una presina.

 La cucina folignate, che vanta questa specialità e la esegue con solennità di rito, non ammette in via assoluta che vengano tolti gl'intestini ai colombi, limitandosi alla pura e semplice asportazione del gozzo. Ora, se qualcuno non trovasse di suo gradimento questa conservazione, asporti anche gl'intestini; ma il colombo, cucinato così com'è, ha, a giudizio dei buongustai, uno speciale gusto, che si ricercherebbe invano nel colombo sventrato. Vediamo ora i vari particolari della preparazione, che va eseguita con cura. Si pone il colombo in una pentola di terraglia, e si aggiungono: la cipolla, il chiodo di garofano, la conserva di pomodoro, il limone (al quale va tolto un pochino di sugo), ritagliato in spicchietti, un po' di prosciutto tagliuzzato, l'olio e l'aceto, sale, pepe e una presina di cannella. Sulla pentola si applica un foglio di carta paglia e si lega bene intorno con un po' di spago. La cottura dove essere portata lentissima, su pochissimo fuoco, che potrà ricoprirsi con un po' di cenere se il bollore fosse troppo forte. Dopo circa un'ora o poco più, si esamineranno i palombacci, i quali saranno cotti giusti quando le cosce e le ali avranno tendenza a staccarsi leggermente.

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PICCIONI SELVATICI ALL'USO DI AMELIA

 Per ogni palombaccio: Vino rosso asciutto, l. 0,25 - Pepe, 5 granelli - Un chiodo di garofano - Aglio, un spicchio - Buccia di limone - Olio, l. 0,1 – Sale.

 Sono una squisita e rinomata specialità di Amelia, anch'essa nell'Umbria. La migliore stagione dei palombacci è il marzo, allorché essi, facendo una lunga permanenza nella regione, hanno il tempo di “agghindarsi”, cioè di cibarsi abbondantemente di ghiande. Dopo aver spiumato con cura i piccioni, si mettono allo spiedo senza togliere nulla dell'interno, né il gozzo né gli intestini. Si fanno da prima girare sul girarrosto per una diecina di minuti, in modo da liberarli da ogni traccia di umidità. Intanto, si metto in una casseruola sul fuoco il vino rosso asciutto, i grani di pepe, il chiodo di garofano, lo spicchio d'aglio e un pezzo di buccia di limone ritagliata sottilmente e senza parte bianca. Quando il vino leverà il bollore, vi si dà fuoco e si lascia bruciare l'alcool contenuto nel vino fino a che la fiamma sì spegnerà; quando la fiamma è spenta si versa questo vino nella leccarda posta sotto ai piccioni, che girano. Trascorsi i dieci minuti di arrostitura a secco, si incominciano ad ungere i piccioni coll'olio, il quale andrà a sgocciolare nella leccarda dove è già il vino, e si salano. Esaurita la quantità d'olio prescritta si continuano ad ungere i piccioni con olio e vino insieme, i quali avranno formato nella leccarda un unico liquido. La cottura va protratta a fuoco lento per un'ora e anche un'ora e mezzo, poi si tolgono dallo spiedo e si mettono in un piatto. Allora si toglie loro il gozzo, si aprono e si ritagliano in pezzi regolari, raccogliendo da una parte tutti gli intestini. Si tolgono i grecili, si aprono e si getta via la borsetta interna. I grecili aperti e ben nettati si aggiungono nuovamente al resto degli intestini e sì tritano finemente sul tagliere, facendone una poltiglia che si raccoglie in una scodella. A questa poltiglia si aggiunge il liquido della leccarda, che si farà passare da un colino per liberarlo dal garofano, dai granelli di pepe, dall'aglio e dalla buccia di limone. Si accomodano i piccioni spezzati in un piatto concavo, si ricoprono con la salsa preparata; e si mescolano un poco affinché possano bene intridersi del loro condimento.

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PICCIONI SELVATICI ALLA CACCIATORA

 Palombacci, 2 - Vino bianco, l. 1 - Pepe in grani - Sale - Chiodi di garofano, 2 - Salvia - Buccia di limone - Olio.

 Dopo aver sventrato e fiammeggiato due palombacci, poneteli in una pentola di terraglia con un litro di vino bianco, un buon pizzico di pepe in granelli, sale, due chiodi di garofano, poca salvia e la buccia di un limone. Completate con due dita di bicchiere d'olio, chiudete la pentola con un solido foglio di carta pergamena ben legato, mettete il coperchio e lasciate cuocere quattro ore in forno di calore molto moderato.

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RANE FRITTE

 Rane - Farina - Uovo sbattuto - Olio o strutto per friggere - Limone - Facoltativo: marinata di vino bianco, sale, pepe, prezzemolo, cipolla, noce moscata.

 Si lavano accuratamente le rane, si asciugano in un tovagliolo, si passano nella farina, nell'uovo sbattuto e si friggono nello strutto o nell'olio ben caldi, accompagnandole con spicchi di limone. Questo è il procedimento più generalmente usato. Si possono però, prima di friggerle, tenere le rane in una piccola marinata, per averle più profumate. Dopo aver risciacquato ed asciugato le rane, si mettono in una terrinetta con un po' di vino bianco, sale, pepe, un po' di prezzemolo, un po' di cipolla tagliuzzata e un nonnulla di noce moscata. Si mescolano bene e si lasciano stare così almeno per un'ora. Trascorso questo tempo si asciugano leggermente, s'infarinano, sì passano nell'uovo sbattuto e si friggono.

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RANE IN FRICASSEA

 Rane - Olio - Cipolla - Aglio - Vino bianco - Sale - Pepe – Funghi secchi - Brodo di pesce o acqua - Farina - Prezzemolo trito, un cucchiaio - Torli d'uovo, 1-2 - Crostini di pane fritti o tostati - Facoltativo: succo di limone.

 Prendete il numero di rane occorrenti, e che siano state naturalmente spellate e accuratamente risciacquate. Staccate tutte le cosce e mettetele da una parte in acqua fredda. Il resto delle carcasse avanzate serviranno a preparare la salsa. Prendete dunque una casseruola, metteteci un dito d'olio, un po' di cipolla tritata fina e un pezzettino d'aglio schiacciato. Appena la cipolla sarà bionda, bagnatela con un dito di vino bianco, e quando l'umidità del vino sarà evaporata aggiungete le carcasse delle rane, sale, pepe e un pizzico di funghi secchi. Bagnate tutto ciò con sufficiente acqua o - avendone a disposizione - con brodo di pesce; coprite la casseruola e lasciate bollire per circa un'ora su fuoco moderato, in modo da avere un brodo gustoso e aromatico. Passatelo da un colabrodo e raccoglietelo in un'altra casseruola, regolandovi che il liquido non sia però eccessivo, nel qual caso usatene meno dell'intiera quantità. In questo brodo mettete le cosce delle rane dopo averle asciugate e infarinate, e fatele cuocere su fuoco moderato, mescolando di quando in quando. A cottura completa, aggiungete nella salsa una cucchiaiata di prezzemolo e poi, fuori del fuoco, uno o due rossi d'uovo che avrete sciolto con un pochino d'acqua. Mescolate e tenete in caldo vicino al fuoco. Avrete preparato intanto dei crostini di pane fritti o anche tostati sulla gratella. Accomodate i crostini nel piatto di servizio, e su essi versate le cosce delle rane col loro intingolo, il quale, ripetiamo, non dove essere troppo liquido né troppo abbondante, ma deve formare una gustosa salsa piuttosto legata, e in quantità tale da bagnare i crostini. Invece di sciogliere i rossi d'uovo con la sola acqua, si possono sciogliere con poca acqua e il sugo di mezzo limone.

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ZUPPA DI FUNGHI OVOLI

 Funghi ovoli, kg. 1 - Sale - Burro, un cucchiaio - Olio - Cipolla - Aglio, 2 spicchi - Salsa di pomodoro, un cucchiaio - Brodo, l. 0,5 - Uova, 4 - Parmigiano grattato - Prezzemolo - Crostini di pane fritti nel burro.

 Provvedete un chilogrammo di funghi ovoli, spellateli, nettateli bene e tagliateli in fette molto sottili. Raccogliete queste fette in un piatto grande, spruzzatele di sale, date una mescolatina con le mani e mettete un piccolo rialzo sotto un lato del piatto, in modo che il piatto rimanga inclinato e l'acqua che uscirà dai funghi possa sgocciolare. Prendete ora una casseruola, metteteci una cucchiaiata di burro e un dito d'olio, aggiungete una cipolla tagliata sottilmente e due spicchi d'aglio intieri. Fate rosolare ed aggiungete una cucchiaiata di salsa di pomodoro. Prendete le fette di funghi, spremetele leggermente tra le mani e passatele nella casseruola. Fate soffriggere lentamente, e poi bagnate i funghi con circa mezzo litro di brodo. Lasciate sobbollire per qualche minuto e intanto sbattete in una scodella quattro uova intiere alle quali aggiungerete un pugno di parmigiano grattato e una cucchiaiata di prezzemolo trito. Tirate indietro la casseruola, togliete i due spicchi d'aglio intieri, versate nella zuppa le uova sbattute e lasciatele accremare vicino al fuoco. Verificate il condimento e mandate in tavola la zuppa, facendo servire a parte un piatto di crostini di pane fritti nel burro.

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MINESTRA DI PURE' DI CASTAGNE

 Per 6 persone: Castagne, kg. 1 - Sale - Sedano - Basilico - Burro, g. 50 - Latte, un bicchiere - Dadini di pane fritti nel burro - Facoltativo: un cucchiaino di zucchero.
 Sbucciato un chilogrammo di castagne, mettetele a cuocere in una pentola con acqua, sale, qualche odore di cucina (sedano, basilico, ecc.) e quando saranno cotte levate loro la pelle e passatele dal setaccio. Prendete una casseruola, fate sciogliere in essa mezzo ettogrammo di burro, aggiungete le castagne passate, diluitele con un bicchiere di latte e tanta acqua fino ad avere una purè di giusta densità. Potrete aggiungere un cucchiaino dì zucchero. Lasciate bollire ancora un po' e versate la purè nelle scodelle, dove avrete messo dei dadini di pane fritti nel burro.

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MACCHERONI CON LE NOCI

 Fettuccine all'uovo - Noci - Zucchero in polvere - Cannella - Mollica di pane grattata.
 Sono i tradizionali maccheroni delle province dell'Italia centrale, e vengono per lo più eseguiti il giorno della vigilia di Natale. Si eseguono immancabilmente con della pasta fatta in casa, e ritagliata in fettuccine. Solo, nei giorni di magro stretto, si eliminano le uova e si fa la « sfoglia » con sola, acqua e farina. Il condimento consiste in abbondanti noci grossolanamente tritate o infrante, zucchero in polvere piuttosto abbondante (in modo che la pasta risulti dolce), un po' di cannella e mollica di pane grattata mescolati insieme in una terrinetta. Cotte le fettuccine si mettono a strati in un piatto, inframezzando ogni strato con un pugno del composto. Questi maccheroni si mangiano abitualmente freddi.

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RISO E PISELLI ALLA VENEZIANA (Risi e bisi)

 Per 6 persone: Piselli non sgranati, kg. 1,5 (i piselli vanno pesati con tutta la buccia e poi sgranati) - Riso, g. 500 - Olio Burro - Prosciutto o lardo - Cipollina novella - Prezzemolo - Brodo Parmigiano grattato - Pepe.
 I "risi e bisi", pur non essendo completamente asciutti, si usano mangiare con la forchetta piuttosto che col cucchiaio. Mettete in una casseruola un pochino d'olio, un po' di burro e un po' di prosciutto o di lardo tritati. Aggiungete una cipollina novella tritata e abbondante prezzemolo trito. Fate rosolare leggermente e poi aggiungete i piselli che, dopo sgranati, avrete passato un pochino in una terrinetta con acqua fredda e poi scolati. Fate bene insaporire i piselli e poi bagnandoli con poco brodo portateli quasi a cottura. Aggiungete allora il riso e copritelo col brodo necessario. Prima di scodellare completate la preparazione con parmigiano grattato, un po' di pepe e un pezzetto di burro. I "risi e bisi" debbono avere una leggera colorazione verde. Alcuni consigliano di impiegare brodo di manzo e di cappone, ma del buon brodo di famiglia è più che sufficiente.

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GNOCCHI DI FARINA DI POLENTA

 Per 6 persone: Acqua, 1. 1,5 - Farina gialla, g. 500 (di mais)- Sale - Grasso di prosciutto - Burro Cipolla - Sedano - Carota gialla - Salsa di pomodoro, 2 cucchiai Pepe - Parmigiano grattato - Facoltativo: funghi secchi e salsiccia.

 Anzitutto bisogna ricordare il modo di cuocere la polenta. Per 6 persone si mette sul fuoco un piccolo caldaio con un litro e mezzo d'acqua, convenientemente salata, e quando questa è per bollire si lasciano cadere a pioggia 500 grammi di farina di polenta mentre con l'altra mano, con un cucchiaio di legno, si mescolerà sempre affinché non si formino grumi.
 Regolatevi che la polenta, oltre a riuscire piuttosto densa, sia ben cotta: ciò avviene quando, mescolando, essa si stacca con facilità dalle pareti del caldaio (ci vorrà una mezz'ora abbondante di cottura).
 Ora inumidite d'acqua il marmo della tavola di cucina e versateci la polenta stendendola, con una larga lama di coltello bagnata, dell'altezza di un centimetro o poco più.
 Quando la polenta sarà fredda. tagliatela in piccoli rombi di un paio di dita di lato.

 Per condire i gnocchetti preparate un sugo finto, col grasso di prosciutto e burro, un po' di cipolla, sedano e carota gialla. Appena saranno colorite le erbe aggiungete due buone cucchiaiate di salsa di pomodoro, bagnate con acqua a sufficienza, condite con sale e pepe e lasciate cuocere dolcemente. A questo sugo potrete aggiungere dei funghi secchi tenuti a rinvenire in acqua fredda e poi sminuzzati col coltello, e qualche salsiccia spellata e sgretolata. Ungete ora di burro una teglia a bordi bassi o un tegame di porcellana resistente al fuoco. Sul fondo disponete uno strato di gnocchetti e conditelo con un po' di sugo e parmigiano grattato; su questo strato fatene un altro, e via di seguito, incominciando ogni nuovo strato di gnocchetti un po' più indietro dello strato precedente. Versate su questa specie di cupola altro sugo e parmigiano e disponete qua e là dei pezzettini di burro. Mettete la teglia in forno piuttosto forte per un buon quarto d'ora fino a che gli gnocchetti abbiano fatto una crosticina dorata e croccante. Fateli servire nello stesso recipiente. Questi gnocchetti debbono riuscire ben conditi. E' buona norma riservare una parte dell'intingolo da versarsi bollente sulla polenta quando esce dal Forno.

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UOVA AFFOGATE

 Per la loro grande digeribilità sono adattatissime per bambini, convalescenti e per tutte le persone di stomaco delicato. Si mette sul fuoco un recipiente piuttosto largo contenente abbondante acqua leggermente salata e acidulata con un po' d'aceto. Quest'aggiunta d'aceto è indispensabile poiché facilita la coagulazione dell'albumina dell'uovo. Quando l'acqua bollirà si tira un po' indietro il recipiente mettendolo sull'angolo del fornello, si rompe l'uovo in un piattino e portando il piattino a fior d'acqua si versa l'uovo proprio nel punto ove si produce l'ebollizione; messe giù le uova si tira ancora un pochino più indietro il recipiente in modo che la temperatura dell'acqua si mantenga leggermente al disotto dei 100 gradi e si lasciano le uova così per circa tre minuti, facendo attenzione che la solidificazione della chiara sia sufficiente a racchiudere il rosso ma non sia spinta ad un grado eccessivo. Si tirano poi su con una cucchiaia bucata, si appoggiano su una salvietta e si tolgono le sbavature, dando all'uovo una forma più corretta. Per averle ancor più regolari si possono rifilare con un tagliapaste di grandezza proporzionata. Se dovessero attendere sarà bene tenerle in caldo in acqua tiepida leggermente salata. Requisito indispensabile per avere delle buone uova affogate è l'assoluta freschezza dell'uovo.

UOVA AFFOGATE ALLA CACCIATORA

 Uova affogate, 6 - Pane pesto - Uovo sbattuto - Olio o strutto per friggere - Aceto, mezzo bicchiere - Burro, g. 70 - Acciughe, 2 - Estratto di carne, mezzo cucchiaino - Capperi, un cucchiaio.
 Preparate le uova affogate, tuffatele nell'acqua fredda, pareggiatele e mettetele ad asciugare su un tovagliolo. Passatele con attenzione nel pane pesto, poi nell'uovo sbattuto, indi di nuovo nel pane. Al momento di andare in tavola friggetele nell'olio o nello strutto, badando che il grasso sia molto caldo in modo che le uova prendano subito colore. Accomodatele nel piatto e velatele con una salsetta che preparerete così. Mettete mezzo bicchiere d'aceto in una casseruolina e lasciate che, bollendo, evapori di due terzi. Lasciate liquefare in una padella 50 grammi di burro e, schiacciandole col cucchiaio, stemperateci due acciughe lavate e spinate. Aggiungete l'aceto, mezzo cucchiaino di estratto di carne e due dita d'acqua calda. Lasciate bollire un pochino e completate con una cucchiaiata di capperi. Fuori del fuoco unite finalmente un pezzetto di burro, mescolato e versate sulle uova.

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PASTICCIO DI MACCHERONI E PICCIONI

 Per 6 persone: Piccioni, 3 - Burro, g. 300 - Prosciutto grasso e magro, qualche fettina - Cipolla - Carota gialla - Sedano - Sale - Pepe - Farina, g. 350 - Marsala - Bucatini, g. 300 - Parmigiano grattato - Estratto di carne - Latte, un bicchiere abbondante - Uovo sbattuto.
 Provvedete dei piccioni bene in carne, nettateli, bruciacchiateli, divideteli in quattro pezzi, risciacquateli e asciugateli poi in una salvietta. Mettete in una casseruola una cucchiaiata di burro, qualche fettina di prosciutto grasso e magro. mezza cipolla, un pezzo di carota gialla e una costola di sedano. Le erbe vanno tritate piuttosto fine. Fate rosolare un poco ogni cosa e poi aggiungete i piccioni, che condirete con sale e pepe. Quando avranno preso una bella colorazione scura spolverizzateli con mezza cucchiaiata di farina, date una mescolata e bagnate con un dito di marsala. Quando il vino sarà evaporato coprite i piccioni con acqua, mettete il coperchio sulla casseruola e continuate la cottura adagio adagio per una mezz'ora o poco più, fino a che i piccioni saranno cotti e la salsa sufficientemente addensata. Mettete intanto a lessare 300 grammi di maccheroncini del tipo mezzi ziti o bucatini spezzati in pezzi corti e intanto preparate la pasta che dovrà servire d'involucro al pasticcio. Noi preferiamo la pasta "brisée" la quale evita il dolce della pasta frolla che a molti non piace. Se volete usare la pasta frolla tenete le seguenti dosi: grammi 300 di farina, grammi 150 di burro, grammi 150 di zucchero e tre rossi d'uovo. Se invece adopererete la pasta "brisée" occorreranno 300 grammi di farina, grammi 200 di burro, un buon pizzico di sale e circa mezzo bicchiere d'acqua. Fatto l'impasto raccoglietelo in forma di palla e lasciatelo riposare per mezz'ora, qualunque sia il genere di pasta che avrete confezionato. Giunti i maccheroni a cottura, scolateli e raccoglieteli in una terrina. Estraete dalla casseruola i pezzi di piccione e condite i maccheroni con l'intingolo dei piccioni (al quale potrete unire le interiora scottate a parte in un tegamino con burro e finite di cuocere con un pochino di brodo o d'acqua), mezzo ettogrammo di burro e abbondante parmigiano grattato. A dare più gusto alla salsa potrete aggiungere ad essa, prima di condire i maccheroni, un pochino di estratto di carne in vasetti, sciolto in poca acqua bollente. Lasciate freddare ogni cosa e poi procedete alla confezione del pasticcio. Imburrate leggermente una teglia e bordi bassissimi di circa 25 centimetri di diametro e dividete la pasta in due pezzi, uno leggermente più grande dell'altro. Spianate il pezzo più piccolo e foderateci il fondo della teglia. Su questo appoggiate la quasi totalità dei maccheroni (lasciando intorno intorno uno spazio di un paio di dita) e sui maccheroni aggiustate, incassandoveli un poco, i dodici pezzi di piccione. Coprite con i restanti maccheroni e su tutto spandete una besciamella piuttosto liquida e appena tiepida che avrete confezionato con 30 grammi di burro, una cucchiaiata di farina, un pizzico di sale e un bicchiere abbondante di latte. Spalmate bene la besciamella con la lama di un coltello affinché possa penetrare negli interstizi e finalmente stendete la parte maggiore della pasta e con essa ricoprite intieramente il pasticcio. Pigiate con le dita i bordi affinché combacino perfettamente, e con un coltellino portate via la pasta superflua dando al pasticcio forma regolare. Con un uovo, o con un po' di chiara lucidate la superficie dei pasticcio e spingetelo in forno di calore moderato per una mezz'ora abbondante affinché la pasta possa cuocere e colorirsi. Fatelo servire caldo.

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CASTAGNACCIO

 Per 6 persone: Farina di castagne, g. 150 - Sale - Olio, 2 cucchiai - Pinoli - Uvetta sultanina o zibibbo - Rosmarino.
 Mettete in una terrinetta 150 grammi di ottima farina di castagne, un pizzico di sale e un paio di cucchiaiate d'olio. Sciogliete la farina con un po' meno di un bicchiere e mezzo di acqua fredda che verserete a poco a poco. Mentre mescolerete con un cucchiaio di legno, fino ad ottenere una pastella non troppo densa, né troppo liquida, lavorate bene questa pastella in modo che non rimangano grumi e poi versatela in una teglia unta abbondantemente d'olio, del diametro di circa venti centimetri, ricordando che il castagnaccio dovrà riuscire piuttosto basso.
 Seminato sulla torta dei pinoli, un po' d'uva sultanina o di zibibbo e terminate con un buon pizzico di rosmarino, che dà al castagnaccio un caratteristico sapore. Infornate la teglia per circa tre quarti d'ora, per dar modo al castagnaccio di fare una bella crosta croccante.

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CROCCHETTE DOLCI DI CASTAGNE

 Per 20-25 crocchette: Castagne, g. 500 - Zucchero, 4 cucchiai - Latte, un bicchiere - Torli d'uovo, 3 - Burro, g. 25 - Farina - Uovo sbattuto - Pangrattato - Olio per friggere - Zucchero vainigliato.
 Fate una purè con 500 grammi di castagne e un bicchiere di latte, come si è detto sopra, inzuccheratela con quattro cucchiaiate di zucchero in polvere e lavoratela molto sul fuoco affinché risulti bene asciutta. Toglietela dal fuoco e rompeteci, uno alla volta, tre torli d'uovo, non mettendone un altro se il primo non si è bene amalgamato. Unite ancora 25 grammi di burro e aspettate che la purè si freddi. Prendetene poi dei pezzi grossi come una noce, infarinateli dando loro la forma di piccole crocchette, passate queste crocchette nell'uovo sbattuto, nel pane grattato e friggetele a padella molto calda. Disponetele poi in un piatto con salvietta e spolverizzatele con zucchero vainigliato.

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CERVO ARROSTO ALLA TEDESCA

 Coscia di cervo, 750/1.000 g - 100 g di lardo - Mezzo litro di vino rosso - 2 foglie di lauro (alloro) - 5 bacche di ginepro - 4 grani di pepe - 1 peperoncino rosso piccante - 1 cipolla - pepe, sale. Salsa: 1/4 di litro d'acqua - 2 cucchiaini da tè di fecola di patate - 100 g di panna da cucina.
Lardellare la carne di coscia di cervo con delle fettine di lardo e metterla per due giorni nella seguente marinata: portate il vino rosso quasi all'ebollizione versarlo subito sulla carne di cervo. Il vino rosso caldo fa rinchiudere i pori della carne ed evita che il succo di questa si disperda. Aggiungere lauro, ginepro, pepe e peperoncino. Dopo due giorni togliere la carne dalla marinata, asciugarla bene e spalmarla leggermente di sale. Fate rosolare la carne da tutte le parti in una padella, unire una cipolla tagliata fine, ridurre il calore al minimo, mettere il coperchio e fare cuocere 40 minuti. Voltare la carne, rimettere il coperchio e fare cuocere altri 40 minuti. Estrarre l'arrosto di cervo e tagliarlo in fette. Per la salsa fare bollire bene il fondo di cottura con l'acqua, mescolarvi la fecola di patate e la panna. Disporre le fette di arrosto nella salsa e lasciare insaporire ancora 5 minuti.

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QUAGLIE ALLA PIEMONTESE

8 grosse quaglie - 8 fette di lardo - prezzemolo, sedano, basilico, salvia - 15 g di farina bianca - marsala secco - 1 tartufo bianco - sale, pepe.
Pulire accuratamente le quaglie, lavarle, asciugarle perfettamente ed avvolgerle nelle fette di lardo, legandole poi con un filo. Scaldare una pentola bassa, salare e pepare le quaglie, quindi farle rosolare da tutte le parti. Lavare bene le erbe odorose, legarle insieme ed unirle alle quaglie. Mettere il coperchio, ridurre il calore al minimo e fare cuocere per 20 minuti. Togliere le quaglie e tenerle al caldo. Amalgamare al fondo di cottura la farina, 2 cucchiaiate di marsala e le erbe passate al setaccio, rimettervi le quaglie e lasciarle insaporire. Togliere il filo alle quaglie, e servirle adagiate su risotto normale e irrorate con la salsa. Ricoprire tutto con il tartufo tagliato a fettine sottili.

RISOTTO

 Mezza cipolla - Riso Arborio o Vialone, 2 tazze - Brodo 4 tazze - 1 noce di burro - Formaggio grattugiato.

Fare imbiondire la cipolla affettata, aggiungere il riso e poi il brodo, mettere il coperchio e dopo 5 minuti di bollore ridurre il calore e far cuocere al punto giusto, Aggiungere burro e parmigiano al momento di servire.

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SCHIENA DI LEPRE ALLA NOSTRANA

 Una schiena di lepre - pancetta grassa g. 100 - Alcune bacche di ginepro, sale, pepe, timo. Salsa: un bicchiere d'acqua - un cucchiaino da tè di farina - un pò di latte.

 Mettere la schiena di lepre in infusione nel latte per 1-2 giorni. Asciugarla bene, spalmarla con sale, pepe e timo e lardellarla con delle strisce di pancetta grassa. Scaldare una pentola sistemarvi la schiena (tagliata in due se troppo lunga) e fare rosolare bene da tutte le parti. Ridurre il calore al minimo, mettere il coperchio e fare cuocere 20 minuti. Quindi voltare la schiena, aggiungere alcune bacche di ginepro e fare cuocere coperto altri 15-20 minuti. Estrarre la schiena, staccarne la carne dagli ossi, sistemarla sul piatto di portata e tenerla al caldo. Per la salsa sciogliere il fondo di cottura con l'acqua, fare bollire bene, legare con la farina e raffinare con il latte.

 La stessa ricetta si può usare anche con i cosciotti di lepre.

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GOULASH DI CINGHIALE

Cinghiale 500g - Cipolle grosse, 3 - Tre spicchi d'aglio - Tre pomodori - Funghi ovoli 150 g. - Vino Barbera , 2 bicchieri.

Adagiate la carne a dadi in una pentola bassa già riscaldata. Rigiratela per 5 minuti finché sarà rosolata su tutti i lati. Ridurre il calore al minimo ed aggiungere le cipolle tagliate e l'aglio. Mettere il coperchio e far cuocere per 15 minuti, voltare la carne, aggiungere i pomodori a pezzetti ed i funghi e far cuocere sempre a fuoco basso per altri 20 minuti, sale e pepe q. b.. Prima di portare in tavola aggiungere il vino.

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RAVIOLI AL RAGU' DI LEPRE E OVOLI

Il profumo del bosco in autunno richiama sapori forti di funghi legna castagne e muschio. Per assaporare un piatto con aromi intensi e profumati occorre ricorrere il meno possibile alla pentola, poiché un poco di calore, anziché la cottura, servirà a sprigionare il profumo del bosco.

Ingredienti: 200 g di pasta fresca; 200 g di funghi ovoli; 120 g di polpa di lepre; 10 steli d'erba cipollina; 60 g di carne di lepre; 60 cl di brodo vegetale; scalogno, aglio, alloro, burro, parmigiano, olio extravergine d'oliva. Tagliate gli ovuli a fettine, condite con sale, pepe e olio, stendete la pasta e confezionate i ravioli con questo ripieno. Per la salsa fate rosolare in un tegame l'aglio con un pò d'olio, trito di scalogno ed una foglia d'alloro, poi aggiungete la carne della lepre e un pò d'erba cipollina, lasciare insaporire, aggiungere brodo vegetale e portare a bollore. Togliete aglio e alloro, passate al frullatore e  filtrate al passino sottile. Passate la polpa di lepre al setaccio sottile. Scottate i ravioli con acqua salata, scolateli e mantecateli col burro ed il parmigiano, Mettete i ravioli in cerchio nel piatto e disponete al centro il crudo di lepre e nappate con la salsa bollente. Completate il piatto con un filo d'olio.

Nb scegliere con cura la lepre per questa ricetta. 

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Bocconcini di daino

Ingredienti per 4 persone: 400 g di carne di daino; 1 vaschetta di ribes rossi; 1 vaschetta di mirtilli; 1 costa di sedano; 1/2 carota; 1/2 cipolla rossa; 2 foglie d'alloro; 1/2 bicchiere di vino rosso; 6 cucchiai di olio d'oliva; sale e pepe. Preparazione 20 minuti, cottura 10 minuti, esecuzione facile, calorie 360. 

Tagliate (o fate tagliare) la carne di daino a fettine spesse circa 1 cm. Sgranate i ribes e lavateli delicatamente insieme al mirtilli. Tritate finemente il sedano, la carota e la cipolla rossa e fate stufare dolcemente le verdure in una casseruola con l'olio d'oliva e l'alloro. Aggiungete la carne al soffritto precedentemente ottenuto, scottatela per 30 secondi e rigiratela. Aggiungete i frutti di bosco e sfumate con il vino rosso. Salate, pepate e fate restringere il sugo di cottura. Disponete le fettine di daino a ventaglio sui piatti e cospergetele con il sugo di cottura che avrete tenuto a parte. Per lavare i frutti di bosco senza ammaccarli, immergeteli in una bacinella piena d'acqua, lavateli con delicatezza, quindi scolateli aiutandovi con un colino, infine stendeteli ad asciugare su un canovaccio.

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Foglie di vite farcite

Ingredienti per 6 persone: foglie di vite fresche (NON di vigneto), 2 cipollotti, 2 rametti di timo, 30 g di mandorle, 175 g di riso per risotti, 150 g di funghi prataioli, 1 cucchiaio d'olio, 2 pomodori, mezzo litro di brodo di pollo (o di dado), il succo di 2 limoni, 1 cipolla, sale, pepe. Calorie per porzione: 180.

Lavare le foglie di vite fresche (viti di uve da pasto e NON da vigneto per via dei trattamenti), farle bollire 5 minuti in acqua bollente salata e sciacquarle in acqua fredda. Lessare il riso portandolo a metà cottura in acqua bollente salata e scolarlo. Pulite i funghi, eliminate la parte terrosa del gambo e tagliarli a fettine sottili. Metterli in un tegame con la metà del succo di limone, la cipolla, i cipollotti tritati e le foglioline del timo. Coprire con acqua, salare, portate a bollore e lasciare cuocere per 10 minuti a fuoco dolce. Mescolare la preparazione al riso, senza aggiungere l'eventuale liquido rimasto. Pelare i pomodori, eliminate i semi, tagliare la polpa a dadi e unirli al riso. Tritare le mandorle ed aggiungerle al riso con l'olio e il pepe. Mescolare bene, disporre le foglie di vite sul piano di lavoro e riempire ogni foglia con meno di un cucchiaio abbondante di riso. Piegare verso l'interno i due lati delle foglie e arrotolarle su se stesse formando un involtino. Sistemare gli involtini in una pirofila, bagnarli con il brodo e con il succo di limone rimasto, coprire la pirofila con un foglio d'alluminio e fare cuocere nel forno già caldo, a 200°, per 30 minuti. Da servire caldi o a temperatura ambiente.

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Trote alle nocciole

Ingredienti per 6 persone: 6 piccole trote, in totale 1,4 kg circa, 150 g di farina, 3 cucchiai d'olio d'oliva, 50 g di burro, 1 dl di marsala, 60 g di nocciole sgusciate, 2 uova, sale, pepe. Calorie per porzione: 480.

Pulire le trote, praticare un taglio nel ventre con le forbici, asportare le viscere e lavarle bene, anche all'interno sotto l'acqua corrente. Asciugare le trote con carta da cucina, praticare 2 o 3 piccoli taglietti sul dorso per evitare che in cottura si curvino troppo. Sbattere le uova con un pizzico di sale. Passare le trote nelle uova sbattute, poi nella farina e farle cuocere due a due in una padella con l'olio ed di burro per 7 minuti, finché prendono un bel colore dorato. Scolare su carta assorbente le trote e continuare nello stesso modo con quelle rimaste. Accendere il forno a 180°. Schiacciare grossolanamente le nocciole con un batticarne. Imburrare una o più pirofile da portare in tavola, disporre le trote fritte e cospargerle di sale e pepe, irrorarle col marsala e spolverizzarle col trito di nocciole. Infornare per cinque minuti allo scopo di far evaporare il marsala e per riscaldare bene le trote. Servire in tavola con la pirofila.

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Ginepro

Del ginepro si usano in cucina le bacche mature, di colore nero-blu, essiccate. Il ginepro è una pianta molto coltivata nell'Europa settentrionale ed anche in Italia. In cucina si usa per aromatizzare carni dai sapori forti, in particolare selvaggina. Inoltre si usa molto per aromatizzare le marinate per le carni, è un ingrediente indispensabile per i crauti tedeschi e caratterizza l'aroma, il sapore ed il nome del gin inglese. Le bacche hanno un sapore fortemente aromatico, non usatene più di 6-7 in una ricetta.

Le bacche di ginepro sono vendute già essiccate. Conservatele nella dispensa, a temperatura ambiente, al riparo dalla luce e dall'umidità. Se volete raccoglierle sulle colline intorno al Mediterraneo, fatelo all'inizio dell'autunno. Sulla pianta le troverete di colore diverso perché occorrono tre anni affinché maturino, sceglietele solo di colore nero-blu e fatele essiccare all'ombra prima di riporle. E Il sapore delle bacche di ginepro varia a seconda dei luoghi di raccolta; quello del nord Europa è meno saporito di quello della zona mediterranea, perché la pianta necessita di un luogo soleggiato e di terreno calcareo. Il ginepro va considerato una vera e propria pianta medicinale di cui in farmacia si usano sia le bacche sia i rametti che hanno funzione anticatarrale, balsamica e diuretica.

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Terrina di carne al ginepro

Ingredienti per 6 persone: 250 g di lonza di maiale, 250 g di pancetta dolce a fettine, 250 g di petto di pollo, 250 g di fesa di vitello, 1,2 dl di vino bianco secco, 1 cucchiaio di madera o di marsala secco, 5 bacche di ginepro, 1 spicchio d'aglio, 3 foglie d'alloro, sale, pepe.

Tritare in un tritatutto la lonza dì maiale, la carne di vitello, il petto di pollo e la metà della pancetta. Mettere il ricavato in una ciotola ed unirvi il vino bianco e il madera. Spremere o tritare finemente l'aglio e schiacciate le bacche di ginepro poi uniteli alle carni insieme al sale ed al pepe. Mescolare la carne in modo d'amalgamare gli ingredienti perfettamente. Foderare con le fettine di pancetta rimaste una terrina di porcellana o una pirofila alta poi riempirla con il composto di carne ed aromi e pressare con il dorso di un cucchiaio livellando la superficie. Guarnire la superficie della terrina con le foglie d'alloro poi mettere la terrina in una teglia da forno alta. Riempire la teglia con l'acqua bollente e fare cuocere la terrina a bagnomaria nel forno già caldo a 150° per 2 ore. Estrarre la terrina dal forno, farla raffreddare poi conservarla in frigorifero prima di servire.

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Insalata Martina

 Per 4 persone: Un cespo di insalata riccia - 2 mele - 2 arance - 2 scalogni - un peperoncino rosso - uno spicchio d'aglio - menta - timo - panna: g 50 - un limone - olio extravergine d'oliva - sale e pepe. Lavare l'insalata, sgocciolarla e tagliuzzarla. Pelare le mele e le arance e ridurle a pezzetti. Sfogliare il timo e la menta. Lavare e tagliare gli scalogni e l'aglio a fettine e rosolarli in una padella con l'olio. Disporre l'insalata in una zuppiera, distribuire le mele, le arance, il timo e la menta e aggiungere l'aglio, gli scalogni e il peperoncino spezzettato. In una ciotola miscelare il succo di limone, il sale e il pepe, amalgamare bene, versare la panna e condire l'insalata con l'emulsione approntata.
 Tempo di preparazione: 20 minuti
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Invidia Gratinata con formaggio all'Adelaide

 Per 4 persone - 2 cespi di indivia (o insalata belga) - aceto - mezzo limone - broccoli: g 280 - speck: g 40 - emmental: g 50 - fontina: g 40 - parmigiano grattugiato: g 30 - latte: g 500 - burro: g 70 - farina di riso: g 40 - un uovo - noce moscata - sale e pepe. Tagliare nel senso della lunghezza l'indivia, lavarla, sbollentarla per 5 minuti in acqua salata e acidulata, scolarla e asciugarla. Lavare i broccoli e bollirli con il succo del limone in acqua salata. Per la besciamella: in una casseruola portare a ebollizione il latte con il sale, il pepe e la noce moscata. In un'altra casseruola sciogliere il burro, tostare la farina di riso, versare il latte caldo e cuocere per 10 minuti, rimestando. Tagliare l'emmental e la fontina a dadini, scioglierli nella besciamella calda, lasciare intiepidire, versate il tuorlo dell'uovo e mescolare. Imburrare una pirofila da forno, disporre l'indivia ed i broccoli, coprire con la salsa ai formaggi, spolverare col parmigiano e gratinate in forno a 240 gradi per qualche minuto. Tostare le fette di speck in una padella antiaderente. Estrarre l'indivia ed i broccoli dal forno e adagiare sopra lo speck.

 Tempo di preparazione: 30 minuti.

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FIORI D'insalata Valentina

 Per 4 persone: Un cespo d'insalata riccia - una mela - 2 carote - 2 zucchine - 12 fette di prosciutto crudo dolce - aceto balsamico - olio extravergine d'oliva -sale e pepe. Preparare un'emulsione con l'olio, l'aceto balsamico, il sale e il pepe. Lavare la mela, pelarla e tagliarla a dadini. Lavare le verdure. Pelare le carote e tagliarle a striscioline. Ridurre le zucchine a filetti e tagliuzzare l'insalata riccia. Disporre l'insalata con le verdure e la mela in una ciotola e condite con l'emulsione preparata. Disponete in ogni piatto da contorno (quattro piatti) tre fette d prosciutto crudo in modo da formare una stella a tre punte, versate all'interno della stella, con un cucchiaio, l'insalata in proporzioni uguali per ottenere i quattro fiori, chiudete le punte di ogni stella sopra l'insalata, ma non del tutto, in modo da formare il bocciolo di un fiore.
 Tempo di preparazione: 30 minuti.

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Carciofi farciti con pure' di patate alla Loretta

 Per 4 persone - carciofi - patate: g 280 - taleggio: g 240 - 2 tuorli di uova - scalogno: g 40 - vino bianco: g 50 - latte: g 70 - olio extravergine d'oliva - sale e pepe. Lavare i carciofi, eliminando le foglie più dure, con uno scavino eliminare la parte interna e tagliarli a metà, quindi disporli in una casseruola con lo scalogno tagliato a spicchi, il vino bianco, un po' di acqua e l'olio, salare, coprire e cuocere a fuoco moderato. Lavare le patate, cuocerle in una pentola con l'acqua, scolarle, pelarle e passarle nello schiacciapatate per ridurle a purè. Eliminare la crosta dal taleggio, tagliarlo a pezzetti, unirlo al purè bollente, mescolare, aggiungere i tuorli di uova, il latte, il sale e il pepe e amalgamare. Inserire il purè di patate in una tasca da pasticciere, farcire a ciuffi i carciofi e gratinarli in forno.

 Tempo di Preparazione: 45 minuti.

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L'insalata di nonna Rosa

 Per 4 persone: Una vaschetta di valeriana - 2 cipollotti - 150 g di parmigiano - 2 peperoni rossi - 2 gambe di radicchio trevisano tardivo - due fette di polenta. Eliminare le barbe dai cipollotti e tagliarli a rondelle sottili. Tagliare a piacere il radicchio ed i peperoni, quindi unirli alla valeriana ed ai cipollotti e condire il tutto con aceto di mele, olio, sale e pepe. Mettere l'insalata nella terrina di portata. Tagliare le fette di polenta in modo da ottenere dei dadini dello spessore di circa un centimetro per lato. Mettere una pentola antiaderente su una buona fiamma, cospargervi i dadini e rigirarli con cautela di tanto in tanto con una spatola di legno, in modo da farli imbrunire su tutti i lati. Adagiare i dadini sull'insalata e cospargere il tutto col parmigiano grattugiato, o meglio ancora, sfogliato in sottili listarelle.

 Tempo di preparazione: 20 minuti.

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Pan di spagna

Ingredienti base: 300 g di farina, 300 g di zucchero, 5 uova, 1 dl di latte, 5 g di lievito per dolci, succo di limone.
Montare a neve gli albumi con 150 g di zucchero, battere i tuorli col rimanente zucchero in modo da ottenere un composto schiumoso e soffice, amalgamarlo delicatamente agli albumi e incorporare gli altri ingredienti poco alla volta, dopo aver unito il lievito per dolci alla farina.
Versare il composto in una teglia imburrata e infarinata e cuocere in forno preriscaldato a 180°C per 15 minuti.

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Pasta frolla

Ingredienti base: 250 g di farina, 150 g di burro, 80 g di zucchero, 3 tuorli d'uovo, 1/2 limone non trattato, 1 bustina di vanillina, sale.
Setacciare la farina e versarla sulla spianatoia, unire la scorza grattugiata di mezzo limone, il sale e una bustina di vanillina; amalgamarvi il burro ammorbidito e fatto a tocchetti senza impastare troppo.
Aggiungere lo zucchero e i tuorli, incorporandoli il più possibile, ma senza lavorare troppo la pasta, che non deve diventare eccessivamente elastica.
Dare all'impasto una forma rotonda e lasciarlo riposare in frigorifero per 1 ora avvolto in un panno. La pasta frolla richiede una cottura al forno di venti/trenta minuti a una temperatura di 175-180°C.

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Pasta frolla al cacao

Ingredienti base: 200 g di farina, 70 g di zucchero, 100 g di burro, 1 tuorlo, 1 uovo intero, 15 g di cacao in polvere.
Preparare una miscela con la farina, lo zucchero e il cacao e versarla a fontana sulla spianatoia; nell'incavo mettere il burro ammorbidito e fatto a pezzetti, il tuorlo e l'uovo intero. Lavorare per pochi minuti il composto in modo che diventi omogeneo, ma non elastico; modellarlo a palla e farlo riposare in frigorifero avvolto in un panno per 2 ore prima di utilizzarlo. Questo impasto può essere usato da solo o in abbinamento a un'altra pasta frolla tradizionale per preparare biscotti a due colori.

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Pasta frolla alle mandorle

Ingredienti base: 250 g di farina, 75 g di zucchero, 100 g di burro, 100 g di mandorle bianche pelate, 1 tuorlo d'uovo, 1 uovo intero, 1/2 limone non trattato, 2 cucchiai di latte.
Tritare finemente le mandorle passandole al mixer e addizionarle con una quantità di zucchero in grado d'assorbire le sostanze grasse; miscelare quindi il composto ottenuto con il tuorlo d'uovo.
Unire alla farina la scorza dei limone grattugiata finemente e versare il tutto sulla spianatola in modo da formare una fontana; all'interno dell'incavo mettete l'impasto di mandorle e il rimanente zucchero. Aggiungete il burro ammorbidito e fatto a tocchetti, il latte, l'uovo intero e lavorate per pochi minuti tutti gli ingredienti in modo da ottenere un impasto amalgamato e omogeneo, ma non ancora elastico. Tempi e modalità di cottura sono i medesimi della pasta frolla classica.

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Pasta per bigne'

Ingredienti base: 150 g di farina, 15 g di zucchero, 120 g di burro, 5 uova, sole.
In un tegame dal bordi alti portare ad ebollizione tre dl e mezzo d'acqua, il burro, un pizzico di sale e lo zucchero. Quando incomincia a bollire togliere dal fuoco e versare la farina mescolando con un cucchiaio di legno. Rimettere sul fuoco, riportare a bollore e, sempre mescolando, far cuocere per circa 8 minuti, finché il composto non si staccherà dalle pareti. Togliere il tegame dal fuoco e incorporare al composto le uova dopo averle sbattute bene; versare con precauzione, a filo, mescolando di continuo. Al termine s'ottiene una pasta morbida come una crema. Riempire con il composto una tasca da pasticcere e, sopra una piastra del forno imburrata, formare delle palline grosse come una noce, distanti 3 cm circa l'una dall'altra. Infornare a 180°C per 15 minuti circa. Staccare i bignè dalla piastra quando saranno freddi e farcirli a piacere.

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Pasta base per biscotti

Ingredienti base: 200 g di farina, 200 g di zucchero, 100 g di burro, 6 uova.
Lavorare metà zucchero con i tuorli  fino ad ottenere una spuma soffice, poi lavorare l'altra metà con gli albumi fino a montarli a neve ferma; amalgamare delicatamente le due miscele mescolando con un cucchiaio di legno dall'alto in basso, a piacimento incorporare un aroma (vanillina, acqua di fior d'arancio, anice) e la farina. Unire il burro fuso a bagnomaria e lavorare l'impasto delicatamente per renderlo del tutto omogeneo.

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Pasta sfoglia

Ingredienti base: 200 g di farina, 200 g di burro, 1 tuorlo da spennellare, sale.
Impastare la farina e un pizzico di sale con una tazza d'acqua gelata fino ad ottenere un impasto sodo che farete riposare, coperto da un canovaccio, in un luogo fresco. Con le dita bagnate lavorare il burro fino ad ottenere la stessa consistenza della pasta, poi dategli una forma rettangolare. Stendere la pasta sul piano di lavoro infarinato ed al centro disporre il burro; ripiegare la pasta sul burro a mo' di pacchetto e premerla leggermente con il matterello così che il burro si incorpori. Lasciare riposare per 5 minuti poi, su un piano infarinato, lavorandola con un matterello, stendete la pasta a rettangolo di 1 cm di spessore; ripiegarla in tre a quadrato e stenderla di nuovo cambiando verso, poi ripiegarla di nuovo in tre e farla riposare per circa 15 minuti in frigorifero. Ripetere le stesse operazioni, osservando il periodo di riposo per altre tre volte (i giri devono essere otto in tutto), dopodiché la pasta sfoglia sarà pronta. Dopo che l'avrete modellata nella forma voluta, prima di infornarla potete spennellarla con un tuorlo per farle assumere, una volta cotta, un caldo colore dorato.

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Pasta per brioche dolci

Ingredienti base: 250 g di farina, 40 g di zucchero, 75 g di burro, 1/2 di di latte, 2 uova, 1/2 limone non trattato, 25 g di lievito di birra, sale.
Sciogliere il lievito in metà del latte tiepido e lasciare riposare. Nel frattempo versare a fontana sulla spianatoia la farina, aggiungere un pizzico di sale, lo zucchero e la scorza di limone grattugiata. Al centro mettere le uova e il burro ammorbidito e fatto a pezzetti, unire il lievito e il rimanente latte impastando vigorosamente. Lavorare per 15 minuti circa per ottenere un impasto elastico e omogeneo che farete lievitare al caldo per 1 ora circa. Trascorso questo tempo rimetterlo sulla spianatoia, lavorarlo ancora, dategli la forma voluta e fare lievitare ancora 1 ora prima di cuocere in forno preriscaldato a 180°C per 20-30 minuti.

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Pasta per croissant

Ingredienti base: 300 g di farina, 80 g di burro, 1 dl di latte, 1 cucchiaino di zucchero, 15 g di lievito di birra, sale.
Sciogliere il lievito con il latte. Versare sulla spianatoia 200 g di farina, lo zucchero e un pizzico di sale; unire 20 g di burro fuso (ma alla stessa temperatura degli altri ingredienti), il latte ed il lievito. Lavorare 15 minuti, poi mettere l'impasto a lievitare al caldo per 4-5 ore. Rimetterlo sulla spianatoia e lavorarlo ancora per 10 minuti circa. Stenderlo con il matterello. Unire la farina e li burro rimasti e disporre il composto sopra l'impasto, così da poterlo ripiegare tre volte come se si trattasse di una pasta sfoglia. Lasciare in frigorifero per 15 minuti circa, quindi rimetterlo sulla spianatoia, stenderlo con il matterello e ripiegarlo ancora. Dopo aver ripetuto quest'operazione tre volte, l'impasto sarà pronto per essere lavorato. Cuocere in forno a 180°C per 20-30 minuti.

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Creme e farciture

La differenza fondamentale tra le creme e le farciture consiste nell'utilizzo e nella densità. La farcia è molto più densa (grazie talvolta all'impiego di colla di pesce), serve esclusivamente a farcire torte e crostate, mentre la crema, meno densa, può anche avere un ruolo d'accompagnamento.

 

Le creme

Crema al cioccolato: mescolare 30 g di fecola con 2 cucchiai di latte diluito con qualche cucchiaio d'acqua. Portare ad ebollizione 1/2 l di latte con 3 dl di panna e 120 g di zucchero aggiungendo anche 1/2 stecca di vaniglia. A ebollizione avvenuta amalgamare mescolando bene la fecola preparata in precedenza e lasciare sul fuoco per un minuto sempre mescolando. Incorporare a poco a poco 3 tuorli, mescolando con una frusta. Fare fondere a bagnomaria 120 g di cioccolato e unirlo alla crema dopo aver tolto la stecca di vaniglia. Questa può essere sostituita con vanillina che va unita alla crema solo alla fine, dopo aver aggiunto il cioccolato.

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Crema al limone: montare 100 g di burro con 250 g di zucchero, unire 3 uova, il succo di 3 limoni e la scorza grattugiata di mezzo. Cuocere a bagnomaria, sempre rimestando, fino quasi all'ebollizione. Spegnere e frullate il composto per ottenere una crema omogenea. Mentre si raffredda mescolarla di tanto in tanto perché non si formi una pellicola in superficie.

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Crema Chantilly: la vera crema chantilly non è che panna montata addolcita con zucchero a velo. Questa preparazione, se mescolata ad altre creme, serve a renderle più leggere e delicate, tanto che in Italia per crema chantilly si intende solitamente una crema pasticcera arricchita con panna montata. Versate 2,5 di di panna fredda in una terrina fredda e sbattetela con la frusta tenuta in precedenza in frigorifero, o con il mixer dotato di fruste, finché non sarà diventata densa e spumosa, ma non montatela troppo per non correre il rischio che diventi burro. Incorporate poi lentamente, dal basso verso l'alto, 2 cucchiai di zucchero a velo.

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Crema frangipane: passare al mixer 50 g di amaretti e 50 g di mandorle. Portare ad ebollizione 6 dl di latte aromatizzato con 1/4 di stecca di vaniglia e un pizzico di sale. A parte lavorare 6 tuorli con 80 g di zucchero. Quindi amalgamarvi 120 g di farina. Versare a filo il latte e porre a cuocere, a fiamma moderata o, meglio, a bagnomaria, mescolando continuamente fino ad ottenere la densità desiderata. Togliere la stecca di vaniglia e sempre mescolando aggiungere 40 g di burro fuso, le mandorle e gli amaretti.

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Crema ganache o parigina: far sciogliere a bagnomarla 200 g di cioccolato fondente; quindi toglierlo dal fuoco e versarvi 50 g di burro fatto a pezzetti e 2 dl di panna fresca. Sbattete il tutto con una frusta così che gli ingredienti s'amalgamino bene e si montino.

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Crema pasticciera: versare 7,5 dl di latte in un tegame, unire 1/4 di stecca di vaniglia e portare ad ebollizione. A parte frullare 6 tuorli con 150 g di zucchero finché risultano bianchi e spumosi. Unire 50 g di farina e mescolare bene. Versare a poco a poco il latte bollente mescolando in continuazIone. Mettere Il composto in un tegame sul fuoco e, mescolando di continuo, portare a bollore; togliere subito dal fuoco, unire 10 g di burro e fare raffreddare rapidamente il composto. La crema può essere aromatizzata con scorza grattugiata di limone o con poche gocce di liquore e può essere arricchita con l'aggiunta di cioccolato fondente (10 g per 100 g di crema base), pistacchi o nocciole tritate (5 g per 100 g di crema base) e così via.

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Le farciture

Farcitura agli amaretti: con una frusta montare a crema 150 g di burro ammorbidito assieme a 100 g di zucchero; incorporare 120 g di amaretti dopo averli ridotti in polvere passandoli al mixer, quindi lavorare a lungo per amalgamare perfettamente gli ingredienti. Unite poco a poco 2 uova intere dopo averle un poco sbattute, 100 g di farina passata al setaccio, 2 dl di latte e 1 cucchiaio di brandy. Utilizzare questo composto come ripieno per crostatine alle mandorle o per barchette di pasta frolla, ricordando che deve essere cotto assieme alla base. La pasta d'amaretti può essere in parte sostituita con pasta di mandorle.

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Farcitura al cacao: tagliare 100 g di burro a tocchetti e lasciarlo ammorbidire a temperatura ambiente. Lavorarlo poi con una spatola o un cucchiaio di legno, sino a ridurlo a una crema spumosa. A seconda dei vostri gusti e dell'impiego di cacao amaro o zuccherato, potrete incorporare gradualmente in questa fase della preparazione anche qualche cucchiaiata di zucchero. Sempre mescolando, aggiungere 100 g di cacao in polvere e, infine, un bicchierino di rum.

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Farcitura al caffè: lasciare in ammollo in acqua fredda 3 fogli di colla di pesce per 15 minuti, poi strizzarli e farli sciogliere in un pentolino a bagnomaria. In una terrina lavorate 3 tuorli con 80 g di zucchero, finché s'otterrà una crema spumosa cui aggiungerere, sempre mescolando con cura, 0,5 dl di latte a temperatura ambiente versato a filo. Immergere il contenitore in acqua fredda e aggiungere lentamente la colla di pesce sciolta, 10 g di caffè solubile e, per ultima, 5 dl di panna montata inglobandola con pochi giri del cucchiaio di legno dall'alto in basso per non smontarla.

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Farcitura alle fragole: lasciate in ammollo in acqua fredda 3 fogli di colla di pesce per 15 minuti, poi strizzateli e fateli sciogliere in un pentolino a bagnomaria. In una terrina lavorate 3 tuorli con 80 g di zucchero, finché otterrete una crema spumosa cui aggiungerete, sempre mescolando con cura, 50 g di latte a temperatura ambiente versato a filo. Aggiungere lentamente al composto anche la colla di pesce sciolta, 200 g di fragole frullate e, per ultima, 5 dl di panna montata, unendola con pochi giri del cucchiaio di legno dall'alto in basso per non smontarla.

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Zabaione: sbattere 100 g di zucchero con 5 tuorli e mescolare per un quarto d'ora (meno se usate un mixer con fruste), così da ottenere una crema soffice e spumosa. Mescolando, unite 3 bicchierini di marsala secco e mettete poi al fuoco a bagnomaria, sempre sbattendo con la frusta. Spegnete poco prima che inizi a bollire.

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Glasse

Le glasse hanno la caratteristica d'essere corpose e e quindi adatte per rivestire e decorare dolci. Molteplici sono gli ingredienti: zucchero, cioccolato e farine abbinati ad albume o liquidi, come acqua, sciroppi, latte o succhi di frutta. Questa varietà di combinazioni permette di ottenere glasse di sapori, consistenza e colori diversi. La glassa più semplice è quella all'acqua, che permette di creare un velo leggero e lucido sui dolci, invece, per ottenere una glassa più spessa, si usa solitamente la glassa fondente.

Abbinamento tra glasse e colori:
- Arancione, succo d'arancia, curacao, Grand Marnier, Cointreau;
- Bianco, succo di limone, mandorla, maraschino, kirsch, vaniglia;

- Giallo, succo di limone, brandy, rum, Strega, Galliano, marsala;
- Marrone, caffè, cioccolato, cognac, rum;
- Rosa, fragole, lamponi, mirtilli, sherry;
- Verde, Benedictine, Chartreuse, crema di menta, pistacchio;

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Glassa al caffè: incorporate poco per volta 250 g di zucchero a velo a 3,5 dl di caffè ristretto ancora molto caldo; mescolate continuamente con un cucchiaio di legno finché il composto assumerà consistenza piuttosto densa.

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Glassa agli agrumi: spremete 1 arancia, 2 limoni e 1 mandarino, poi filtrate il succo eliminando tutte le impurità. Preparate uno sciroppo sciogliendo in un tegame 200 g di zucchero con 1 dl d'acqua; immergetevi la scorza dell'arancia e quella dei limone, dopo aver attentamente eliminato tutta la parte bianca. Lasciate le scorze in infusione per qualche minuto, poi toglietele e aggiungete il succo preparato in precedenza. Unite poco a poco zucchero a velo fino a ottenere un composto di una certa consistenza.

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Glassa all'acqua: mescolate 250 g di zucchero in polvere in 1 dl d'acqua, così da ottenere un composto abbastanza consistente, che potrete colorare e aromatizzare a piacere (essenza di vaniglia o 1 limone, di mandorle e così via). La glassa, da spremere mediante una tasca da pasticcere o da spalmare con una spatola piatta, serve per decorare dolci diversi di buona consistenza: essendo piuttosto pesante, infatti, tende a schiacciare gli impasti troppo morbidi. La glassa bianca potrà essere colorata con coloranti alimentari.

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Glassa fondente: sciogliete 250 g di zucchero in 112 dl d'acqua, unite 50 g di glucosio e, mescolando continuamente cosicché lo zucchero non si cristallizzi sulle pareti del tegame, portate a ebollizione su un fornello a fuoco lento. Prendete con uno stecchino bagnato un po' di composto: questo sarà pronto quando, rotolandolo tra le dita bagnate, farà una piccola palla non molto elastica. Versate lo zucchero su un piano di marmo unto d'olio di mandorle e spruzzatelo con poca acqua; lasciatelo intiepidire e lavoratelo a lungo con una spatola spingendolo dall'esterno verso il centro, così che diventi bianco e compatto. Modellatelo in forma sferica e mettetelo in un contenitore; copritelo con un panno inumidito e conservatelo fino al momento opportuno. Se volete, questa glassa potrà essere colorata con coloranti alimentari o aromatizzata (per esempio con caffè e cacao in polvere o con aromatizzati che si trovano comunemente in commercio), per fare ciò riscaldate leggermente la glassa in un recipiente prima di incorporarvi aromi o coloranti voluti.

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Glassa reale: in una ciotola, servendovi di un cucchiaio di legno, unite 200 g di zucchero a velo, 1 albume e 2-3 gocce di succo di limone, mescolando abbastanza a lungo da ottenere un composto sodo, liscio e omogeneo che userete per decorare dolci, paste ecc. versandolo e spalmandolo aiutandovi con una spatola piatta o un coltello. Per ottenere varianti di sapore, potrete integrare lo zucchero in polvere con essenze a piacere.

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Rotolo di pere e mostarda veneta

La ricetta ha vinto la 13^ edizione del “Piatto di Natale”, edizione: Piatto di Natale 2009.

Per la prima volta a vincere è stato un dolce: Rotolo di pere e mostarda veneta, su crema di mela cotogna e sorbetto di frutta secca.

Ingredienti per il dolce: 1 confezione di pasta sfoglia (i più bravi possono prepararsela personalmente); 4 pere kaiser o abbate, lavate, sbucciate, ridotte a dadi e passate in padella per una decina di minuti con alcuni cucchiai di zucchero ed un filo d'acqua, per renderle morbide, aggiungendo, verso la fine, una bella noce di burro; 4/500 gr. di mostarda veneta classica, ben piccante e con abbondante frutta mista senapata, da tagliare a pezzetti.

Srotolare la pasta sfoglia, stendervi sopra il composto di pere e mostarda. Arrotolare, disporre a cerchio e mettere in forno a 200° per 10 minuti e poi a 170° per 20 minuti, fino alla doratura che verrà facilitata da spennellatura del succo di cottura e rosso d'uovo.

Ingredienti per la salsa: 3 mele cotogne, da sbucciare, tagliare a spicchi con un grosso coltello da cucina, togliendo i semi interni e le parti più dure; mettere a bollire in poca acqua i cotogni ridotti a pezzi grossolani per farli ammorbidire.

Togliere dal fuoco, passare tutto al frullatore e quindi al setaccio per eliminare eventuali grani duri. Rimettere per pochi minuti sul fuoco la polpa di cotogno, aggiungendo alcuni cucchiai di zucchero, un cenno di raspatura di limone ed un niente di sale. Aggiustare di sapore (non deve essere troppo dolce) e di consistenza, che deve essere molto morbida e cremosa.

Ingredienti per il sorbetto: 15/20 albicocche secche macerate in buona grappa per almeno 20 giorni; 2 cucchiai da cucina di uva sultanina macerata nella grappa; 2 petali di anice stellato; 2 grani di pepe; 1 bicchiere di passito; Sciroppo d'acqua e zucchero.

Mettere gli ingredienti solidi in frullatore, frullare molto bene aiutandosi con un po' di sciroppo di zucchero fino a ridurre tutto in crema. Eliminare i residui solidi granulosi passando il tutto in un colino fine, girando e comprimendo con un cucchiaio da cucina. Mescolare la cremina ottenuta con lo sciroppo e il goccio di passito e passare in gelatiera o in freezer (mescolando spesso per rendere il tutto omogeneo).

Servire mettendo al centro del piatto una fetta di rotolo, attorno alla quale si distenderà un velo di cremina tiepida di cotogno. Per ultimo una quenelle di sorbetto.

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Cannoli siciliani

Ingredienti per i cannoli: 150 g di farina - 1 cucchiaio di zucchero - 20 g di burro - 1 cucchiaino di cacao amaro - 1 cucchiaino di caffè in polvere - vino bianco secco - olio per friggere - sale.
Per il ripieno: 250 g di ricotta - 2 cucchiai di zucchero - 50 g di arancia e cedro conditi - 30 g di cioccolato fondente.
Per guarnire: zucchero a velo.
Per la preparazione dei cannoli siciliani occorrono gli appositi cilindri metallici, in vendita nei negozi di casalinghi, intorno al quali avvolgere la pasta per la cottura. Mescolate la farina con il cacao, li caffè, lo zucchero e un pizzico di sale, disponetela a fontana e impastate con il burro ammorbidito e con il vino bianco necessario a ottenere una consistenza morbida ed elastica. Coprite con un canovaccio e lasciate riposare per 1 ora al fresco.
Nel frattempo amalgamate la ricotta con lo zucchero, i canditi tritati e il cioccolato grattugiato, poi mettete l'impasto a riposare in frigorifero. Riprendete la pasta, tiratela in una sfoglia spessa pochi millimetri, poi ritagliatene dei dischi di circa 10 cm di diametro. Avvolgete ciascun disco su un cilindro metallico unto e friggete in abbondante olio bollente. Quando i cannoli saranno fritti, sfilate il cilindretto farciteli con la crema di ricotta e spolverateli di zucchero a velo.

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Baicoli

Ingredienti: 400 g di farina di frumento - 50 di burro - 50 di zucchero - 1 dl di latte - 15 g di lievito di birra - sale.
Mettete sulla spianatoia 100 g di farina disposta a fontana, versate al centro il lievito diluito con un po' di latte tiepido e impastate in modo da ottenere un composto solido. Formate poi una palla, incidetene a croce la superficie, coprite con un canovaccio e lasciate lievitare in un luogo tiepido per una mezzora. Versate sulla spianatoia la rimanente farina, lo zucchero, il burro fuso, un pizzico di sale e, da ultimo, la pasta lievitata. Lavorate l'impasto, unendo poco a poco tanto latte tiepido quanto basta per avere una pasta della consistenza di quella del pane. Dividetela in otto parti e rotolatele formando dei piccoli cilindri lunghi circa 4 cm. Disponeteli poi su una teglia imburrata, distanti l'uno dall'altro, copriteli con un canovaccio e lasciateli riposare per un'ora. Infine metteteli nel forno preriscaldato a 180° C e cuocete per 15 minuti. Sfornate e fate raffreddare a temperatura ambiente per 24 ore. Trascorso questo tempo, affettate obliquamente i piccoli cilindri di pasta, disponeteli sulla placca calda e cuocete ancora per alcuni minuti.

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I numeri degli animali

Sognare la caccia, o gli animali, può diventare un gioco divertente se si va a curiosare nella smorfia, alla ricerca dei numeri che sono abbinati al sogno.
Ogni sogno riferito alla caccia, secondo la smorfia, ha infatti un significato e un numero abbinati da giocare al lotto.
Ovviamente è e deve rimanere un semplice gioco, il risultato non è garantito, ma a volte, una battuta di caccia mancata a causa del sonno, potrebbe trasformarsi in un momento divertente da passare in compagnia degli gli amici.
Secondo la smorfia vanno giocati i numeri se si sognano selvatici. Non vanno giocati però se nel sogno avete ucciso pernici: non avreste fortuna.
Quanto detto sopra, ha come presupposto che il cacciatore conosca gli animali e che non sia costretto, nel pieno della notte, a consultare un libro di zoologia in modo da non sbagliare nell'identificazione dell'animale sognato.

Allodola: 36, se canta porta buone notizie; 21, felicità in amore; 35, mangiarle presagisce disgrazie.
Anatra selvatica: 17, in arrivo notizie non buone in amore; 17, prenderne una; 78, cacciarle.
Aquila: 11, vederla in volo significa ambizione; 72, vederla morta significa cattive notizie in arrivo; 33, vederla bianca sarebbe presagio di un'eredità in arrivo; 51, sognare di spararle presagisce perdite.
Avvoltoio: 54, nemico.
Beccaccia: 62, vederla indicherebbe un'affezione mal riposta; 84, spararle presagisce un viaggio; giocare il 73 se si sognano più beccacce.
Bracco: 70.
Cane: 4, significa amore, fedeltà, coraggio; 34, 6, 67, se il cane è da caccia; 17, se si sogna di accarezzarlo.
Capriolo: 4, significherebbe amore libero, benessere; giocare il 75 se si sogna di sparare al capriolo.
Cervo: 60, indica guadagni, serenità; giocare il 66 se si sogna di ucciderlo.
Cinghiale: 28, 41, 5, attenzione ai nemici acerrimi; 47, se si sogna di cacciarlo sarebbero da prevedere affari sterili; 74, il cinghiale furioso starebbe a indicare disordine.

Civetta: 28, 57, 70, 76, indicherebbe un cattivo presagio;
Colombaccio: 60, 69, 80, indicherebbe buoni affari, gioie familiari.
Daino: 90, sognare di vederlo presagisce malanni e maldicenze.
Cuculo: 31, presagisce salute e felicità; 16, 30, se canta è di triste auspicio;
Fagiano: 28, 32, indica fortuna, felicità, onore.
Fagiano dorato: 67, sarebbe il presagio per un vincita in lotteria;
Falco: 58, dovete temere dei furti.
Fringuello: 33, inizialmente gioia e di seguito delusioni.
Gabbiano: 14, indica buon auspicio.
Gazza: 32, 75, 78, 47, è di cattivo presagio, indica povertà, malattie, tradimenti o ladri.
Germani: 17, 75.
Gufo: 6, 86, indica cattive compagnie o lutto.
Leone: 16, 17, 12, se si sogna di ucciderlo indica buon successo.
Leopardo: 73, presagisce una sorpresa.
Lepre: 50, 33, indica paura, innocenza; 34, vederla; 15, spararle; 66, mangiarla significa litigi in arrivo.

Lupo: 21, 33, india persone cattive intorno.
Merlo: 4, 7, 68, indica maldicenza, imbroglio, malafede.
Orso: 49, indica pericolo, nemici sornioni.
Passero: 79, notizie da lontano in arrivo; 84, sparargli.
Pernice: 16, 7, indicherebbe donna pericolosa.
Pettirosso: 45, indicherebbe ricchezza e fortuna.
Quaglia: 44, indica cattive notizie, liti e dissidi.
Starna: 58, 81, sogni irrealizzabili; 36, molte starne indicano felicità labile.
Tordo: 81, 53, sono di buon augurio, felicità.
Volpe: 21, delusione in amore, nemici; 7, acchiapparla; 1, 57, ucciderla indica vittoria sui nemici.

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